LA VIA D’USCITA DALL’INSTABILITA'
La politica curi la politica
Un governo tecnico rappresenterebbe il contrario della soluzione politica di cui c’è bisogno
di Tommaso Padoa-Schioppa
Corriere della Sera - 14 agosto 2010
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Corriere della Sera - 14 agosto 2010
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Gli italiani torneranno al lavoro tra pochi giorni senza sapere se il governo ritroverà una maggioranza per continuare, se ne nascerà uno nuovo con diversa maggioranza, o se saranno presto richiamati a votare. Sentono parlare di governo tecnico, o istituzionale, o di larga alleanza, senza che sia chiarito il significato di queste assai diverse formule. Ignorano le formazioni politiche, le coalizioni, i candidati, i programmi tra i quali dovrebbero eventualmente scegliere.
Instabilità e incertezza non nascono da disaccordi in campi, pur importantissimi, di politica ordinaria: scuola, disoccupazione, servizi pubblici, sicurezza dei cittadini. Ancor meno, però, nascono da un semplice scontro di personalità e di potere. Le questioni da cui nascono sono più, non meno, fondamentali della politica ordinaria: contrappongono diverse concezioni dello Stato, della politica, della legalità. Che dividano uno schieramento (il centrodestra vittorioso nel 2008, ma potrebbe essere accaduto al centrosinistra) non deve sorprendere perché trattasi di questioni diverse da quelle segnate dallo spartiacque destra-sinistra: hanno, nella sostanza, natura costituzionale.
È possibile che le differenze si ricompongano, come è avvenuto in passato tra quelle stesse forze e quelle stesse persone. Ma non è facile che ciò avvenga senza imponenti sforzi e rinunce, perché si tratta di differenze che vivono, per così dire, di vita propria e vanno molto al di là delle lotte personali e di potere con cui le si rappresentano.
Al contrario delle deboli scosse di assestamento che dopo il 1948 hanno accorciato la vita dei governi della Prima Repubblica lasciando intatte struttura del potere e direttrici di fondo, qui si muovono faglie profonde:
la legalità, lo Stato di diritto, l’architettura dello Stato, il funzionamento delle istituzioni e della democrazia.
Che cosa auspicare se la ricomposizione non avvenisse?
Due esiti sarebbero, a mio giudizio, davvero infausti per il Paese: le elezioni immediate e il cosiddetto governo tecnico. Infausti perché sarebbero due fughe dell’intera classe politica dalla sua vera responsabilità, perché porrebbero il problema in mani sbagliate e inadatte a risolverlo, siano esse quelle di un tecnico o dell’elettorato.
Elezioni subito sarebbero un pericoloso abbandono del Paese a se stesso da parte delle istituzioni e della classe politica in uno di quei momenti in cui massimo è il bisogno di guida: sarebbe quasi un 8 settembre. Che lo si voglia o no, questioni di natura costituzionale trascurate per decenni si sono affacciate sul proscenio e sono divenute le più urgenti: non solo la legalità e lo stato di diritto; anche il federalismo, la libertà e l’indipendenza dell’informazione, i poteri rispettivi dell’Esecutivo, del Legislativo e del Giudiziario. Sono questioni trascurate da chi governa oggi e da chi ha governato ieri e l’altro ieri. I cittadini se ne rendono conto, la classe politica le deve affrontare. Non dimentichiamo i casi storici in cui il tentativo di risolvere uno stallo politico con elezioni a ripetizione, tenute in un Paese disorientato e privo di un’informazione indipendente, è stato fatale alla democrazia.
Un governo tecnico — cioè un governo incaricato di non affrontare i nodi che ora si stringono— sarebbe una fuga altrettanto infausta, il contrario della soluzione politica di cui c’è bisogno. Certo che la fragilità della nostra situazione economica e finanziaria non va persa di vista nemmeno per un minuto.
Ma proprio per questo occorre sapere che il rischio di perdere improvvisamente la fiducia dei mercati l’Italia lo corre a causa della sua debolezza e ambiguità politico-istituzionale, non della sua condizione economico- finanziaria.
La chiarificazione costituzionale di cui il Paese ha urgente bisogno deve e può essere compiuta in questa legislatura e da questo parlamento. Compierla spetta all’intera classe politica. L’Italia è una repubblica parlamentare. Ciò significa che il parlamento ha il dovere di fare ogni sforzo per esprimere una maggioranza in grado di riconoscere e affrontare i problemi dell’ora. Questo dice la nostra Costituzione; e nei momenti più difficili e incerti è la Costituzione che si deve leggere, non il modo in cui la si è raccontata.
Gli italiani tutti hanno eletto un parlamento, prima e più che una maggioranza. I parlamentari non sono soggetti a vincolo di mandato (articolo 67 della Costituzione). Dichiarare illegittima una situazione nella quale una maggioranza parlamentare si proponga di affrontare le questioni più gravi e più urgenti del Paese e di sostenere un governo che opera sotto il controllo delle Camere, contraddice in pieno la Costituzione. Le questioni più urgenti—tanto urgenti da aver causato una forse temporanea rottura della stessa maggioranza — devono essere affrontate ora, e con l’unità sostanziale di intenti necessaria alla loro soluzione.
Il momento in cui i cittadini vanno a votare è il più alto di una democrazia; tanto che ne hanno bisogno, per mascherarsi, perfino i peggiori regimi autoritari. Questo passo non va né svilito, né abusato; alla classe politica non deve essere consentito di scaricare sul popolo le proprie inadempienze, magari solleticandone i pregiudizi antipolitici.
Il ritorno al voto verrà e dovrà avere la funzione solenne che gli compete. Ma al popolo il ceto politico ha il dovere di riportare un’urna di cui abbia ricomposto i cocci che esso stesso ha rotto.
Nelle pagine che un tempo dedicavano alla politica, i giornali ora parlano di interessi privati nell’esercizio di pubbliche funzioni, di legami di politici con mafia e camorra, di affari lucrati sulle disgrazie naturali, di campagne giornalistiche montate per colpire l’avversario del momento, di minacce di sempre nuove rivelazioni e di altro ancora. Il serio confronto politico che è in atto su questioni della massima importanza ne risulta svilito e opacizzato.
Si vede uno spettacolo orrendo al quale bisogna avere la forza di contrapporre una chiara e semplice consapevolezza:
solo la politica potrà guarirci dai mali della politica,
solo la buona politica potrà scacciare la cattiva.
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Tommaso Padoa-Schioppa sarebbe morto qualche mese dopo, il 18 dicembre dello stesso anno.
Chi non lo derise per i "bamboccioni" e per aver osato dire che "le tasse sono una cosa bellissima"?
Io no. Da noi "bamboccioni" non ha un significato negativo come il "choosy" della tecnica lacrimosa.
Sulle tasse fui e sono d'accordo con lui (magari "bellissima" era un po' esagerato), perché ho ben presenti le funzioni delle tasse se sono equamente distribuite e onestamente usate per i servizi dedicati a noi popolo.
Quando l'odierno pregiudicato promise l'abolizione dell'ICI, quella promessa la sentii come una staffilata in volto. Ma forse sono un essere ridicolo, io.
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