L'estate della nostra desolazione
Come tarli che scavano cunicoli e svuotano e disintegrano i legni dall'interno, come acritici elementi unanimi di un organismo unicefalo, come indifferenti omologhi nel brodo di un pensiero unico a una sola dimensione. Così si legifera oggi nel Parlamento Italiano.
Nel sessantesimo anniversario della promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana.
Non si uccide così un principio fondamentale e inalienabile di una Costituzione illustre, Presidente Napolitano! Subisco in attesa di un riscatto che prima o poi dovrà arrivare; subisco in nome dei miei valori democratici, ancorché conculcati; subisco. (L'appello dei cento costituzionalisti: QUI)
Ma non accetterò mai di essere meno uguale di lei, Presidente Napolitano, né dei suoi successori, né di quegli altri tre "funzionari". W la Costituzione della Repubblica Italiana e il Principio Fondamentale N. 3.
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"Atto dovuto", afferma il capo dell'opposizione, Walter Veltroni, capo anche del PD a cui ho dato il mio voto. Non capisco nemmeno lui, subisco la sua patetica voglia di di dialogo. E non capisco come abbia fatto Di Pietro a diventare , lui, il mostro della situazione. Dipenderà dal fatto che la situazione è assurda, irrazionale e irragionevole se chi continua a ragionare viene stigmatizzato, vero, Veltroni? Intanto conservo qui un altro pezzo a futura memoria:
Lodo Alfano. Walter devi scegliere: con Aristotele o con Napolitano?
di Paolo Flores d'Arcais
In un editoriale sull’Unità del 24 luglio, il direttore Antonio Padellaro si è rivolto al presidente della Repubblica con toni più che rispettosi, e dopo aver ribadito la gratitudine a Napolitano per il modo in cui ha fin qui interpretato la sua alta carica, si è permesso di ricordare al presidente che sono “numerosi quelli che giudicano il lodo [Alfano] come un grave strappo al principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge” di modo che “da oggi dunque ci sono quattro cittadini più uguali degli altri e tutto per consentire a uno solo, e sappiamo a chi, di non essere più sottoposto ai dettami della giustizia, come un sovrano senza limiti”. Conseguenza-appello di Padellaro: “Caro Presidente, siamo convinti che lei troverà il modo e le parole per rispondere anche a questo largo malessere. In nome dell’unità nazionale che lei rappresenta, e che qualcuno cerca di calpestare per esclusivi interessi personali, gliene saremo grati”.
Apriti cielo! Nelle alte sfere del Partito democratico è stato un immediato e furibondo stracciarsi di vesti. Culminato nel lapidario e apologetico “quello del presidente Napolitano è un atto dovuto” del segretario Pd e premier-ombra Walter Veltroni. E per Padellaro solo un coro di “vade retro!”.
Ora, noi non ci permettiamo di entrare nel merito. Siamo infatti rispettosissimi di ogni istituzione, ombre comprese. Ci permettiamo però di richiamare tutti, presidenti e ombre, al più elementare dei doveri, quello del rispetto verso la logica.
L’articolo 74 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione”. Può, purché lo motivi. I motivi, ovviamente, possono essere molti, e non solo quello – cruciale – di una manifesta incostituzionalità della legge. Ma se poi una tale incostituzionalità è manifesta, il “potere” del Presidente diventa un “dovere”, almeno moralmente, visto che il Presidente è, per comune definizione, il “custode della Costituzione”.
Ora, la stragrande maggioranza dei costituzionalisti italiani, compresi numerosi ex presidenti della Corte costituzionale, in un appello a cui il sito Repubblica.it ha dato grande evidenza (oltre 150 mila visitatori lo hanno firmato) ha parlato esplicitamente, a proposito del lodo Alfano, di “insuperabili perplessità di legittimità costituzionale”. INSUPERABILI. Dell’aggettivo “insuperabile” viene data dal Devoto-Oli la seguente definizione: “Precluso alla possibilità di venir superato sia al presente che nel futuro, insormontabile”. Significato inequivocabile, che nessuna acrobazia ermeneutica può manipolare.
Di modo che, se vogliamo rispettare il venerando Aristotele, almeno minimamente (non meno dei politici di oggigiorno), delle due l’una: ha ragione Veltroni, la firma di Napolitano era un atto dovuto, ma allora sbagliano tutti gli illustri costituzionalisti, e visto che tra loro ci sono quanti hanno per anni e anni presieduto la suprema corte, la chiave di volta del nostro intero sistema giuridico è stato in mano ad incompetenti. Oppure: la Corte costituzionale, presieduta da giuristi di vaglia, ha garantito il rispetto della Costituzione, i costituzionalisti hanno ragione nel dichiarare INSUPERABILI le perplessità di legittimità costituzionale in cui incorre il lodo Alfano, ma allora la firma di Napolitano non era affatto un “atto dovuto”, checchè ne sentenzi il premier-ombra. Che dovrebbe scusarsi con Padellaro.
Walter Veltroni è leggendario per il suo “ma anche”. Dalla parte di Napolitano “ma anche” di Aristotele, sarà perciò tentato di dire. Tuttavia, con Aristotele e la sua logica il “ma anche” è tassativamente vietato: “per la contraddizion che nol consente”, come diceva padre Dante, che la logica la rispettava (e mandava anche i Papi viventi all’inferno).
Perciò, caro Walter, devi scegliere: col filosofo di Stagira o con l’uomo del Colle? (25 luglio 2008)
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Di male minore in male minore
La maggioranza targata Berlusconi ha fatto nuovamente tombola. D’un colpo solo ha approvato definitivamente il lodo Alfano sull’immunità del presidente del Consiglio e il decreto sicurezza. Una dimostrazione indiscutibile di forza e, nel contempo, di capacità di operare. Terminato il primo round, dichiarazioni bellicose annunciano che a settembre s’inizierà la sistemazione definitiva del capitolo giustizia. Alla luce di quanto è accaduto nei primi mesi di governo, è verosimile pensare che anche in questo caso Berlusconi potrebbe fare centro. Se dovesse proseguire con le stesse modalità con le quali ha agito fino ad ora, per giustizia e Stato di diritto potrebbe essere, tuttavia, il disastro.
Nella fase riformatrice che si è appena conclusa la maggioranza parlamentare ha sparato altissimo. Per salvare Berlusconi dall’incalzare dei suoi procedimenti penali, essa ha dapprima deciso d’inserire nel decreto sicurezza l’emendamento blocca processi: per fermare i suoi processi, prevedeva di bloccare, nella sostanza, una porzione cospicua di giustizia italiana. Contemporaneamente, il Guardasigilli ha predisposto un rinnovato lodo Schifani diretto a coprire d’immunità le quattro più alte cariche dello Stato senza incorrere, per quanto possibile, nelle censure espresse a suo tempo dalla Corte Costituzionale. Il nuovo lodo è stato immediatamente approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso al Parlamento per l’approvazione.
A questo punto, con la mediazione preziosa del Capo dello Stato, si è raggiunto un compromesso. L’emendamento blocca processi è stato sostituito con un nuovo emendamento meno sconvolgente. Il lodo Alfano, pur giudicato anch’esso illegittimo da numerosi autorevoli costituzionalisti, ha avuto disco verde in Parlamento ed è stato velocemente approvato dalla maggioranza parlamentare e quindi promulgato dal Presidente della Repubblica. Male minore, hanno osservato molti commentatori. Di fronte all’esigenza, giudicata imprescindibile dalla maggioranza di governo, di bloccare per la durata della carica i processi penali del presidente del Consiglio, si è quantomeno evitato di rinviare assurdamente migliaia di altri processi penali.
Stabilito di cancellare l’emendamento blocca processi, non più necessario per salvaguardare Berlusconi, la maggioranza non ha, per altro verso, preso la decisione più ragionevole: eliminarlo e basta. Ha sostituito l’emendamento originario con un nuovo, più circoscritto, provvedimento di sospensione discrezionale di alcuni processi. Gli osservatori più attenti hanno subito rilevato che, nella sua specifica configurazione, anche il nuovo emendamento avrebbe rischiato di creare non pochi inconvenienti all’ordinato esercizio della giurisdizione. Comunque, anche in questo caso, male minore, hanno osservato numerosi commentatori. L’importante era che fosse spazzato l’obbrobrio del salva processi originario.
In questi giorni si è cominciato a discutere in commissione Giustizia della Camera il disegno di legge sulle intercettazioni. Si tratta di un provvedimento che contiene una novità importante: l’obbligo di espungere dagli atti processuali le intercettazioni che riguardano terzi estranei ai processi e il divieto della loro pubblicazione. Un’esigenza sacrosanta, diretta a evitare abusi nei confronti della privatezza delle persone. Nel contempo, tale provvedimento prevede peraltro novità preoccupanti, come il totale divieto di pubblicare notizie concernenti indagini penali in corso e la previsione di pesanti pene detentive nei confronti dei giornalisti, con buona pace del diritto-dovere di informare e del controllo popolare sull’esercizio dell’attività investigativa. Ieri sono apparsi sui giornali cauti segnali d’apertura, in materia, da parte di taluni esponenti politici: non più divieto totale d’informare, non più galera per i giornalisti; semmai, semplici restrizioni e, soltanto, forti sanzioni pecuniarie per gli editori in caso d’infrazione. Poiché pesanti sanzioni pecuniarie a carico degli editori sono, in ogni caso, inevitabilmente destinate a provocare rilevanti turbative sulla libertà di stampa, dovremo, ancora una volta, acconciarci a commentare che, fortunatamente, è stato garantito il minor male possibile data la temperie del momento?
Di mediazione in mediazione, il quadro delle riforme compiute o in gestazione in questo primo spicchio di legislazione è comunque desolante. (1) Si è trasformato il presidente del Consiglio in una sorta di Principe liberato, sia pure a termine, dalle normali, doverose, responsabilità giudiziarie per i fatti dei quali è accusato. (2) Si è introdotto un meccanismo inutile, se non addirittura nocivo, di sospensione facoltativa dei processi di primo grado concernenti i reati minori. (3) Con la nuova disciplina delle intercettazioni si rischia di turbare, in un modo o nell’altro, l’esercizio della libertà di stampa.
Ecco perché, di fronte alle baldanzose dichiarazioni sulla ventilata riforma d’ottobre della giustizia italiana, vi sono motivi di grande preoccupazione. Non vorrei che Berlusconi, nella sua radicata volontà di ribaltare i rapporti di forza fra i poteri dello Stato, sparasse nuovamente più in alto possibile, per addivenire poi, nel quadro di una mediazione resa artatamente necessaria, a risultati che costituiscono comunque un male, sia pure minore di quello paventato. Sarebbe, come dicevo, il disastro per la giustizia e per lo Stato di diritto.
A questo punto non credo che le pur utili mediazioni realizzate fino ad oggi potrebbero più essere d’aiuto. Nessuna copertura, nessun salvacondotto potrebbe più essere accettato o condiviso.
Carlo Federico Grosso (La Stampa, 25 luglio 2008, QUI)