PALESTINA
Orribile ciò che sta accadendo in Palestina. Orribile e difficile da decifrare. Per capire mi affido a un'intervista de L'Unità a Zeev Sternhell, intellettuale israeliano.
«Quella messa in campo da Israele è l' impotenza della forza militare. Ma credere di poter vincere con la forza militare questo tipo di resistenza non è solo un errore, è una tragica illusione». A sostenerlo è uno degli intellettuali più in vista di Israele e più affermati a livello internazionale: Zeev Sternhell, storico, docente di Scienze Politiche all'Università Ebraica di Gerusalemme. «Ciò che si rivela fallimentare -avverte Sternhell- è l'unilateralismo forzato, strategico, che l'"allievo" Olmert ha ereditato dal "maestro" Sharon».
Professor Sternhell, nei Territori la situazione è esplosiva e si teme un conflitto devastante e prolungato. C'è un motivo per cui tutto questo avviene ora?
«Il motivo che è alla base delle violenze fra noi e i Palestinesi, non è cambiato: quando due nemici non si parlano, non cercano e non presentano una vera, sincera e profonda soluzione al problema, si è condannati alla perpetuazione della violenza. Le violenze continueranno fin quando da parte palestinese non si arriverà alla definitiva e generale accettazione della esistenza di Israele, alla comprensione che Israele non è cancellabile dalla mappa, e che la terra deve essere divisa fra i due popoli. E le violenze continueranno anche se il governo israeliano proseguirà sulla strada intrapresa da Sharon, senza cercare di affrontare veramente e risolvere il conflitto intorno ad un tavolo di trattative. Olmert vuole portare avanti un altro piano di ritiro unilaterale. Come se i Palestinesi, una volta usciti noi Israeliani, potessero essere felici e svilupparsi in una nazione frammentata in cantoni. Purtroppo il risultato sarà, ancora una volta, il semplice spostamento delle linee delle ostilità. Questo unilateralismo forzato, strategico, ha avuto il suo peso nell'affermazione elettorale di Hamas e nel mancato radicamento di una leadership palestinese moderata. Alla stregua del suo maestro, Ariel Sharon, Ehud Olmert è fermamente convinto che l'interlocutore con cui trattare una soluzione politica della questione palestinese, non vada cercato a Ramallah o a Gaza, e nemmeno in Europa, ma a Washington. E con gli Stati Uniti il "negoziato" è permanente».
Israele trepida per la sorte del caporale Shalit, rapito da un commando palestinese.
«Per quanto riguarda l'operazione militare in atto, non la capisco e non l'approvo. Il soldato rapito potrà forse essere localizzato con l'aiuto di carri armati? Saranno forse gli aerei a portarlo via dalla prigionia? No. Se ciò avverrà, sarà solo per l'uso di strumenti che non hanno nulla a che fare con l´esercito: sarà un collaboratore che verrà pagato per aver dato l'informazione giusta, e saranno reparti speciali anti-terrorismo che si metteranno in azione per irrompere in una specifica casa».
Si ha la netta impressione che accanto alla risolutezza, Israele stia dimostrando anche molta frustrazione, l'impotenza della potenza militare che nulla può contro le azioni di gruppi terroristici...
«Non c'è dubbio che le cose stiano proprio così. E purtroppo devo ribadire la stessa idea espressa in precedenza: si è frustrati quando si cerca di fare una cosa che si ritiene possibile. Ma vincere con la forza militare questo tipo di resistenza, non è possibile. La storia moderna è piena di esempi di tentativi del genere e falliti. Da Napoleone in Spagna, ai Francesi in Algeria, e poi il Vietnam, l'Iraq e così via. Israele ancora non l´ha capito del tutto, come non ha capito che erigere un muro non può rappresentare una soluzione. Ci si può scavare sotto, ci si possono fare delle brecce e ovviamente ci si può sparare sopra con armi sempre più sofisticate. Israele non può non interrogarsi su cosa accade al di là di quel muro, dei processi di frustrazione, di rabbia e di cieco desiderio di vendetta che crescono all'ombra del muro».
Israele si trova ancora una volta di fronte al dilemma posto dalla necessità di salvare la vita di propri cittadini operando però in modo da far soffrire dall'altra parte centinaia di migliaia di civili palestinesi che non hanno colpe dirette.
«L'azione militare in corso, non ha la sola finalità di liberare il soldato rapito - e semmai lo mette in pericolo - ma è purtroppo anche una forma di punizione collettiva inflitta alla popolazione di Gaza. Altrimenti, non riesco a capire l'utilità di far saltare ponti e centrali elettriche. C'è veramente qualcuno che pensa che i rapitori si muoveranno in carovane di auto per spostare il soldato rapito? E a che serve - se non a punire collettivamente la popolazione palestinese - lasciare senza elettricità mezzo milione di persone? Non posso accettare la demagogia e il cinismo di chi - come Peres - dice che sono i Palestinesi ad autopunirsi».
Oggi alla guida politica del ministero della Difesa c'è Amir Peretz, leader del Partito Laburista, proveniente dall'area più pacifista del partito. È deluso di queste scelte «militariste» di Peretz, oppure chi arriva in quella posizione non può comportarsi altrimenti?
«La questione non sta in questo o quel leader laburista, ma nella strada scelta dal partito. Voglio sperare che Peretz abbia ancora bisogno di un po' di tempo per far pesare la sua opinione sulle decisioni militari. Ma se non riuscirà a distaccare il suo partito da quello di Olmert, se non si porrà nel governo come elemento che spinge verso una soluzione negoziata, se non sarà capace di presentare un'alternativa ai piani che si trovano ora sul tavolo del governo e che sono destinati a fallire, allora, il suo operato non si differenzierà da quello delle precedenti leadership laburiste, che si sono appiattite sulle posizioni di centro-destra del Likud e che ora si appiattiscono sulle posizioni del Kadima di Olmert. E se non saremo in grado di parlare oggi con i Palestinesi, si dovrà rimandare la ricerca della soluzione a quando le due parti saranno veramente mature per affrontare i difficili compromessi per arrivare alla pace. E nel frattempo i due popoli continueranno a soffrire».
C'è chi dice che il vero obiettivo dell'azione militare è farla finita con il governo Hamas.
«Di nuovo l'impotenza politica mascherata dalla forza militare. Abbiamo eliminato il fondatore di Hamas (lo sceicco Ahmed Yassin, ndr), abbiamo proseguito con il suo successore (Abdelaziz Rantisi, ndr) ma Hamas è cresciuto, si è radicato nella società palestinese fino a vincere le elezioni di gennaio con un consenso popolare che certo non è stato estorto con la forza. Possiamo anche uccidere o incarcerare tutti i ministri ma ci chiediamo poi chi oserà in campo palestinese far parte di un governo "collaborazionista"? O pensiamo che per Israele sia meglio che nei Territori si consolidi il caos armato? Per negoziare la pace, Israele ha bisogno di un interlocutore realmente rappresentativo e non di un Pétain palestinese».
dal commento dell'amico Pattinando:
"Il Financial Times nel suo editoriale di ieri ha riportato: "Pensate per un momento a cosa sarebbe successo se in risposta al rapimento di un soldato da parte dell’ IRA, il governo britannico avesse occupato l’Irlanda del Nord, attaccato Belfast e Derry da terra, aria e mare, punito la popolazione distruggendo centrale elettriche, infrastrutture e governo; arrestato ogni repubblicano; inviato la Royal Air Force a sorvolare Dublino".
Carissima, ti confesso che la questione israeliana mi preoccupa, ma è una di quelle su cui non riesco a farmi un'idea precisa. Ho l'impressione che i veleni mortiferi attuali siano il frutto dell'aver voluto estremizzare gli attriti, come se i muscoli possano sopperire alla ragione.
RispondiEliminaMomenti terribili, davvero; non so se e come ne usciremo.
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il tuo blog è sempre estremamente interessante da legegre
RispondiEliminaun abbraccio stef
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