TRA BRUNO E VIOLANTE
Il
nostro triste e muto Parlamento senza qualità
di Furio Colombo
da Il Fatto Quotidiano
del 21/09/2014
Il
Parlamento è bloccato e non può funzionare. Il Parlamento
fermo vuol dire che è fermo il motore del Paese, persino se i giri del motore
governo fanno pensare a una velocità impazzita. Quello che sfugge è il disegno che si manifesta con
ostinazione in una forma molto strana.
1.
Primo,
si impongono al Parlamento decisioni ineludibili.
2.
Secondo,
il Parlamento recalcitra.
3.
Terzo,
il governo insiste nella imposizione e il Parlamento insiste nel rifiuto.
Tredici volte (ricordare che le votazioni per la presidenza della Repubblica
sono state solo due “per non fermare il Paese”).
4.
Quarto,
il presidente della Repubblica rimprovera il Parlamento e dichiara futili e
faziose le sue ragioni. Ovvero non offre un pensiero o una preoccupazione ma un
giudizio sulla disciplina di un Parlamento in cui la disciplina riguarda il
regolamento ma non l’obbedienza ai partiti o al governo, rispetto ai quali è
autonomo.
5.
Quinto,
si impone al Parlamento di continuare
con lo stesso ordine del giorno (che non è del Parlamento ma dell’esecutivo)
e si dichiara in anticipo che non sottomettersi è una sorta di tradimento.
Sembra sfuggire,
anche ai costituzionalisti silenziosi che intervengono con fervore se è in
discussione la soglia di sbarramento della legge elettorale, che nessuno può
imporre un ordine del giorno al Parlamento se non il Parlamento stesso.
Questa non è una esaltazione del Parlamento. È la descrizione della legalità in
normali condizioni di vita istituzionale e politica. Importa poco analizzare le
cause interne, fatte di opinioni, giudizi e decisioni di gruppi parlamentari
contro altri gruppi parlamentari, che hanno portato a questo disastro (fermata
assoluta e per ora irrisolvibile delle Camere) perché non si tratta di un
braccio di ferro tra Parlamento e governo.
Si tratta di un Parlamento da molti
anni assoggettato al governo – ovvero ai partiti di maggioranza – che non
decide ma riceve gli ordini del giorno di ciò che deve fare. Attenzione.
L’impossibilità di decidere non è
né legge né Costituzione né regolamento. È TRISTE
PRASSI dettata, in altri contesti, dalla partitocrazia, e denunciata già in
tempi lontani (nel cuore della Prima Repubblica) dalla pattuglia dei deputati Radicali allora presenti alla
Camera, che arrivavano al punto di autoconvocarsi al mattino presto per
discutere ciò che altrimenti, nell’orario regolare di seduta, era vietato
discutere.
Questa volta i parlamentari in
dissenso (prevalentemente il Movimento Cinque Stelle) contro
l’imposizione dell’esecutivo, hanno meno
fantasia dei Radicali (ora si protesta di solito solo con cartelli e
dichiarazioni) oppure meno prestigio (i deputati della Lega Nord). Però l’evidenza ci dice che, accanto a
nuclei identificati di opposizione (che sono comunque parte essenziale della
vita di un Parlamento) , c’è un vagare di parlamentari zombie che sembrano non
sapere da dove vengono e dove vanno e chi rappresentano e perché. Insomma il
lungo massacro del Parlamento, mai rispettato nelle sue prerogative di
indipendenza da un potere e dall’altro, sta dando i suoi frutti.
Infatti né Camera né Senato hanno
mai discusso chi e perché doveva andare alla Corte costituzionale o al Csm.
I nomi ti appaiono sul cellulare non per essere discussi ma per eseguire.
Se
vogliamo parlare di dolorosi ed
esemplari precedenti italiani, possiamo ricordare il trattato di fraterna e perenne amicizia con Gheddafi, votato in
pochi giorni da un Parlamento già deformato da “larghe intese” (tutto il Pd
meno due, tutto il Popolo delle libertà, tutta la destra, tutta la Lega) prima
delle vere larghe intese, volute dalla stessa ditta, mentre tutti i votanti
sapevano dell’orrore che fra poco avrebbe fatto crollare il regime con cui si
votava il perenne legame. Anche in quella occasione solo il gruppetto di
Radicali (con un paio di deputati Pd, poi prontamente esclusi da ogni attività
di quel partito) si sono appassionatamente e inutilmente opposti. E anche in
quel raro episodio si toccava con mano il fastidio creato da parlamentari che
mettono in discussione decisioni già prese altrove da adulti che sanno. “I trattati non
si discutono, si ratificano” ti dicevano fermi e autorevoli
coloro che facevano da cerniera fra partito (dove gli adulti prendono le
decisioni) e il parco giochi delle Camere.
SE VOGLIAMO parlare di altri Paesi,
in cui i partiti, come organizzazione e come centro di decisione politica, non
mettono piede in aula, ricordiamo gli Stati Uniti. In piena presidenza Reagan (una presidenza forte
e popolare) la nomina presidenziale del
giudice Thomas a giudice a vita della Corte suprema (nomina che richiede
l’approvazione della Commissione giustizia del Senato) ha dovuto attendere mesi
di pubbliche testimonianze, di denunce, di violenta opposizione contro la
decisione di Reagan, prima di spuntarla, con un solo voto di maggioranza.
Per
parafrasare Humphrey Bogart nel suo celebre film, “È la politica, bellezza”. Non da noi.
Da noi ordini incoerenti,
confusi e ostinati bloccano e umiliano un Parlamento
senza qualità. Infatti non ha l’iniziativa e il
coraggio (sarebbe bello se avvenisse sotto la guida dei due presidenti) di
autoconvocarsi, di stilare e votare una sua lista di candidati per la Corte
costituzionale e il Csm, e poi di decidere da quale parte della disordinata
matassa di Renzi, ricominciare il lavoro per non fermare il Paese.
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