giovedì 5 settembre 2013

L'incandidabilità

Sulla questione della decadenza del Sen. Silvio Berlusconi

di Ernesto Bettinelli *
 
 
 
Osservazioni richieste da Luca Nicotra (Avaaz) sulla questione della decadenza del Sen. Silvio Berlusconi
1. Il quadro costituzionale
Occorre tenere presenti i seguenti enunciati costituzionali (citati in successione logica) e procedere a una loro coerente interpretazione sistematica per ricavarne significati normativi per affrontare con sapienza la questione proposta:
I. “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore” (art. 54, comma 2).
II. “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione” (art. 67). III. “Il diritto di voto non può essere limitato se non…per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”.
IV. “Tutti i cittadini… possono accedere…alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.
V. “La legge determina i casi di ineleggibilità… con l’ufficio di deputato e di senatore” (art. 65, comma 1).
VI. “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissioni dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità” (art. 66).
Da questo complessivo “discorso” costituzionale è facile dedurre indicazioni assai puntuali:
a) La funzione rappresentativa ha valore generale (non è subordinata solo all’investitura elettorale ottenuta: “titolo” necessario, ma non sufficiente) e per il suo svolgimento sono richieste alcune irrinunciabili condizioni come l’onorabilità (presunta fino al verificarsi di situazioni con essa incompatibili) di tutti i parlamentari. In effetti, la mancanza di onorabilità anche di un solo parlamentare menomerebbe il prestigio dell’intera Assemblea, connotato irrinunciabile per qualsiasi istituzione costituzionale (il richiamo alla Nazione – con la maiuscola – segnala proprio questa esigenza).
b) La perdita di onorabilità determina “indegnità morale” che giustifica la limitazione dei diritti elettorali (diritto di voto e, conseguentemente, di eleggibilità). La Costituzione affida (soltanto) al legislatore il compito di individuare ragionevolmente (anche con riferimento alla comune sensibilità collettiva in un determinato momento storico) e tassativamente i casi di indegnità morale. Attualmente, per citare un esempio significativo, sono esclusi dai diritti elettorali i cittadini sottoposti a misure di prevenzione, applicate in via definitiva dall’autorità giudiziaria, ma al di fuori di un processo penale che abbia accertato la commissione di reati (l’art. 2 del T.U. n. 223 del 1967). In simili casi il semplice (pur rilevante) sospetto di comportamenti non compatibili con i requisiti costituzionali di disciplina ed onore è dunque causa di ineleggibilità. A maggior ragione il legislatore ha individuato le ipotesi di condanne penali passate in giudicato che, per la loro particolare offesa ai fondamentali doveri di convivenza (anch’essi puntualmente dichiarati dalla Costituzione come l’obbligo tributario (art. 53)), comportano limitazioni anche solo temporali ai diritti elettorali.
c) Un simile trattamento vale per tutti i cittadini senza distinzione di “condizioni personali e sociali” (principio di eguaglianza affermato dall’art. 3 e ribadito dall’art. 51) e al legislatore nello stabilire i casi di ineleggibilità (anche e soprattutto a tutela del Parlamento) non è certamente consentito contravvenire a disposti costituzionali così perentori.
d) L’assenza delle cause ostative appena ricordate è uno dei titoli necessari per un valido accesso alle Assemblee legislative. Ciò significa – vale la pena insistere – che la pur forte, magari plebiscitaria, legittimazione elettorale non è un fatto sufficiente a superare la mancanza di altri requisiti “morali” che consentono di rappresentare la Nazione (e non solo una parte politica pur rilevante). La Costituzione (un po’ ingenuamente) ha affidato alle singole Camere il compito di accertare la sussistenza di tutte le condizioni indispensabili alla convalida dei loro membri, confidando che l’adesione allo spirito della Repubblica prevalga su qualsiasi interesse di parte.
2. La “natura” della c.d. (impropriamente) “legge Severino”
Una simile “questione” così dogmatica è semplicemente fuorviante: una manciata di sabbia negli occhi dell’opinione pubblica. Basta segnalare che uno degli scopi del Decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (attuativo della legge 6 novembre 2012, n. 190, contro la corruzione), è quello di dare piena attuazione ai principi costituzionali illustrati al punto precedente. Non è evidentemente una legge penale, non commina sanzioni supplementari rispetto a quelle già fissate dall’ordinamento penale. Si limita a precisare che l’ineleggibilità sopravvenuta, in seguito a una sentenza penale irrevocabile di condanna (grave), dà luogo a immediata decadenza appena sono esauriti tutti i gradi di giudizio. L’evento formale che conta è appunto la pubblicazione della sentenza definitiva e non la commissione del reato. L’onorabilità si perde (giuridicamente) solo in tale momento e la decadenza viene deliberata, come si è già detto, a tutela dell’istituzione parlamentare e non tanto per irrogare una pena ulteriore al parlamentare interessato. Si tratta, quindi, dell’accertamento dovuto di una condizione nuova (la mancanza di un titolo indispensabile all’esercizio della funzione rappresentativa). Pertanto il richiamo al principio di retroattività è manifestamente infondato e viene utilizzato solo nell’impossibile tentativo di cambiare il DNA (ratio) di una disciplina specifica. Se così non fosse, dovrebbero qualificarsi come “penali” tutte le leggi di vario contenuto (amministrativo, civile, tributario) che per la protezione o affermazione di interessi collettivi, danno luogo a (ragionevoli) “situazione di svantaggio” nei confronti di determinate categorie di persone (chiamate ad adempiere obblighi o a sostenere oneri).
3. I compiti della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari e la successiva deliberazione del Senato.
Alla Giunta, in linea con quanto finora esposto, spetta un solo compito: accertare che la condanna definitiva, causa di decadenza, provenga da un organo giurisdizionale competente (nel caso in esame, la Corte di Cassazione) e che la sentenza sia stata validamente pubblicata. Il ricorso alla Corte costituzionale sarebbe ammissibile, in sede di conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, ove la Giunta e il Senato, a cui spetta di deliberare le proposte della Giunta, ritenessero che la sentenza provenga da un soggetto non giurisdizionale che pretendesse di esercitare una funzione che la Costituzione non gli assegna. Si tratta di un’ipotesi davvero inverosimile. In sede di Giunta, come nelle assemblee parlamentari, è possibile avanzare qualsiasi argomento anche il più astruso e, magari, suffragarlo con il voto. La discussione nei Parlamenti democratici deve essere ed è assolutamente libera, ma non è affrancata da responsabilità istituzionali. Ove il Senato a maggioranza (dietro lo scudo del voto segreto) si esprimesse contro la decadenza dovuta di un suo membro esorbiterebbe dalle proprie funzioni generando un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, sollevato dal potere giurisdizionale che potrebbe (dovrebbe) lamentare l’irragionevole mancanza di considerazione delle proprie autonome decisioni. Di fronte a un voto del Senato che arbitrariamente posponesse la tutela della propria onorabilità costituzionale agli interessi di un suo membro potrebbe intervenire anche il Capo dello Stato, garante della Costituzione e rappresentante dell’unità nazionale (art. 87, comma 1). Tale concetto ricomprende anche l’indisponibile valore della dignità dello Stato in tutte le sue componenti istituzionali. Il Presidente della Repubblica potrebbe, pertanto, valutare l’opportunità di uno scioglimento anticipato dell’Assemblea che, così clamorosamente, venisse meno ai propri doveri costituzionali di rispetto del fondamentale principio di separazione dei poteri dello Stato.
4. Lo svolgimento “immediato” dei lavori-compiti della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari.
Non è solo la “legge Severino” a utilizzare l’espressione “immediatamente” per sollecitare una tempestiva decisione degli organi camerali preposti all’accertamento dell’ineleggibilità sopravvenuta dei parlamentari e, quindi, dichiarare la loro decadenza (art. 3, comma 2 del già citato Decreto legislativo n. 235 del 2012). L’apposito regolamento del Senato (adottato nel 1992) sulla “verifica dei poteri”, normalmente affidata a livello istruttorio alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, è informato al criterio della massima sollecitudine, come si può desumere, in particolare, dagli artt. da 13 a 17, che in caso di “contestazione” dell’elezione di un Senatore (anche per sopravvenuta ineleggibilità) prevedono un procedimento assai dettagliato e in tempi assai rigorosi anche per quanto concerne l’attività e le modalità di “difesa” dell’interessato. Il “metodo del contraddittorio”, oltre come garanzia individuale, è stato previsto anche a questo fine e non è sufficiente a trasformare un organo a caratterizzazione così evidentemente politica quale è la Giunta (al pari degli altri organi camerali) in un luogo di rango giurisdizionale (abilitato pertanto a rimettere questioni di legittimità alla Corte costituzionale). Ad evitare atteggiamenti dilatori o, peggio, di natura ostruzionistica diretti al solo scopo di ritardare le dovute decisioni della Giunta e, successivamente, dell’Assemblea, il Regolamento (generale) del Senato prevede, tra l’altro, che i membri della Giunta (nominati dal Presidente del Senato) non possono dare le dimissioni (il presidente del Senato potrebbe rinnovare i componenti della Giunta, soltanto nell’ipotesi in cui questa non si riunisca per oltre un mese, nonostante ripetute convocazioni da parte del suo presidente) (art. 19, commi 1-bis e 1-ter, Reg. Senato).
 
Università di Pavia, 5 settembre 2013
 
* L’autore è Professore ordinario di Diritto costituzionale a Pavia e socio di LeG

Nessun commento:

Posta un commento