di Guido Rossi, da Il Sole 24 Ore, 6 gennaio 2013
La fine della legislatura si presenta particolarmente confusa. Il dibattito elettorale poi, nella forma, assume spesso i caratteri degradanti di un lessico che ha sostituito nella lotta politica il dualismo alleato-oppositore, che pur esige rispetto, con quello rivendicato e teorizzato da Carl Schmitt, amico-nemico. E così, la tentazione della pretesa oggettività tende a ridurre destra e sinistra, liberismo e riformismo, legalità e illegalità, conservatori e populisti, quali semplici parole di colore oscuro ma, nell'imperversare di un gioco mediatico ricolmo di sempiterni conflitti di interessi, espressioni ora di spocchiose autoesaltazioni, ora di insolente vilipendio del nemico. E le vecchie, scalcinate agende, diventano persino nuovi sostituti di veri programmi.
Intanto non si accettano discussioni né indispensabili riferimenti ai diritti fondamentali, allo sviluppo economico, alle disuguaglianze, alla disoccupazione, alla povertà, alle imprese soffocate fra fisco e credito negato, alla distruzione del nostro patrimonio culturale, a un'Europa che invece di essere sempre più tecnocratica, per sopravvivere dovrebbe diventare più democratica e federale. Insomma, è quel che un programma di governo dovrebbe veramente offrire ai cittadini.
L'atmosfera dominante trascura con alterigia i delicati comportamenti della democrazia, la quale in Italia quando non è espressamente negata, è sempre conflittuale o comunque aggirata. Essa, peraltro, non è né poteva essere tutelata e affidata al governo dei tecnici, già dileggiati da Benedetto Croce come "medici consultori" nelle splendide pagine sovente citate in questi giorni, omettendone questo indispensabile e prezioso riferimento.
Quel che più impressiona nei comportamenti, oltre alla mancanza di dialogo, è l'ineluttabilità degli slogan e delle formule, quasi si trattasse di divini comandamenti.
Così come l'austerity eterodiretta in modo occulto dai mercati del capitalismo finanziario e palese dalla troika (Commissione europea, Bce, Fmi), anche alcune forme della nuova (?) politica sembrano immodificabili, poiché dettate da qualche divinità, per ipoteticamente salvarci dal baratro, ma sicuramente precipitarci nella miseria.
C'è in tutto ciò alcunché di déjà vu analogo alla recente trasformazione operata dalla "téchne", dell'economia politica, quasi un altro ossimoro, nell'economia matematica ed elettronica. È pur vero che fin dai tempi di Adam Smith, l'economia ha costantemente cercato di rendersi nei suoi principi una disciplina scientifica, ancorandosi il più possibile alle scienze esatte. La stessa teoria della concorrenza ha un'evidente analogia con la teoria dell'evoluzione biologica, mentre l'ultima fase è certo quella dell'economia matematica, precisa e predittiva, che implicitamente svaluta, come regina del capitalismo finanziario, ogni risvolto politico, morale o filosofico.
Orbene, gli strumenti adottati nei mercati pretendono di essere validi nell'analisi dei dati passati, attraverso applicazioni econometriche che utilizzano a discrezione parametri e variabili rilevanti, sempre quantificabili. Tuttavia le scelte sono operate da matematici, che ovviamente trascurano completamente il motore imprenditoriale degli "animal spirits" di John Maynard Keynes o l'"esuberanza irrazionale" di Robert Shiller, nonché ogni altra valutazione politico-sociale. Keynes voleva gli economisti affidabili e umili come i dentisti, ma non poteva immaginare che sarebbero stati sostituiti dai matematici e dagli ingegneri. Sono questi, infatti, che valutano i mercati e, attraverso algoritmi, ne determinano l'andamento, massimizzando velocemente la propria utilità sulla base di regole fornite dalla nuova figura del programmatore, l'ingegnere o meglio ancora il "computer scientist".
Identiche strategie algoritmiche simulano il futuro, ad evitare che su di esso il passato abbia influenze rischiose o contraddittorie. Tuttavia questo sistema, qualificato High frequency trading, che introduce a velocità irrilevabili domande e offerte in quantità esorbitanti e spesso tra loro contraddittorie, nasconde nella totale confusione i suoi risultati anche alle autorità di controllo e così manipola i mercati, creando a volte incalcolabili ricchezze e altre volte disastri, come anche di recente capitato al Knight Capital Group e alla ancor più nota offerta al pubblico di Facebook nel maggio scorso.
L'impressionante quadro, con riferimento alle varie opinioni e alle discussioni in corso al Congresso degli Stati Uniti, per trovare una disciplina al fenomeno, è ampiamente documentato sul numero del primo gennaio scorso del The Wall Street Journal. Ma prima ancora nell'Inferno dantesco al canto II, versi 37-39 "E quale è che disvuol ciò che volle,/E per novi pensier cangia proposta,/Sì che dal cominciar tutto si tolle". Questa è l'ultima fase dell'occulta etica dei mercati.
È doveroso che ogni programma politico debba allora proteggersi dalla téchne del capitalismo finanziario, privo di regole, al fine di rivendicare i diritti fondamentali e la protezione dei meno abbienti, come ha iniziato finalmente a fare all'esordio del suo secondo mandato il presidente Obama, ad evitare il fiscal cliff, con un'operazione in accordo con il partito repubblicano, che nessuno si è vergognato di qualificare politicamente di sinistra.
Su questa strada debbono allora prospettarsi le nuove proposte per un futuro governo in Italia e in Europa, che nell'eliminare le disuguaglianze contrasti l'arricchimento progressivo dei centri del capitalismo finanziario, ancora oggi difeso e favorito da chi ironicamente sostiene il raggiungimento dell'"Ottimo paretiano", che si realizza quando l'accrescimento dei vantaggi di qualcuno non va a svantaggio di altri. E in effetti, lo sbalorditivo presupposto sarebbe che l'aumento della ricchezza dei pochi non pregiudicherebbe la posizione di chi peraltro è già in miseria. La battaglia elettorale in corso offre dunque alternative ben diverse rispetto a quelle proposte da qualche tecnico, economista, matematico o ingegnere che sia.
(8 gennaio 2013)