lunedì 31 dicembre 2012

Patria

Patriottismo e antipatriottismo
 
 
qui la salvatrice è donna, per la precisione
 
 
La PATRIA USA si trova sul bordo di un precipizio (cliff) per una questione di soldi dei ricchi, dai medi agli stratosferici.
E' stata trascinata fin là da un decennio di Bush junior, cristiano rinato e guerriero col sangue altrui, nonché sostenitore di giochi finanziari criminali e quindi autore o non attento difensore del popolo americano, per non parlare del resto del mondo e di tutti i complici più o meno visibili della crisi che stiamo vivendo.

Obama è stato osteggiato assai e comunque non era possibile in un sol colpo tagliare i nodi malati dell'iniquo sistema, peraltro ben diffuso su quasi tutto il pianeta.

Comunque sia, ora la PATRIA, quella che fu difesa con ben due guerre dal comandante BUSH, senza che qualcuno potesse fiatare senza rischiare l'accusa di ANTIPATROTTISMO, è in pericolo.
Ora i patrioti repubblicani di ieri sono alle spalle della PATRIA sull'orlo di un precipizio fiscale: possono tirarla indietro, possono darle la spallata giusta per farla precipitare. Discutono all'infinito, fino all'ultimo momento come in un film dell'orrore.
Per una manciata di DOLLARI dei ricchi e degli straricchi.
 
Contro il proprio  popolo.
 
Contro la giustizia e la libertà, perché non si dà libertà senza giustizia, anche fiscale e di distribuzione della ricchezza.
E però hanno avuto i voti costoro, i voti di chi non riesco a capirlo, se i cittadini in difficoltà sono la maggioranza. Comunque.
Spingeranno la patria nel cliff (fiscale) i repubblicani?

CURIOSITA' e PEDANTERIA
"corsa contro il tempo per fermare il Fiscal Cliff"
Il "cliff", cioè il dirupo o la scogliera o il baratro, è fermo, quindi non so come si possa fermarlo di più. Scherzo, ma m'incuriosisce che non sia nei titoli più evidenti un dramma statunitense che quasi sicuramente coinvolgerà anche noi (un po' di sano egoismo).
E ancora: tutti gli italiani sono in grado di capire "fiscal cliff"? Già "baratro fiscale" non è molto chiaro se non viene spiegato bene, con chiarezza e semplicità. In televisione, soprattutto.
Ci vorrebbe un maestro Manzi per i fondamenti di economia e finanza. Per non parlare di tutto il resto. Tanti maestri Manzi, prego.

venerdì 28 dicembre 2012

Elezioni, Ingroia e Grasso si candidano: perché non dovrebbero? - Alessio Liberati - Il Fatto Quotidiano

Elezioni, Ingroia e Grasso si candidano: perché non dovrebbero? - Alessio Liberati - Il Fatto Quotidiano


SE TOCCA ALLA FRANCIA SALVARE VENEZIA


     IL MOSTRO della Laguna ha fatto la sua prima vittima. È il sindaco di Venezia Orsoni, che firmando pochi giorni fa il patto scellerato con Pierre Cardin entra nella storia delle Serenissima come un seguace non dei Dogi, ma dei barbari, per immolarsi (dice lui) sull’altare del “patto di stabilità”.

     Il Palais Lumière di Cardin, coi suoi 250 metri di altezza, sarebbe alto due volte e mezzo il campanile di San Marco, 110 metri oltre i limiti di sicurezza Enac per il vicino aeroporto. Visibile da ogni angolo della città, l’ecomostro è un “dono” alla terra d’origine di Pietro Cardin (nato in provincia di Treviso 90 anni fa), per “risanare Porto Marghera” e creare lavoro nei suoi 65 piani abitabili, con appartamenti di lusso e attività commerciali e ricreative.

     Autore del progetto è Rodrigo Basilicati, «nipote ed erede stilistico di Cardin », laureatosi a Padova nel 2011: il più alto grattacielo d’Italia sarà dunque l’opera di un neolaureato quarantenne, ma il nepotismo, si sa, giustifica tutto. In commovente idillio, Orsoni (Pd) è d’accordo con le giunte leghiste di provincia e regione per approvare a tappe forzate un progetto «strategico e prioritario».


     La direzione regionale dei Beni Culturali, su parere dell’Ufficio legislativo del Ministero, ha dichiarato (27 novembre) che l’area è sottoposta ex lege a vincolo paesaggistico a tutela dell’ecosistema lagunare, ma secondo Orsoni il Consiglio comunale ratificherà comunque l’accordo, e per la cessione dei suoli Cardin verserà 40 milioni, indispensabili per «affrontare le imposizioni del patto di stabilità».

Invano Italia Nostra stigmatizza le «distorsioni della prassi amministrativa » di un Comune che si arroga i poteri di autorizzazione paesaggistica, mentre le professionalità utilizzate (due geometri e un perito industriale) sono palesemente inadeguate. Intanto, le banche francesi rifiutano a Cardin il prestito di 40 milioni, e mentre lui giocando al ribasso propone di versare “a fondo perduto” solo il 3% (1.200.000 euro), il cardinal nepote Basilicati dichiara che il documento firmato «è solo una bozza».

In tanta confusione, qualche punto è chiaro:
  1. primo, i dati sull’inquinamento sono truccati. Nel documento Cardin presentato in Conferenza dei servizi, si vanta una bonifica delle aree destinate al grattacielo (ad opera della Provincia) che non è mai avvenuta, si parla a vanvera di valori nei limiti tabellari di legge, senza precisare che si tratta di valori previsti per le aree industriali e non per quelle residenziali, e si ignora che le fondamenta dovrebbero attraversare tre falde acquifere; intanto la stessa Direzione Ambiente del Comune assicura che farà rispettare le norme contro il dissesto idrogeologico, cioè condanna il progetto senza appello.
  2. Secondo: se non avrà i permessi, Cardin minaccia di trasferire in Cina il suo palazzo, con ciò mostrando con quanta attenzione a Venezia esso sia stato concepito, se può indifferentemente stare anche a Shanghai.
  3. Terzo: mentre un ex sindaco di Venezia dichiara cinicamente che «il progetto è orribile, ma a caval donato non si guarda in bocca», Cardin monetizza la vista su Venezia, mettendo in vendita a prezzi altissimi gli appartamenti dei piani alti, destinati ai ricchi, «perché ci saranno sempre ricchi e poveri ». Insomma, il suo “dono” è quello che Manzoni chiamerebbe “carità pelosa”, fatta non per amore del prossimo ma per proprio interesse.
 
     Ma mentre il ministro dell’Ambiente Clini ed altri notabili esultano per l’imminente disastro, una dura mozione della massima accademia francese di scienze umane Académie des Inscriptions et Belles Lettres

«esprime viva inquietudine per le minacce che pesano su Venezia e la laguna. Deplora che navi di grande tonnellaggio continuino a entrare nel bacino di San Marco, sfidando la fragilità di un sito unico al mondo e mettendolo alla mercé di possibili incidenti.
Si stupisce che possano esser presi in considerazione progetti architettonici offensivi e assurdi, e osa sperare che il “Palais Lumière” previsto a Marghera, a causa della sua smisuratezza, non venga mai realizzato. Unisce la sua voce a chi disapprova queste iniziative e chiede che vengano respinte ».

      Dalla Francia viene dunque un forte monito e una lezione di civiltà, coerente con la recente decisione, dopo un referendum popolare, di bloccare il progetto (non di un neolaureato, ma dell’archistar Jean Nouvel) di costruire cinque grattacieli sull’isola Seguin, già sede di stabilimenti Renault (sulla Senna, a 8 km dalla torre Eiffel), riducendolo a un solo edificio, e più basso.

Ma perché Cardin, se davvero vuol dar lavoro ai veneti, non può edificare, nei 200.000 metri quadrati che avrebbe a disposizione, cinque torri da 50 metri, con la stessa volumetria totale? Perché l’inquinamento dell’area viene trattato con tanta leggerezza, proprio mentre il patriarca di Venezia Moraglia dichiara che «non è accettabile contrapporre il lavoro alla salute o all’ambiente, come si è fatto a Taranto»?

Perché si favoleggia di “risanare Porto Marghera”, quando l’area interessata è di soli 20 ettari su 2.200? Perché i notabili della città fomentano la frattura fra i contrari al progetto e chi con l’acqua alla gola (letteralmente) è pronto a svendere tutto? Perché non rispondere nel merito e passare agli insulti?

Tra le non poche finezze di Basilicati c’è infatti anche questa: secondo lui, chi ha firmato contro l’ecomostro (come Dario Fo, Stefano Rodotà, Carlo Ginzburg, Vittorio Gregotti) «usa il nome di Cardin per finire sui giornali». E lo zio Pietro, di rincalzo: «il mio palazzo sarà un faro che illuminerà la città, per giunta gratis».

Questi segnali di degrado civile, particolarmente intensi a Venezia, si avvertono in tutta Italia sotto il giogo del “patto di stabilità”. Costringendo i Comuni agli stessi introiti che avevano prima dei drastici tagli dei contributi statali (nel caso di Venezia, anche della Legge Speciale), queste norme inique spingono dappertutto verso la svendita e la privatizzazione dei patrimoni pubblici.

Anzi, secondo una fresca intesa tra Demanio e Confindustria, immobili pubblici «di particolare pregio» possono essere venduti «anche per utilizzi industriali» (Corriere della Sera, 20 dicembre). Abbiamo dunque dimenticato che i beni pubblici sono il portafoglio proprietario dello Stato-comunità, sono la garanzia della sovranità e dei diritti costituzionali dei cittadini, lo «strumento privilegiato delle grandi libertà pubbliche» (Gaudemet)?

     Il mostro della Laguna succhia a Roma i suoi veleni, e la sua vittima non è Orsoni, è Venezia. La vittima di una “stabilità” cieca che ignora i diritti è la nostra Costituzione. La vittima è l’Italia, che si pretende di salvare condannandola a mettersi in vendita, in balia di avventurieri e nepotismi. Le vittime siamo noi, i cittadini.

giovedì 27 dicembre 2012

Conservatori e Progressisti

Conservatorismo o RETROGRADISMO?

Onesti conservatori e conservatrici non sono un problema in sé per chi è liberale e progressista, a condizione che abbiano fermi i "principi" della giustizia e della libertà sui quali si fonda la realizzazione concreta della dignità di donne e uomini, principi di recente affermazione giuridica internazionale (60-70 anni sono meno di un soffio rispetto ai tempi storici). Senza giustizia non c'è pienezza degli altri diritti e senza libertà è la stessa cosa.

Il problema diventa terribile quando il termine "CONSERVATORE" equivale a "RETROGRADO", nel senso di colui che si oppone al progresso civile e, al contrario, propugna un ritorno non ai valori ma ai disvalori del passato.

"Conservatore" e "destra conservatrice" possono avere al stessa dignità di "progressista" e "sinistra progressista" ed è giusto che ogni persona scelga le idee e i metodi che sente più affini. Sempre a condizione, però, che non si intenda ritornare al prima della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo e a tutte le Convenzioni successive. Ci sono voluti millenni di progresso del pensiero e di lotte di ogni genere per arrivarci, infatti ci siamo arrivati da poco, solo dopo il secondo massacro mondiale.

Una domanda: si sta affermando un nuovo conservatorismo o un nefasto retrogradismo? Ho molti esempi per chiarire il mio pensiero e le mie preoccupazioni dempocratiche, ma penso che non ce ne sia bisogno. Nel caso contrario, sono qui.

Declino di una democrazia parlamentare

Sputo il rospo

 Marco Revelli

 
     Constatare che quanto sta accadendo in questi giorni al vertice delle nostre istituzioni è quantomeno irrituale è dir poco. In realtà, in questa affrettata fine di legislatura un altro pezzo di quel che resta del nostro ordinamento costituzionale è andato in pezzi. Siamo – o meglio dovremmo essere – una «democrazia parlamentare»: una forma di governo, cioè, in cui il fulcro del sistema politico è il Parlamento. È in Parlamento che dovrebbero nascere e finire i governi. Con un voto di fiducia nel primo caso. E con un voto di sfiducia nel secondo, quando la legislatura non sia giunta alla propria fine naturale.

     Qui, invece, è bastato che il presidente del consiglio in carica annunciasse le proprie dimissioni – in assenza di un voto di sfiducia, anzi, nonostante avesse appena incassato la fiducia sulla Legge di stabilità – perché il Presidente della Repubblica, dopo una fulminea consultazione di qualche ora, sciogliesse anticipatamente le camere. Correttezza avrebbe voluto che, di fronte alle dimissioni del capo del governo, il capo dello stato lo rinviasse alle camere perché, con un dibattito chiaro, in cui ogni parte politica assumesse in pubblico e nella sede naturale le proprie responsabilità, si misurasse con un voto l’esistenza o meno di una maggioranza.
Invece no. Per la seconda volta nel giro di un anno si è consumata una soluzione extra-parlamentare.

     Il governo Monti finisce così come era incominciato: per un atto d’imperio del secondo ramo del potere esecutivo (quello costituzionalmente meno pregnante sul piano dell’indirizzo politico), nella marginalità del potere legislativo. E questa seconda volta senza neppure la possibile giustificazione dell’emergenza (il rischio di default, lo spread alle stelle, il crollo dell’Eurozona…) su cui motivare un qualche «stato d’eccezione». Come se l’eccezione fosse, in questi tredici mesi, diventata la regola.

     In entrambi i casi al centro dello strappo ci sono i partiti (l’intero sistema dei partiti), con la loro crisi. La loro impotenza o fragilità. La loro impossibilità di trasparenza e verità. A novembre dello scorso anno perché si fecero precipitosamente di lato, anzi fuggirono mentre il paese era in caduta libera, ben felici di passare la patata bollente al Presidente. Ora perché, probabilmente, si sono fatti fin troppo avanti, per chiedere a quello stesso Presidente una chiusura al buio della legislatura.

     E quindi un’apertura al buio della campagna elettorale, che evitasse loro di mettere fin da subito, nella sede istituzionale adeguata, le carte in tavola. Il proprio giudizio sull’anno passato e il proprio programma per il quinquennio futuro.

     In un dibattito parlamentare sulla fiducia, ad esempio, e nel voto finale, il Pdl si sarebbe probabilmente spaccato in misura ben più evidente di quanto lo sia già, anticipando lo scenario che lo attende dopo le urne e accelerando i propri processi decompositivi. Ed il Pd avrebbe dovuto motivare, a sua volta in pubblico, la propria politica di quest’anno nei confronti di Monti, esponendosi anch’esso alla responsabilità della fiducia: l’avrebbe confermata anche ora, ipotecando il proprio atteggiamento in campagna elettorale? O l’avrebbe negata, mostrando in pubblico un’opzione diversa dall’Agenda Monti? O forse anch’esso si sarebbe diviso, lungo le linee che già si intuiscono, ma che si vorrebbe tenere nascoste fino all’esito elettorale.

     E poi Monti. Abbiamo dovuto decifrare le ragioni del capo del governo dimissionario da una conferenza stampa, in un fulmineo passaggio in cui si affermava che non c’erano alternative alla fine del suo Gabinetto e della Legislatura. Non in un’aula parlamentare, ma in una sede mediatica.

     E dobbiamo ora intuire i suoi progetti da un «cinguettio», anzi da due. Proprio così, per grottesco che possa apparire: su twitter! E anche, si dice, su una pagina di facebook. Altro che Grillo! E anti-politica. E democrazia telematica. Due messaggini di 77 e 59 caratteri. «Monti su twitter: ‘Saliamo in politica’» titola il Corriere, senza sarcasmo, come se fosse un modo normale di trattare la cosa pubblica.

     La campagna elettorale che ci aspetta sarà dunque «sotto copertura». Forse non sarà convulsa come temuto, ma sicuramente opaca. Nel senso che la verità – il «sottostante», potremmo dire con linguaggio da broker finanziari – verrà fuori solo dopo. A babbo morto (cioè a elettore liquidato). E quella verità sarà quella adombrata in sala stampa di Palazzo Chigi: che l’agenda Monti, chiunque vinca, sarà al centro del tavolo. Che le linee guida europee sono invalicabili. Che il lavoro – eufemismo per dire i lavoratori e i loro salari e le loro garanzie – sarà, in misura crescente, il materasso su cui scaricare il peso dell’infinito Salva Italia, in un processo di redistribuzione dal basso verso l’alto e dall’economia reale al circuito finanziario che continua a restare il dogma infrangibile di questa Europa (e di questo Occidente).

     Che probabilmente questo avverrà per via diretta – con il taglio delle ali dei due «poli» e la convergenza al centro delle rispettive componenti «moderate». O, in alternativa, con l’ascensione di Mario Monti sul colle più alto – forse per questo parla di «salita» in politica – trasformato in vero baricentro del sistema e la delega al rappresentante della rinnovata maggioranza parlamentare di farsene esecutore.

     Meglio saperlo fin d’ora. Perché solo una straordinaria impennata d’orgoglio dell’elettorato, oggi difficile da misurare, potrà smentire questa forse troppo facile profezia.
 

lunedì 17 dicembre 2012

Mahler: Kindertotenlieder (Thomas Hampson, Wiener Philharmoniker, Leonar...





Canti per i bambini morti - MAHLER

PER TUTTE LE BAMBINE E TUTTI I BAMBINI

Kindertotenlieder

 (Canti per i bambini morti) per voce e orchestra

MAHLER


Testo delle parti vocali (nota 1)


1.
Nun will die Sonn' so hell aufgeh'n,
Als sei kein Unglück die Nacht geschehn.
Das Unglück geschah auch nur mir allein,
Die Sonne, sie scheinet allgemein.

Du musst nicht die Nacht in dir verschränken,
Musst sie ins ewige Licht versenken.
Ein Lämplein verlosch in meinem Zelt, Heil sei dem Freudenlicht der Welt!
1.
Ora il sole osa sorgere e splendere ancora,
come se una sciagura nella notte non fosse avvenuta.
La sciagura è avvenuta: certo, a me solo è toccata,
e il sole splende ovunque e per tutti gli altri, là fuori.

Non devi in te la notte rinchiudere, e nasconderla,
ma lasciarla affondare e perdersi nella luce eterna.
Si è spenta nella mia tenda una piccola lucerna,
ma sia gloria alla luce cara e gioiosa del mondo!

2.
Nun seh' ich wohl, warum so dunkle Flammen
Ihr sprühtet mir in manchem Augenblicke,
0 Augen! Gleichsam um voll in einem Blicke
Zu drängen eure ganze Macht zusammen.

Doch ahnt ich nicht, weil Nebel mich umschwammen,
Gewoben vom verblendenden Geschicke,
Dass sich der Strahl bereits zur Heimat schicke,
Dorthin, von wannen alle Strahlen stammen.

Ihr wolltet mir mit eurem Leuchten sagen:
Wir möchten nah dir bleiben gerne,
Doch ist uns das vom Schicksal abgeschlagen.

Sieh uns nur an, denn bald sind wir ferne!
Was dir nur Augen sind in diesen Tagen,
In künft'gen Nächten sind es dir nur Sterne.
2.
Ora so finalmente perché fiamme così oscure
mi lanciavate, occhi, in certi istanti!
Per raccogliere e stringere in un solo attimo
tutte le vostre forze, e farle piene e sicure.

Ma non presentivo, ovattato da nebbia e da caligine,
preso dentro la rete e accecato dal destino,
che il raggio già si piegava a riprendere il cammino,
verso quella dimora dove ogni raggio ha origine.

Voi volevate dirmi, col vostro luccicare:
Vicino a te sarebbe bello per noi restare,
ma questo, a noi, il destino l'ha voluto impedire.

Solo guardaci: noi saremo lontani, presto!
Quelli che per te sono soltanto occhi, in questo
giorno, saranno stelle nelle notti a venire.

3.
Wenn dein Mütterlein
Tritt zur Tür herein
Und den Kopf ich drehe,
Ihr entgegensehe,
Fällt auf ihr Gesicht
Erst der Blick mir nicht,
Sondern auf die Stelle
Näher nach der Schwelle,
Dort wo würde dein
Lieb Gesichtchen sein,
Wenn du freudenhelle
Trätest mit herein,
Wie sonst, mein Töchterlein.

Wenn dein Mütterlein
Tritt zur Tür herein
Mit der Kerze Schimmer,
Ist es mir, als immer
Kämst du mit herein,
Huschtest hinterdrein
Als wie sonst ins Zimmer.
0 du, des Vaters Zelle,
Ach zu schnelle
Erloschner Freudenschein!
3.
Quando la tua mammina
entra da quella porta
ed io giro la testa
e guardo verso lei,
sul suo volto non cade
in principio il mio sguardo,
ma là, proprio in quel punto
dove potrebbe essere
la tua cara faccina,
se tu, raggiante gioia,
entrassi qui con lei,
piccola figlia mia, come una volta.

Quando la tua mammina
entra da quella porta
col baglior di candela,
mi pare che tu entri
qui con lei, come sempre,
scappandole da dietro,
come allora, qui in camera.
Tu, parte di tuo padre,
raggio di gioia, ahimè,
troppo presto già spento.

4.
Oft denk' ich, sie sind nur ausgegangen!
Bald werden sie wieder nach Hause gelangen!
Der Tag ist schön! 0 sei nicht bang!
Sie machen nur einen weiten Gang.

Ja wohl, sie sind nur ausgegangen
Und werden jetzt nach Hause gelangen.
0 sei nicht bang, der Tag ist schön!
Sie machen nur den Gang zu jenen Höhn!

Sie sind uns nur vorausgegangen
Und werden nicht wieder nach Haus gelangen!
Wir holen sie ein auf jenen Höhn
Im Sonnenschein! Der Tag ist schön
Auf jenen Höhn.
4.
Io penso spesso: sono solo usciti,
presto saranno di ritorno a casa!
Il giorno è bello. No, non angosciarti,
fanno solo una lunga passeggiata.

Ma sì: semplicemente sono usciti,
ora, vedrai, ritorneranno a casa.
Non angosciarti, la giornata è bella!
Fanno due passi, là, su quelle alture!

Sì, sono usciti un po' prima di noi,
e non faranno più ritorno a casa!
Su quelle alture li raggiungeremo,
in pieno sole! La giornata è bella
su quelle alture.

5.
In diesem Wetter, in diesem Braus,
Nie hält ich gesendet die Kinder hinaus;
Man hat sie hinausgetragen.
Ich durfte nichts dazu sagen.

In diesem Wetter, in diesem Saus,
Nie hätt ich gelassen die Kinder hinaus,
Ich fürchtete, sie erkranken,
Das sind nun eitle Gedanken.

In diesem Wetter, in diesem Graus,
Nie hätt ich gelassen die Kinder hinaus,
Ich sorgte, sie stürben morgen,
Das ist nun nicht zu besorgen.

In diesem Wetter, in diesem Braus,
Sie ruhn als wie in der Mutter Haus,
Von keinem Sturme erschrecket,
Von Gottes Hand bedecket.
5.
Con questo tempo, in questo finimondo,
non avrei mai fatto uscire i bambini;
li hanno portati fuori.
lo non riuscii a dir nulla.

Con questo tempo, in questo nubifragio,
non avrei mai fatto uscire i bambini:
avrei temuto che si ammalassero.
Ma questi sono, ora, pensieri inutili.

Con questo tempo, tempo spaventoso,
non avrei mai fatto uscire i bambini:
avrei detto: Potrebbero morire!
Ma non val più darsi pena per questo.

Con questo tempo, in questo finimondo,
riposan come a casa, dalla mamma:
più nessuna tempesta li atterrisce,
e la mano di Dio li custodisce.

(Traduzione di Quirino Principe)

(1)Testi tratti dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 5 maggio 2002


Questo testo scritto da Terenzio Sacchi Lodispoto è di proprietà di ©LA MUSICA FATTA IN CASAche ne autorizza l'uso, ed è stato prelevato sul sito htpp://www.flaminioonline.it

mercoledì 5 dicembre 2012

E adesso Mancino parli - micromega-online - micromega

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Ingroia: “Legittimo criticare la Consulta. La sentenza è un pasticcio politico” - micromega-online - micromega

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La memoria difensiva della procura di Palermo - micromega-online - micromega

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Da Presidente a Monarca - micromega-online - micromega

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Una Corte cortigiana - micromega-online - micromega

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