Le reazioni al piano Br trovato nel computer di Morandi
Intanto l'inchiesta sulla scorta negata verso l'archiviazione
La rabbia degli amici di Biagi
"Ucciso perché lasciato solo"
BOLOGNA - È quel che sanno dalla sera degli spari sotto casa, è quel che temevano a
anche prima: "Lo hanno ucciso perché era stato lasciato solo",
dice Guido Magnisi, avvocato della famiglia di Marco Biagi,
"emotivamente il colpo è forte, avvalora quel che pensiamo da sempre". Gli
agghiaccianti verbali del pedinamento brigatista probabilmente non
riapriranno l'inchiesta sulla mancata scorta al professore, ormai vicina
alla conclusione con una richiesta di archiviazione. Né la
famiglia lo chiederà. Ma la verità morale in questi casi può fare a meno
di quella giuridica: la vulnerabilità di Biagi non fu solo un aiuto ai
suoi assassini, ma il motivo stesso della sua scelta come bersaglio.
Eppure bastava poco,
si tormentano amici e colleghi del giuslavorista leggendo di come bastò
la domanda di un impiegato, "voi cosa fate qui?" per convincere gli
ispettori terroristi a scartare la facoltà di Economia di Modena come
possibile scenario dell'agguato: "Se perfino la curiosità di un nostro
dipendente li ha spaventati?", sospira il preside Andrea Landi. "Questi
terroristi sono vigliacchi strutturali", dice il collega e amico
Marcello Pedrazzoli, "non agiscono in condizione di rischio".
Bastava poco. Ma non fu fatto nulla.
In quell'estate del 2001
tutti i protagonisti del dramma erano impegnati a scrivere. I questori:
ordinanze per togliere le scorte a Biagi. Biagi: lettere angosciate per
riaverle. I brigatisti: gelidi rapporti su un uomo indifeso.
È impressionante riordinare i giorni di quell'estate.
A maggio il professore già intuisce che lo lasceranno solo: "Le ricordo che Ruffilli e D'Antona furono uccisi nei pressi delle loro abitazioni", scrive al capo della Digos di Bologna.
Un mese dopo, il 9 giugno, il questore di Roma gli toglie la scorta nella capitale per "cessate esigenze".
Il 1 luglio Biagi scrive ai prefetti di Roma e Bologna: "Attorno a me c'è un clima d'odio come quello che circondava d'Antona". Non esagera: è l'autore del "Patto per Milano", è già al lavoro sul "Libro bianco" del governo.
Il giorno dopo scrive al sottosegretario Maurizio Sacconi, "Spiega tu al ministero dell'Interno chi sono e cosa sto facendo", chiede aiuto anche al vicepresidente di Confindustria Stefano Parisi. Niente: allora,
il 15, bussa più in alto: scrive a Pier Ferdinando Casini. Passano cinque giorni, e i suoi timori ricevono un'inquietante conferma:
20 luglio, prima telefonata di minacce, una di quelle che troppo tardi saranno rintracciate sui tabulati dopo essere state ritenute "inventate". Biagi non sa che in quei giorni è pedinato ovunque: in facoltà a Modena, in treno, a casa. Ma qualcuno glielo fa capire:
31 agosto, altra telefonata anonima, l'agente della Digos s'è appena allontanato e la voce mormora beffarda: "Sappiamo che sei solo".
Il giorno dopo scrive una lettera angosciata al prefetto di Bologna: "Ho l'impressione che la mia situazione sia ampiamente sottovalutata?". È vero: lo ritengono "un simulatore".
Cadono le Twin Towers, il terrorismo è islamico, a chi importa quel professore insistente.
Lo lasciano sempre più solo:
il 15 settembre il ministro degli Interni Scajola ordina di risparmiare sulle scorte, Milano zelante esegue il 19, Bologna il 21, e chi lo deve sapere lo sa, perché
il 23 arriva la terza telefonata sprezzante: "Sappiamo che vai a Roma senza protezione".
Biagi scrive a Maroni un messaggio amareggiato e terribilmente profetico:
"Qualora dovesse accadermi qualcosa
desidero si sappia che avevo informato
inutilmente le autorità".
Maroni fa qualche passo, una lettera di cui però non restano tracce protocollate. Di fatto,
il 3 ottobre
cade l'ultima protezione di polizia, quella di Modena. Ora Biagi è
davvero il bersaglio "più economico", come dice l'amico Giuliano
Cazzola: "massima resa minimo rischio".
L'istruttoria di morte è terminata.
Il 12 ottobre, il telefonista anonimo ha un tono irridente: "Scrivi, scrivi pure?".
Biagi ha paura, ma non è un pavido.
Scriverà
ancora, ma solo sui giornali: basta lettere inutili alle autorità.
Anche nelle questure non si scrive più di lui, ci penserà
il ministro Scajola a spiegare il motivo: "Quel rompicoglioni?".
Anche i brigatisti, in gennaio, smettono di scrivere: caricano le rivoltelle indisturbati.
di MICHELE SMARGIASSI – LA REPUBBLICA - (11 novembre 2003)
[(Con i colori e gli a capo ho solo voluto rendere più leggibile l’articolo.
Non
mi è sembrato inutile, inoltre, evidenziare la successione temporale
della tragedia, le parole del professor Biagi, i protagonisti
istituzionali che lo lasciarono indifeso, senza preoccuparsi di
verficare la sua attendibilità (per esempio, i tabulati telefonici
potevano essere controllati prima e non dopo l’assassinio)].
UNA DOMANDA: PERCHE' SI VA VERSO L'ARCHIVIAZIONE?
DAL MINISTRO SCAJOLA IN POI I RESPONSABILI DELLA PROTEZIONE DEL
PROFESSOR BIAGI SONO TUTTI NOTI.
NON SONO RESPONSABILI ALMENO DI "OMISSIONE DI SOCCORSO"?