Francesco Pullia
Vivisezione, bancarotta scientifica. Intervista al prof. Marco Mamone Capria
06-03-2012
Marco Mamone Capria (www.dmi.unipg.it/mamone) insegna Meccanica Superiore per il Corso di Laurea in Matematica (dove ha anche insegnato Epistemologia) all’Università di Perugia. Ha insegnato Storia ed Epistemologia della Matematica e delle Scienze per tutti e nove i cicli della SSIS (Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario) dell’Università di Perugia. Ha fatto parte per due trienni del Comitato Etico di questa Università. È stato organizzatore di diversi convegni internazionali. È autore di studi su questioni di fondamenti della fisica, di metodologia e applicazioni delle scienze biomediche, di epistemologia e di storia della scienza; su questi temi ha tenuto numerose conferenze. Coordina il progetto "Scienza e democrazia” ed è dal 2007 presidente della Fondazione Hans Ruesch per una Medicina senza vivisezione. Una sintesi delle sue idee sui sulla ricerca scientifica si trova nel suo contributo al dibattito in corso su scienza e democrazia promosso dalla Fondazione Diritti Genetici.Tra i libri usciti a sua cura: Scienza e democrazia, Napoli, Liguori (2003); Scienza, poteri e democrazia, Roma, Editori Riuniti (2005); Physics Before and After Einstein (Amsterdam, IOS), Hans Ruesch, La medicina smascherata, Roma, Editori Riuniti (2005); Hans Ruesch, La figlia dell’imperatrice, Viterbo, Stampa Alternativa (2006).
Professore, i vivisettori fanno quadrato arrivando addirittura a sostenere, da un lato, che anche un intervento di appendice o un parto cesareo sarebbero forme di vivisezione e, dall'altro, che la notevole e ampia documentazione fotografica e multimediale esistente, reperibile anche in internet, non corrisponderebbe a realtà…
Io credo molto nel confronto intellettuale, e sono grato a chi critica tesi a cui sono favorevole, perché, per dirla con Popper, la differenza tra l'ameba e Einstein è che l'ameba muore insieme alla teoria che incorpora mentre Einstein è capace di far morire al posto suo le teorie confutate. Ma quando leggo cose come quelle da Lei citate, la mia netta sensazione è che i vivisezionisti sono ormai allo stadio dell'arrampicamento sugli specchi. Solo che ciò che si sa delle mosche non può estrapolarsi a loro, cioè si sono messi in grave pericolo di cadere... ma nel ridicolo. Dico "ridicolo" perché far finta di non sapere qual è il significato tecnico del termine “vivisezione” quale è usato nel dibattito scientifico da più di un secolo e mezzo (l'ha codificato già Claude Bernard), è manifestamente una strategia perdente. È come se si volesse discutere della schizofrenia ragionando intorno all'etimologia di questa parola...
Quanto alla documentazione, ci si dovrebbe chiedere come mai i vivisettori sono così restii a far entrare le cineprese nei loro laboratori, e perché la documentazione disponibile è quasi totalmente il frutto di incursioni sotto copertura di attivisti. Una volta, per spiegare a chi ci legge che la segretezza dei laboratori di vivisezione è un fatto e non un'insinuazione, avrei dovuto riprodurre una quantità di prove documentali che il lettore comune si sarebbe ben presto stancato di esaminare. Dall'ottobre del 2004 mi posso limitare a dire: guardate la puntata “Uomini e topi” di REPORT. Bastano già le prime scene per capire che senza una segretezza da base militare la vivisezione non sopravvivrebbe un solo giorno. E questo non solo perché si vedrebbe che l'illegalità ne è un tratto pervasivo, ma anche perché ciò che viene fatto legalmente è ben lungi dal soddisfare le richieste dell'umanità e della razionalità. È stato detto del vegetarismo che se le pareti dei mattatoi fossero di vetro, nessuno vorrebbe mangiare più carne; analogamente si può dire che se lo fossero le pareti dei laboratori di vivisezione, saremmo tutti antivivisezionisti. Questo i vivisettori lo sanno anche troppo bene.
Quelli che Ruesch chiamò efficacemente “falsari della scienza” continuano a ripetere monotonamente il refrain che la vivisezione sarebbe diversa dalla sperimentazione animale. Una vecchia storia per eludere una duplice realtà: l’inutilità e il fallimento, dal punto di vista scientifico, del ricorso all’utilizzazione di altre specie animali (oltre a quella umana) e la sofferenza pervicacemente inferta ad altri esseri…
Sì, non c'è dubbio. Di nuovo, non è questione di opinioni, perché esistono ormai diversi studi sistematici sul valore della sperimentazione animale come trampolino per la scoperta in campo medico. Ebbene, mi dispiace per chi pratica questa metodica perché veramente ci crede (di sicuro ce ne saranno: nel paese della “nipote di Mubarak” non si possono porre limiti alla credulità), ma tali studi hanno tutti dato risultati nettamente negativi: le pretese di modellizzare su altre specie animali problematiche mediche umane sono state dimostrate infondate. Ovviamente bisogna capire che qui si sta parlando di metodologia, non di aneddotica: nessuno ha mai sostenuto che le ipotesi basate su esperimenti effettuati su animali siano sempre state smentite. Ma lo stesso si può dire degli oroscopi e dei sogni premonitori, a cui, ciò nonostante, nessuna persona razionale e ben informata può prestare credito.
Prestigiose riviste come “Lancet” e “Nature”, di certo non “animaliste”, hanno pubblicato opinioni estremamente dure sulla vivisezione da un punto di vista scientifico...
Sì, si tratta di pareri molto autorevoli, di singoli scienziati e di società scientifiche, che prospettano per la sperimentazione animale un ruolo al più residuale, e sicuramente né centrale né essenziale per la ricerca medica. La cosa più favorevole che oggi un analista onesto possa dire sulla vivisezione è negativa: e cioè che si tratta di una metodica che non è mai stata validata; quindi chi l'appoggia lo fa per fede – una fede misteriosamente lasciata intatta dai tanti disastrosi fallimenti... Inoltre bisogna considerare che quando una rivista come Nature, che peraltro ha sempre appoggiato la vivisezione, riporta al riguardo giudizi negativi, lo fa di solito in forme che cercano il più possibile di evitare di definire apertamente lo stato della vivisezione per quello che è, cioè una bancarotta scientifica: ma chi è pratico di questa letteratura e del giornalismo scientifico “ufficiale” capisce che è proprio questo che si intende. E certamente quei giudizi negativi non sono mossi da interesse per il benessere degli animali, ma dalla sconsolata e inevitabile presa d'atto che la vivisezione non funziona, nel doppio senso che 1) mette a rischio la tutela o il recupero della salute dei cittadini e 2) sottrae preziosissime risorse a indirizzi più promettenti e affidabili. Per usare un'espressione dell'epistemologia contemporanea, la vivisezione è un programma di ricerca degenerato. Penso che un giorno non lontano verrà usato come esempio di questo fenomeno storico nei manuali.
È stato anche detto che la sperimentazione sull’animale sarebbe indispensabile in certi settori della ricerca e “complementare a quella che viene fatta con sempre più frequenza su colture di cellule in vitro”…
Quello della complementarità è, nonostante l'intenzione conciliativa, forse l'argomento più inconsistente. Il punto è che non è vero che, di regola, gli esperimenti su animali precisino o consolidino i risultati ottenuti sulle colture cellulari umane, chip genetici, simulazioni al computer ecc. Gli esperimenti su animali danno risultati disparati e perennemente reinterpretabili, possono cioè essere usati per confermare o smontare qualsiasi risultato ottenuto per altra via. Nel quadro della ricerca biomedica sono non una scialuppa di salvataggio, ma una mina vagante. Quello che succede con la vivisezione rassomiglia molto a quello che sta accadendo con il progetto della Tratta ad Alta Velocità (TAV) Torino-Lione. I sostenitori della TAV si guardano dal confrontarsi in un dibattito pubblico con i tanti esperti che da anni sostengono, con dovizia di argomenti, che questo progetto è economicamente ed ecologicamente disastroso: si limitano a insistere, con la tipica ostinazione di chi ha un'agenda inconfessabile, perché lo si porti avanti. Analogamente il vivisezionista sa che in un confronto con, per esempio, Claude Reiss, di Antidote-Europe, avrebbe inevitabilmente la peggio. Il guaio è che al contrario dell'ameba popperiana a cui tanto il vivisettore rassomiglia, sono i cittadini e non il vivisettore a morire per effetto di una medicina dominata dalla vivisezione.
Qualcuno ha affermato che i sostenitori dei modelli alternativi vorrebbero far tornare la scienza al Medio Evo tacciando, a mo’ di anatema, di “fondamentalismo verde” chi mette in dubbio la scientificità della vivisezione. Non è vero, invece, proprio il contrario, e cioè che i fautori della vivisezione sempre e ad ogni costo hanno lo stesso atteggiamento dogmatico e ostinato di chi mandò al rogo Bruno e costrinse ad abiurare Galileo perché mettevano a soqquadro un impianto, quello aristotelico-tomistico, su cui si reggeva la scienza di allora?
La mia prima reazione quando sento accuse fumose come quelle da Lei citate è chiedere a mia volta ai difensori della vivisezione: ma voi siete soddisfatti dello stato attuale della ricerca medica? Pensate, per esempio, che abbiamo fatto passi avanti decisivi nella cura delle malattie degenerative? Perché se la risposta è, come dev'essere, un solenne “no”, allora bisogna tenere presente del piccolo particolare che in questo insuccesso la vivisezione è pienamente coinvolta. La vivisezione non è una novità che alcuni pionieri stanno faticosamente cercando di introdurre, ma un programma di ricerca decrepito e, anzi, in avanzato stato di putrefazione. Certo, mi rendo conto che chi ha costruito le sue competenze e la sua carriera sulla manipolazione invasiva di animali non può facilmente riconvertirsi, né professionalmente né psicologicamente, a una concezione della ricerca medica che riconosce il carattere specie-specifico della maggior parte dei problemi medici più importanti e urgenti. Dovrebbe avere il coraggio di capire che con il futuro – e, ahimè, anche con il presente – della ricerca medica egli non ha molto da spartire. Ma questo tipo di coraggio è molto raro.
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