sabato 30 settembre 2006

Tortura: il Senato USA approva


 September 30, 2006


Detainee Bill Shifts Power to President




Speaker J. Dennis Hastert, with other Congressional leaders, signing the detainee treatment bill Friday.


By SCOTT SHANE and ADAM LIPTAK


WASHINGTON, Sept. 29 — With the final passage through Congress of the detainee treatment bill, President Bush on Friday achieved a signal victory, shoring up with legislation his determined conduct of the campaign against terrorism in the face of challenges from critics and the courts.


Rather than reining in the formidable presidential powers Mr. Bush and Vice President Dick Cheney have asserted since Sept. 11, 2001, the law gives some of those powers a solid statutory foundation. In effect it allows the president to identify enemies, imprison them indefinitely and interrogate themalbeit with a ban on the harshest treatment  (sebbene con una proibizione dei trattamenti più duri) — beyond the reach of the full court reviews traditionally afforded criminal defendants and ordinary prisoners. ... continua QUI.


Il problema è proprio questo: è la convinzione di poter rinnegare, con una nuova criminale legislazione, il "nostro" percorso di civiltà cominciato alcuni secoli or sono e arrivato, passando per le convenzioni di Ginevra, alla


"CONVENZIONE CONTRO LA TORTURA ED ALTRE PENE O TRATTAMENTI CRUDELI, DISUMANI O DEGRADANTI" del 1984:





La Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti è stata adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984 ed è entrata in vigore il 26 giugno 1987.

Essa richiede, tra l'altro, agli Stati parte di


. incorporare il crimine di tortura all'interno della propria legislazione nazionale e di punire gli atti di tortura con pene adeguate;


. intraprendere una rapida e imparziale inchiesta su ogni presunto atto di tortura; 


. assicurare che le dichiarazioni rese sotto tortura non vengano utilizzate come prove durante processi (eccetto che contro una persona accusata di tortura, come prova che tale dichiarazione sia stata resa);


. riconoscere e far applicare il diritto delle vittime di tortura e dei loro parenti più stretti (dependants) a ricevere un equo e adeguato risarcimento e recupero (psico-fisico e sociale).

Nessuna circostanza eccezionale - come uno stato o una minaccia di guerra, instabilità politica interna o qualsiasi altra pubblica emergenza - può essere invocata (addotta) come giustificazione di atti di tortura. La stessa disposizione vale per quell'individuo che abbia compiuto tali atti in seguito ad un ordine di un superiore o di autorità pubblica.

Agli Stati parte è proibito rinviare una persona in uno Stato nel quale egli/ella potrebbe essere a rischio di subire tortura (principio di non-refoulement).

Allo stesso tempo gli Stati dovranno assicurare che i presunti responsabili di atti di tortura presenti sul territorio di propria giurisdizione vengano sottoposti a processi o estradati in un altro Stato per essere sottoposti a processo.

[…]

Articolo 3

1. Nessuno Stato parte espellerà, respingerà o estraderà una persona verso un altro Stato nel quale vi siano seri motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta alla tortura.

2. Al fine di determinare se tali motivi esistono, le autorità competenti terranno conto di tutte le considerazioni pertinenti, ivi compresa, se del caso, l'esistenza nello Stato interessato di un insieme di violazioni sistematiche dei diritti dell'uomo, gravi, flagranti o massicce.





Non me l'aspettavo questo voto del Senato USA, anche perché avevo puntato molto sulla "ribellione" dei senatori repubblicani John McCain, Lindsey Graham e John Warner.


Tuttavia anche in casa nostra, in Italia, c'è chi la pensa come mister Bush e compagni. Angelo Panebianco docet. E docet sul nostro maggior quotidiano, il Corriere della Sera. Sul voto in favore della legalizzazione della dottrina Bush del 29 settembre scorso non ho trovato nulla nei nostri giornali, forse per distrazione, forse perché online non c'è tutto. Ma si tratta di un argomento enorme, secondo, da mettere con rilievo in prima pagina.


PS. Ma quali Stati parte hanno firmato quella convenzione? L'Italia l'ha fatto, mi pare, ma non ha inserito il crimine nel codice penale. Ci fu un intervento della Lussana (Lega) in favore dei trattamenti non adeguati ammissibili per una volta (la prima)...dovrò ritrovare il post in cui esponevo quella vergognosa vicenda nostra. Per il resto non ne so più nulla. Urge informarsi.


 



lunedì 18 settembre 2006

La guerra al terrorismo e l´immoralità della tortura




GUSTAVO ZAGREBELSKY


 


I politologi e i filosofi non sono soliti attribuire molta importanza alla saggezza del diritto, che invece spesso compendia la lezione di secoli di lacrime e sangue e di esperienza pratica.




Così, nelle discussioni odierne, di là e di qua dell´oceano, non capita di vedere ricordato che la tortura è oggetto di generale e incondizionata condanna in tutti i documenti internazionali sui diritti umani




  • art. 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948;



  • art. 3 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell´uomo e delle libertà fondamentali del 1950;



  • art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966;



  • art. II-64 del progetto di Trattato costituzionale per l´Unione europea) e che una Convenzione del 1984 «contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti», interamente dedicata alla messa al bando dal mondo di queste pratiche, ne prevede la perseguibilità da parte dei tribunali di tutti i paesi ove si trovi il colpevole, indipendentemente dal luogo ove il delitto sia stato compiuto e senza che sia invocabile giustificazione alcuna, come le circostanze eccezionali di guerra o di minaccia di guerra, o come l´instabilità politica interna.



Questa unanimità si presta a essere semplicemente ignorata con leggerezza? Non significa nulla per coloro che pensano di avere qualcosa da dire e vogliono "fare opinione" su questioni di tanto peso e tanta gravità?




Gli strateghi della guerra al terrorismo ripropongono l´antica questione della legittimità della tortura e sostengono la necessità di una concezione, diciamo così, permissiva dello Stato di diritto. Il terreno della discussione è segnato dalla tensione tra sicurezza e libertà. Sicurezza e libertà vivono normalmente in un rapporto inverso d´implicazione.



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LA TORTURA E I TERRORISTI


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Supplizi e pena di morte riducono l´essere umano a mera materia vivente priva di difesa. Ammettere l´uso della violenza per ragioni di sicurezz significa far crescere l´odio e la barbarie


Gli strateghi della guerra al terrore ripropongono l´antica questione della sua legittimità e la necessità di una concezione permissiva dello Stato di diritto.


Di fronte a imminenti pericoli gli atti ritenuti necessari per sventarli diventano giustificati in forza del principio della necessità


Dove c´è più insicurezza, ivi c´è meno libertà. Così, chi vuole libertà deve provvedere alla sicurezza e, al contrario, chi vuole togliere libertà incomincia col diffondere insicurezza e paura. Che questo rapporto esista, almeno per chi consideri realisticamente la questione, è tanto chiaro da non meritare altre parole.


Quanto segue mira a portare argomenti alla tesi seguente: si può discutere se il bilanciamento tra sicurezza e libertà possa giustificare, e in quale misura, controlli sulle comunicazioni, indagini sull´origine e la destinazione di ricchezze sospette, restrizioni dei movimenti delle persone, perquisizioni di abitazioni, impiego della forza pubblica, "fermo" delle persone sospette, isolamento carcerario per certi periodi di tempo, e altre pur pesanti cose di questo genere; ma non si può discutere di bilanciamento a proposito della tortura e ciò per ragioni (a) di moralità e (b) di efficacia. Per una volta, l´una e l´altra vanno d´accordo.



(a) La tortura è normalmente associata, per esempio nei documenti internazionali sopra ricordati, alla riduzione in schiavitù e al genocidio, e insieme con questi è condannata come crimine contro l´umanità. In effetti, c´è qualcosa di essenziale che apparenta questi delitti e che spiega e giustifica la comune esecrazione. Per usare un´espressione di Giorgio Agamben, questo qualcosa di comune è la degradazione dell´essere umano a "nuda vita" biologica, a mera materia vivente, priva di ogni autonomia e protezione, inerme di fronte al puro arbitrio di chi, per i propri fini, esercita su di essa un potere illimitato e incontrollato. Per chi crede che sia possibile parlare di "progresso morale dell´umanità" o, almeno, formulare giudizi morali riguardanti le organizzazioni sociali, il rigetto della schiavitù, del genocidio e della tortura è il segno minimo e, per questo, irrinunciabile della coscienza civile in cammino. All´elenco, come crimine contro l´umanità, dovrebbe aggiungersi la pena di morte, sol che si considerino i momenti finali prima dell´esecuzione, i più moralmente ripugnanti, quando il condannato, spogliato ormai di ogni difesa e speranza e reso ebete con sostanze droganti, è cosa vivente inerte, nelle mani di esseri umani che la mettono a morte.


Accettare compromessi morali a giustificazione della condizione di chi, come in tutti questi casi, è totalmente privato di dignità e posto letteralmente nelle mani di qualcuno che può fare di lui ciò che vuole, significherebbe un enorme passo all´indietro, un dover ricominciare da zero, dai tempi in cui schiavitù, supplizi e stermini di massa erano non solo tollerati ma perfino giustificati come diritti naturali dei più forti. Significherebbe, in breve, un tradimento dell´umanità, dei suoi sforzi e delle sue sofferenze per uscire dallo stato belluino, dove vige solo la legge del più forte e la vita del più debole non vale niente. Questo cammino non può essere sottovalutato nemmeno registrando il grande scarto, anzi lo scarto crescente nella nostra epoca, tra la realtà morale e quella fattuale perché abbattere o abbandonare la prima significherebbe glorificare la seconda e i crimini della cosiddetta bio-politica, la politica che fa della nuda vita (altrui) un suo strumento.


Naturalmente, leggendo queste proposizioni si starà pensando che tra i crimini contro l´umanità rientrano anche quelli del terrorismo ed esattamente nello stesso senso di cui si è detto circa la tortura: anche i terroristi considerano gli esseri umani come nuda vita, da gettare nella lotta come materia bruta. Anche questa è bio-politica. E si starà per concludere che, inumanità per inumanità, la tortura, senza cessare d´essere strumento deplorevole, può diventare accettabile come male minore o effetto solo secondario, almeno fino a quando non sarà resa superflua da altri mezzi legali efficaci di cui la cooperazione internazionale si sia dotata e che, finora, scarseggiano, a dispetto degli sforzi profusi (un progetto di convenzione generale contro il terrorismo si scontra con difficoltà già sulla definizione di ciò che si vorrebbe proscrivere).


Ma prima di arrivare a questo: che un´infamia (il terrorismo) ne giustifica un´altra (la tortura) se serve, aspettiamo un momento. Il discorso, dal terreno della moralità assoluta si sposta a quello della moralità relativa, dell´efficacia rispetto al fine.



(b) Che cosa faresti tu se avessi tra le mani un terrorista che sa dove e quando una bomba è stata collocata per scoppiare tra la folla? Se attraverso una confessione estorta con violenza potessi salvare molte vite da un attentato? Sono punti interrogativi che pongono dilemmi etici non eludibili, ma non dimostrano quello che vorrebbero dimostrare: che lo Stato di diritto, in questi casi, è impotente e che, perciò, occorre comprometterne i principi in favore della sicurezza.


Di fronte a gravi e imminenti pericoli per sé e per altri, gli atti ritenuti necessari per sventarli, anche quelli che altrimenti sarebbero gravi reati, diventano, infatti, giustificati non solo moralmente ma anche giuridicamente, in forza del principio dello "stato di necessità", un principio comune a tutti gli ordinamenti giuridici. È dunque totalmente inutile, per questi casi, invocare sospensioni o attenuazioni della legalità.



Quelle domande, però, parlando di una cosa, di fatto, tendono a giustificarne un´altra: precisamente, parlano della violenza per sventare pericoli attuali e certi (cosa per la quale non c´è bisogno di alterare il sistema giuridico) e mirano a giustificare la violenza come strumento d´inquisizione, per estorcere informazioni e provocare confessioni da usare nei processi (cosa per la quale, invece, occorrerebbe sovvertire i più elementari principi del diritto). Una cosa è la violenza come difesa occasionata da impellenti circostanze di fatto; un´altra, come mezzo per condurre indagini di polizia.



Ma la tortura, a questo ultimo fine, è uno strumento efficace?



La legittimità, alla stregua della morale relativa o strumentale, dipende dall´efficacia. La criminologia che da secoli ha combattuto la sua battaglia per l´abolizione della tortura ne dubita; i dubbi aumentano con riguardo a organizzazioni criminali cementate dal fanatismo. Su chi non ha nulla da confessare, la violenza è pura e semplice gratuita crudeltà che, semmai, può indurre la vittima a inventare qualsiasi cosa per smettere dai tormenti. Chi sa ed è fortemente motivato tacerà fino alla fine o dirà cose utili non a indirizzare le indagini, ma a sviarle. Solo chi sa e non è fortemente motivato forse parlerà. Ma il terrorismo islamico si avvale di terroristi che non siano fortemente motivati? Non sono essi pronti a morire? Non trovano anzi nella morte per la causa la ragione del loro paradiso? Soprattutto, si può pensare che le organizzazioni terroristiche non prendano le cautele per evitare che i loro agenti, una volta caduti nelle mani di una polizia torturatrice, abbiano qualcosa da rivelare sotto i tormenti? Non tutti i dirottatori dell´11 settembre, a quanto si è detto, non si conoscevano l´un l´altro.



L´utilità per lo scopo dichiarato è quantomeno incerta (nemmeno Abu Ghraib e Guantanamo, con i suoi metodi, hanno prodotto risultati); certa è invece la barbarie che penetra nei rapporti civili. La tortura assolve, anzi valorizza violenza e sadismo che degradano non solo le vittime ma ancor più gli autori; comporta prelevamenti illegali di individui e segregazioni in luoghi di detenzione segreti (i "buchi neri"); richiede "esperti" addestrati all´uso tecnico della violenza; ha bisogno di tribunali speciali, processi senza pubblico e imputati senza difesa di fronte a "prove" ottenute con metodi da inquisizione; si conclude spesso con l´eliminazione fisica dei soggetti a fine trattamento, quando non servono più: tutte implicazioni che mostrano l´ingenuità, per non dire di più, dell´idea balzana di ammettere la tortura ma con garanzie legali (tortura garantita?).


I fini sono così pervertiti: la tortura, giustificata con ragioni di sicurezza, finisce per istillare nella società violenza e terrore; se non si era terrorista prima, è probabile che lo si diventi dopo. Sembra fatta apposta per moltiplicare l´odio, diffonderlo anche in chi ne era esente e ritorcerlo contro coloro che l´hanno provocato. È proprio vero che quando si dispiegano le bandiere e suonano le trombette, i cervelli vanno in soffitta.


Dunque, un´immorale stupidità. Eppure c´è chi non si ritrae con spavento di fronte all´idea di un potere con licenza di tortura. Forse è perché, consciamente o inconsciamente, è persuaso che ciò non potrà riguardare se stesso, i suoi figli, i suoi cari o quelli del suo ceto, ma solo gli "altri", individui come loro ma di altre etnie, fedi, situazioni sociali o convinzioni politiche. Solo a questa condizione, si possono fare discorsi "freddi" sulla violenza e la sua utilità. Se così fosse, dovremmo constatare che alla base dell´apologia della tortura c´è un discorso falso: non è tanto questione di sicurezza, quanto di discriminazione razzista, religiosa, classista o ideologica.


E così s´accenderebbe una luce ulteriormente sinistra.


 



Sullo stesso argomento nel mio blog:




Contro l'apologia della tortura - Risposte ad Angelo Panebianco


venerdì 15 settembre 2006

IRAQ


«Mi sono spesso chiesto perché siamo in Iraq dal momento che Saddam Hussein non era responsabile degli attacchi dell'11 settembre»


"I am often asked why we are in Iraq when Saddam Hussein was not responsible for the 9/11 attacks."  George W. Bush, discorso commemorativo del 9/11.


Ho letto questa frase in un articolo del Manifesto: 11 settembre, il crollo e l'errore. Una frase estrapolata dal contesto, quindi da maneggiare con attenzione, onde evitare fraintendimenti.  Mi è sembrata un'affermazione pazzesca. Allora ho cercato la trascrizione del discorso dell'illustre parlatore. Il New York Times mi ha fornito un estratto, che riporto integralmente nello spazio del primo commento.


16 settembre 2006, pomeriggio


Di George W. Bush non dimenticherò lo sguardo, l'espressione del volto, il linguaggio del corpo quando ebbe la notizia dell'attentato del 9/11. Vi si leggeva una inadeguatezza al limite dell'ebetismo. Ora quell'uomo che non sa perché sia in Iraq, insiste sulla legalizzazione della tortura, come fa notare l'amico  Masso57:


Bush sconfitto su Guantanamo
Al Senato quattro repubblicani votano con i democratici contro le torture
di Bruno Marolo / Washington - da L'Unità

a si è ribellato a Bush. Ha detto no ai tribunali speciali di Guantanamo e alle carceri segrete della Cia all'estero. Il piano del presidente era già stato dichiarato illegittimo in giugno dalla Corte Suprema. Questa è la seconda sconfitta. Giovedì il presidente e il suo vice Dick Cheney erano andati insieme al Congresso per sollecitare l'approvazione della procedura per processare i capi di Al Qaeda, compreso Khalid Sheikh Mohammed, ritenuto il principale architetto dell'attacco dell'11 settembre. Il risultato è stato umiliante per loro. Quattro senatori repubblicani nella commissione per le forze armate si sono uniti ai democratici. Hanno respinto la proposta di Bush e Cheney e hanno approvato invece con 15 voti contro 9 un disegno di legge alternativo del senatore repubblicano John McCain, che dichiara inammissibili le confessioni estorte con la tortura. ... continua nei commenti

giovedì 14 settembre 2006

TIBET



"La nostra lotta rimane non violenta e libera dall'odio."


Viene naturale confrontare l'incrollabile fede del Dalai Lama nella non violenza e nella compassione, mentre proseguono inesorabilmente, millennio dopo millennio, guerre e massacri.


Ma da circa mezzo secolo il Tibet è stato oggetto di conquista da parte dell'impero cinese. E l'ambasciata cinese così si esprime: "Il Tibet è una parte inseparabile della Cina, cosa che è un fatto storico immutabile come anche il consenso internazionale".



Ieri ho letto un articolo di John Lloyd che in un certo senso definiva estrema ed estremista la non violenza di Gandhi, facendo notare che funzionò perché aveva di fronte gli inglesi e non, per esempio, i nazisti. Ho semplificato moltissimo, meglio leggersi l'articolo nel Diario de La Repubblica. Comunque il fatto è che del Tibet si parla pochissimo e, come dicono i cinesi, pare che l'universo mondo sia d'accordo con la forzata violentissima annessione e con l'oppressione tremenda del popolo tibetano. Non so più che cosa pensare e sperare.

lunedì 11 settembre 2006


C'è un blog chiamato "Fiordiloto, spirito libero" e c'era Nuova che vi riversava la sua ricchezza interiore.


"martedì, 24 agosto 2004, ore 21:24



ciao a tutti! sono nuova e molto emozionata. non immaginavo fino ad ora che la tecnologia potesse regalare momenti così magici.


scritto da: nuova"


"lunedì, 30 agosto 2004, ore 21:22



"Tra la folla ti ho intuito
E di gioia mi sorprendo;
Gli occhi ti cerco invano
e senza voce ti seguo.
Tra i vicoli nebbiosi il rimpianto
Con passo leggero accarezzo.
Mi tendo, ecco quasi ti tocco.
Ti volti e il respiro
Mi fermi con lo sguardo.
Volto greve di mille domande,
Pensoso di una vita mai goduta,
La dura consistenza del dolore
Lenir vorrei con una mia carezza.
Un sussulto e mi sveglio; non c'é
traccia di te.
Dormirò ancora e ancora....
Di nuovo ti cercherò nel sogno
e più lontano, dove tutto è silenzio."


scritto da: nuova




Ciao, carissima Nuova, ti dedico i tuoi primi post. Con tutto l'amore. h.

domenica 10 settembre 2006


Quasi un ritorno. Ricomincio dai saluti dalla mia Venezia. Per tutte le amiche e gli amici, e i viandanti tutti.