domenica 29 ottobre 2006

DEMOCRAZIA  FLUIDA



Caro diario, poiche' mi trovo all'estero, le notizie di casa nostra mi arrivano ovattate, soprattutto a causa della distanza psicologica che crea la lettura dei giornali nel web. Ovunque vedo motivi di sconforto e di disperazione, anche in  cio' che di positivo e produttivo si sta cercando di fare: l'impressione e' quella tipica degli incubi in cui si vuole correre ma si rimane inesorabilmente fermi. Oggi, nel solito eccellente articolo domenicale di Barbara Spinelli su La Stampa ho trovato una messe di testimonianze e di fatti e di idee che voglio conservare qui, per poter rileggere e ricordare e pensare che pure una qualche buona e giusta soluzione possa riportare la nostra Italia a una 'democrazia solida'


Il paese delle spie in fuga dalla politica
Obiettivo: demolire l'alternanza
29/10/2006
di Barbara Spinelli


KOMPROMATY si chiamano nella Russia di Putin quei documenti destinati a compromettere l’avversario e liquidarlo nel momento più conveniente: cosa che di solito si fa non coi concorrenti politici, ma con i nemici in guerra. Il Cremlino affida la fabbricazione dei kompromaty a organi segreti che il potere personalmente controlla, siano essi pubblici o privati. I dossier son fatti per seminare paura, e di paura si nutrono: servono a ricattare, infangare, bloccare qualsiasi alternativa al regime esistente. Sono ingredienti basilari d’ogni dittatura e d’ogni regime dove lo Stato vien confiscato da una persona, un partito o una lobby. La politica della paura che regna dall’11 settembre ha immensamente affinato le tecniche di questi poteri segreti, e la loro disinvoltura. Chi si presta a simili operazioni - politici, funzionari pubblici sleali, giornalisti - ha il più grande disprezzo dello Stato e di chi fedelmente lo serve. È abituato ai bassi servizi, non al servizio della cosa pubblica: la res publica è qualcosa che non riconosce e in cui non crede. Gli scandali scoppiati ultimamente in Italia - le rivelazioni sullo spionaggio fiscale di un gran numero di personalità e soprattutto dell’attuale capo del governo Romano Prodi, cui si aggiunge un piano del Sismi che risale all’inizio del governo Berlusconi, inteso a «disarticolare, anche con mezzi traumatici», i nemici del centrodestra - somigliano come fratelli gemelli all’uso che Putin fa del kompromaty (gli italiani, più fumosi, parlano di dossieraggio). Sono operazioni che vengono condotte a fianco dello Stato, ignorando e aggirando i molti suoi servitori onesti. È un lavoro - meglio sarebbe dire un lavorio, perché l’azione è martellante, di lungo respiro - che viene affidato a un potere non visibile, non eletto e non controllato. È un potere che fugge non solo lo Stato, ma la politica stessa: ambedue infatti - Stato e politica - sono giudicati da chi fa questi servizi come disprezzabili, inesistenti, comunque aggirabili.

Per questo Carlo Federico Grosso (QUI) ha dato a quest’ennesima criminalità di corpi dello Stato (elementi della Guardia di finanza e del Sismi, appaiati) il nome di eversione, ieri su questo giornale. Eversione è una destabilizzazione permanente, un’erosione sistematica della cosa pubblica. Il dizionario Battaglia ricorda come fin dal ’400, nelle parole di Leon Battista Alberti, significhi «sovvertimento radicale e rivoluzionario (letteralmente atterramento) degli ordini politici o della struttura della società, compiuto dall’interno». Nell’ultimo decennio i commentatori hanno discusso spesso attorno alla natura del potere berlusconiano: era un Regime o no? Qui basti rammentare che l’eversione è arma essenziale d’ogni regime autoritario, brandita per conquistare il potere e poi mantenerlo. I cittadini che assistono all’emersione di questi crimini sanno che la storia italiana incessantemente li riproduce: ogni volta con le loro oscurità, che diventano perenni; con i loro personaggi, di cui si dimenticano presto i reati. Ogni volta con i loro giudici, accusati di malafede e fallimento per il solo fatto che non sempre riescono a condannare, pur avendo accertato colpe non confutate (è il caso di Andreotti, assolto anche se giudicato reo di associazione con la mafia fino al 1980).

Ma i cittadini sanno anche che nell’ultimo decennio le azioni dei corpi dello Stato che agiscono nell’illegalità si son moltiplicate, bersagliando ripetutamente la persona di Romano Prodi. La magistratura dirà se queste operazioni, che hanno come protagonisti Guardia di finanza, Sismi e servizi privati, hanno risposto a ordini del centrodestra che ha governato nel ’94 e nel 2001-2006. Fin da ora sappiamo tuttavia che le manovre hanno colpito soprattutto l’opposizione a Berlusconi, e che hanno fatto di tutto per inquinare o svuotare contropoteri indispensabili in democrazia (stampa e magistratura). Colpisce il piano del Sismi, che risalirebbe all’inizio del governo Berlusconi del 2001 e che Guido Ruotolo ha portato alla luce su La Stampa di giovedì. Il dossier cui si fa riferimento è stato trovato il 5 luglio dagli uomini della Digos, nella sede distaccata del Sismi diretta da Pio Pompa, uomo molto legato a Pollari, e conferma l’esistenza di un’eversione circostanziata. Colpisce soprattutto a causa del linguaggio: i redattori del piano d’azione si propongono di «colpire e disarticolare una struttura nemica del centrodestra con azioni anche traumatiche», è scritto nel dossier.

Disarticolare, struttura nemica, azioni traumatiche: chi ricorda i comunicati delle Brigate Rosse ritrova qui un vocabolario immondamente familiare. Un vocabolario che rimanda al linguaggio terroristico di servizi come il Kgb, rinato dalle ceneri grazie a Putin. Paralleli storici di questo tipo sono stati evocati da personalità note per la loro circospezione, in Italia. Degno di menzione è il discorso tenuto a Torino dal procuratore capo Marcello Maddalena, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2006. Il magistrato si riferiva a una legge ad hoc del governo Berlusconi, che aveva impedito a Gian Carlo Caselli di divenire procuratore nazionale antimafia, e disse così: «L’episodio mi ha fatto venire in mente un motto tristemente famoso: colpirne uno per educarne cento. Hanno sbagliato i conti: siamo in novemila (tanti quanti sono i magistrati, ndr)». Colpirne uno per educarne cento era un motto di Mao Tse-Tung, fatto proprio dalle Brigate Rosse. Chi disarticola con azioni traumatiche ha questo in mente: colpisce per educare, cioè per avvertire ricattando, impaurendo. Chi opera in tal maniera vuol educare chi ancora serve lo Stato, scoraggiando la sua fedeltà. Vuole educare i giudici abolendone l’autonomia, educare i cittadini abolendo la fiducia che vorrebbero avere nel proprio Stato. Vuol educare infine l’opposizione, ricordandole che l’alternanza è - in Italia - la più pericolosa, stravagante, sconveniente delle avventure.

Questo si è inteso e s’intende ferire e demolire, usando i corpi dello Stato per azioni illegali. Non è questione solo di Prodi, nei cui conti si è spiato 128 volte con la speranza di eliminarlo come candidato alla successione di Berlusconi. Berlusconi stesso pare sia stato spiato. Il senso generale di queste operazioni destabilizzanti, che dopo Mani Pulite e la fine dei vecchi partiti non sono diminuite ma si son dilatate e hanno attinto forza nell’anti-politica, è quello di demolire due cose congiuntamente: l’alternanza intesa come alternativa, e il bipolarismo che ne è la premessa. In uno Stato slabbrato e sistematicamente aggirato - Aldo Schiavone lo spiega bene, nel libro Italiani senza Italia - il bipolarismo non può funzionare, o funziona appunto così: sempre alle prese con azioni eversive, e con un potere che fugge il più lontano possibile dalla politica, sino a divenire totalmente opaco e a smaterializzarsi.

L’azione eversiva di corpi che formalmente appartengono allo Stato ma in realtà rendono servizi a chi se n’è impossessato ha come scopo quello di creare una situazione in cui cambiare le cose (il funzionamento dell’amministrazione pubblica, la forma più meno trasparente della politica, la giustizia) diventa impossibile. Più crescono le forze di chi vuol cambiare, più i poteri paralleli fuggono per irrobustire lo status quo e impedire riforme profonde d’ogni tipo. Una volta era il denaro a fuggire, destabilizzando l’Italia, quando si annunciavano cambiamenti politici sostanziosi. Oggi è il potere stesso a mettersi in fuga: fuga dalla politica, dalla giustizia, dalla buona amministrazione. Dalla P2 è sempre la stessa storia: è la storia di poteri che investono tutto sulla debolezza della cosa pubblica, rendendola sempre meno pubblica e sempre più privata. Berlusconi forse non è all’origine di tali manovre. Ma senz’altro è all’origine di questa confisca-privatizzazione della politica, del prevalere metodico dell’interesse particolare su quello generale, di una retorica che critica lo Stato per meglio estenderne le violenze arbitrarie. Il suo stesso ingresso in politica avvenne all’insegna di tale privatizzazione. Lui stesso spiegò a Enzo Biagi la molla che nel ’94 lo fece scendere in campo: «Caro Biagi, se non entro in politica mi fanno fallire».

Una delle cose più perturbanti in queste ore è la reazione intimorita, lenta, di molti politici: non son pochi, nell’opposizione e fuori, che proprio a causa di questi scandali sostengono la necessità di larghe intese, più che di vero risanamento. Proprio ora urgerebbe rinunciare a quel bipolarismo e a quelle chiare alternanze che i poteri paralleli intendono da decenni disarticolare, traumatizzare. Parlare in queste condizioni di larghe intese significa prender atto della disarticolazione, cedere alla sua pressione eversiva, farsi metter paura, scegliere non il compromesso ma la compromissione. Significa riconoscere che in Italia, a differenza dei Paesi dove la democrazia cammina, non sono praticabili alternanze autentiche perché non esiste una struttura dello Stato che sopravviva integra, con i suoi leali e neutrali servitori, ai mutamenti di maggioranza. Significa convincere gli italiani che tutti i politici si equivalgono, che nessuno servirà qualcosa di diverso dall’interesse privato.

Può darsi che un giorno l’Italia avrà bisogno di larghe intese (o non potrà far altro che questo, come ha dovuto Angela Merkel, senza volerlo, in Germania). Ma le larghe intese come risposta a quel che sta accadendo, è congedo dal bipolarismo e vittoria dell’eversione. Due sono infatti le conclusioni che si possono trarre dagli odierni avvenimenti. O il bipolarismo e l’alternanza sono improponibili in Italia, perché lo Stato non esiste, e allora le larghe intese sono la via, anche se la via dell’abdicazione. Ci sono pessimisti che condividono quest’opinione e parlano di alleanze tra volenterosi, senza mai chiarire cosa i volenterosi debbano volere. Oppure si riforma lo Stato non limitandosi a far cadere qualche testa, ben sapendo che minacciati - dunque da salvare - sono sia le alternanze sia il bipolarismo. Stare in bilico ed esitare è la terza via, tante volte imboccata e tante volte perdente. Quando scoppiano scandali di questo genere si sente sempre solo un’esclamazione: «È inaccettabile!». La parola è vana: andrebbe bandita dal dizionario dei politici rispettabili. Il politologo francese Raymond Aron diceva che nel momento stesso in cui prendi tempo per pronunciare l’aggettivo - inaccettabile - hai già accettato. Vuol dire che la minaccia oscura ha funzionato. Che cerchi un accomodamento con l’eternità dell’illegalità. Che hai rinunciato a combatterla, e non credi già più né nella politica, né nell’alternanza.


Fonte: La Stampa, - Analisi - Barbara Spinelli

venerdì 27 ottobre 2006















»Tutto ciò che non è tradizione è plagio, dice una frase di Eugenio D'Ors scolpita di fronte al Museo del Prado a Madrid. Ma che cos'è, propriamente, la tradizione? Il termine compare inevitabilmente nelle discussioni, interne ed esterne alla Chiesa, relative alle prese di posizione, agli indirizzi e agli orientamenti di quest'ultima, specialmente in rapporto ai problemi etico-politici di una società che, come quella contemporanea, sta trasformandosi con rapidità sconcertante e rimescolando o sgretolando i valori sui quali sinora si è fondata.
Nei dibattiti e nei commenti dedicati all'atteggiamento della Chiesa si contrappongono spesso i tradizionalisti ai progressisti, quasi sempre in riferimento al Concilio Vaticano II, che sarebbe avversato dai primi per le sue innovazioni e, per gli stessi motivi, caro ai secondi. Se le cose stessero effettivamente così, i primi non avrebbero il diritto di chiamarsi o di essere definiti con quel termine e si porrebbero anzi fuori dalla Chiesa, com'è infatti accaduto ad alcuni gruppi a suo tempo scomunicati per tali motivi (per esempio il movimento di Lefebvre) e ora rientrati all'ovile. Un autentico tradizionalista accoglie tutta la tradizione, il Concilio Vaticano II come quello I e quello di Trento; può e deve condannare le colpe mondane della Chiesa, ma deve accettare integralmente il suo magistero, anche se può personalmente sentirsi più vicino a certi momenti che ad altri e apprezzare Giovanni XXIII più di Pio XII o viceversa. Il tradizionalismo, in realtà, nega la tradizione, la sua incessante, creativa vitalità. Lo scriveva anni fa Rodolfo Quadrelli, saggista e poeta la cui scomparsa ha mutilato la cultura italiana di una delle sue più libere intelligenze. Cattolico fervente, fieramente originale nelle sue posizioni e sempre fedele alla Chiesa, Quadrelli non era un intellettuale di destra, come talora si è detto (basterebbe pensare a ciò che ha scritto su Allende e sul delittuoso colpo di Stato in Cile), ma non era certo di sinistra e ha criticato spietatamente — con una lucidità intellettuale che gli ha permesso di cogliere in anticipo tanti aspetti involutivi della nostra società — la supponenza progressista, la secolarizzazione che appiattisce la vita, il conformismo laicista. La Tradizione — che egli amava e che scriveva con la maiuscola — era a suo avviso negata e vilipesa dai tradizionalisti che guardano al passato e solo al passato, come se lo spirito cristiano-cattolico si fosse esaurito dopo i primi secoli di vita della Chiesa e dunque quest'ultima non avesse successivamente più nulla da dire e potesse solo ripetersi. La Tradizione, egli diceva, è la creatività spirituale della Chiesa che non perde mai la sua freschezza sorgiva e la sua vitalità, bensì si accresce di continuo, senza rinnegare nulla del passato, ma aprendosi al presente e al futuro e rispondendo alle sempre nuove esigenze della storia dell'uomo, inserendole e integrandole nella sua unità e nella sua continuità. Il tradizionalista che si ferma al passato nega e offende la Chiesa e la sua cattolicità ovvero universalità, perché la considera di fatto una morta reliquia.
I cosiddetti «teocon» — termine alquanto infelice, da gergo di gruppuscolo o da complesso rock — possono capire poco di queste cose, perché in genere non hanno alcuna esperienza del Cristianesimo e del Cattolicesimo, non l'hanno frequentato e magari credono che l'Immacolata Concezione indichi la maternità verginale di Maria anziché il suo essere immune dal peccato originale.

Della Chiesa hanno un'immagine vagamente nobile e consolatoria, così come si sa che nell'induismo ci sono divinità raffigurate con molte teste e molte braccia. La stessa autodefinizione di «atei devoti» — in cui l'arrogante professione di ateismo vorrebbe darsi una patina di cinismo libertino settecentesco, come quello degli abati galanti dell'ancien régime
— non è la migliore premessa per occuparsi di cose di fede.
La laicità è altra cosa; non si contrappone alla religione e alla Chiesa, ma è la capacità di distinguere ciò che è oggetto di fede da ciò che è oggetto di dimostrazione razionale, ciò che compete allo Stato e ciò che compete alla Chiesa. Essa si contrappone al clericalismo intollerante come al laicismo intollerante; veri laici sono stati sia credenti e praticanti, quali ad esempio Jemolo, sia non credenti e non praticanti. Che il cristianesimo e, in Paesi come l'Italia, il cattolicesimo, costituiscano un punto fondamentale di riferimento anche per i non credenti e i non praticanti è ovvio, perché la Scrittura è, insieme alla tragedia greca, il più grande sguardo gettato nell'abisso della vita ed è una linfa e radice essenziale dell'universalità umana e della nostra civiltà in particolare.
I «teocon», come chiunque altro, hanno tutto il diritto di trarre dal loro atteggiamento verso la religione l'orientamento politico che credono e di operare politicamente secondo i loro principi e interessi. Ma né essi — né chi la pensa all'opposto — possono pretendere di tirare Dio dalla loro parte. Il Regno dei cieli, ha detto Cristo, non appartiene a coloro che gridano ostentatamente «Signore, Signore!». Quei reverendi (protestanti, in questo caso) che hanno visto nella strage dell'11 settembre la punizione di Dio per le colpe degli Stati Uniti e quelli che hanno invece salutato la vittoria elettorale di Bush come la volontà di Dio,
sono ben più blasfemi degli avvinazzati che sacramentano all'osteria e che sono forse meno lontani, sia pur da peccatori, dalla tradizione.
Nessuno può pretendere di tirare Dio dalla propria parte Gli «atei devoti» è meglio che non si occupino di cose di fede

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Caro diario, questo eccellente Magris va conservato qui, fra le tappe importanti del mio blog. L'argomento e' uno di quelli che tratto spesso, quasi una fissazione. Eppure ci sono innumerevoli altre cose di cui vorrei occuparmi, se questo strano (strano?) periodo storico non fosse cosi' 'blasfemamente' occupato dal nome di Dio, sacrilegamente usato a destra e a manca e al centro come arma politica. E i capi, sia i religiosi che i politici, sono responsabili di questa situazione che offende qualsiasi senso di autentica sacra religiosita'.


Nel suo blog il 'vecchio della montagna' sta facendo un 'Lungo viaggio intorno a Dio' ( e' arrivato alla sesta puntata). Non sempre sono d'accordo con lui, che comunque, vivaddio, non e' e non si atteggia a teologo. Da lui, pero', si respira buona aria di montagna e un senso del sacro umile e lieto. Tanto per disintossicarsi vale la pena di andare a vedere.



venerdì 20 ottobre 2006

Teologia pratico-sociale del Pontefice di Roma



Ho letto il discorso tenuto da Benedetto XVI al IV Convegno Ecclesiale di Verona, cui larghissima parte della programmazione ha dedicato la RAI. Non nascondo la mia antipatia per l'assolutismo dogmatico delle sue affermazioni, giustissimo e legittimo quando e' rivolto ai cattolici, ma pesante e duro quando vi vengono inclusi i cosiddetti demoniaci laici. I discorsi di quest'uomo, a mio parere, contengono spesso, anzi quasi sempre, osservazioni e indicazioni offensive nei riguardi di chi non fa parte della sua chiesa. Per formazione intellettuale di marca illuministica i laici non reagiscono con inaccettabili violenze, come accade a taluni islamici, tuttavia colgono gli attacchi reiterati alla morale e ai valori di chi non si lascia guidare dalla sua dottrina. Il discorso completo si trova QUI.


Sono stanca della sua distorta concezione del 'relativismo' che ispira il comportamento dei laici e di quello che lui chiama 'individualismo', lasciando intendere che l'attenzione dedicata all'individuo sia avulsa dai piu' importanti valori etici, sociali e politici, che proprio dall'odiato illuminismo presero forma con piu' forza e maggiore definizione che nel passato. Intendo riferirmi a tutto il pensiero degli esseri illuminati che in ogni epoca hanno diffuso idee sublimi rispetto a qualsiasi opera di sottomissione della mente umana tipica di molte organizzazioni religiose.


Quanto al 'relativismo', in particolare, avrei parecchie cose da dire al prof. Ratzinger, a cominciare dalla sua ultima uscita sul LIMBO, definito con nonchalance una 'ipotesi teologica', anche se la questione rimarra' aperta fino al 2008. Peccato che molte 'ipotesi teologiche' siano state gabellate per verita' di fede, provocando danni e disastri di ogni genere. Ma di questo parlero' un'altra volta, magari lasciandomi andare a qualche notazione autobiografica.

mercoledì 4 ottobre 2006

4 OTTOBRE 2006


Festa di San Francesco, Patrono d’Italia


Dialogo interculturale e interreligioso


  


 


"Con la proposta di legge del 10 febbraio 2005, il 4 ottobre, festa dedicata ai patroni d’Italia, Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, è divenuto anche il giorno per la fraternità e il dialogo fra i popoli di cultura e religioni differenti. In un momento in cui infiamma la paura del diverso, il dialogo diventa lo strumento indispensabile per l’incontro e la reciproca comprensione. Per questo le iniziative messe in campo sono molteplici: si sono mobilitati gli enti locali, associazioni non governative, enti pubblici e privati… una grande mobilitazione volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della pace e del multiculturalismo come nuova frontiera per una convivenza pacifica." ( Fonte: Articolo 21 )

domenica 1 ottobre 2006

Il Congresso approva i tribunali di Bush


senatori danno il via libera al Terror Act del presidente:




  • cancellato l'habeas corpus,



  • estesa all'infinito la detenzione preventiva e la competenza delle Commissioni militari
    Franco Pantarelli - New York - Il Manifesto, 29 settembre 2006



I senatori americani erano ieri sulla dirittura finale per far passare alla storia il 28 settembre 2006 come una giornata nerissima per la democrazia americana.






Nel primo pomeriggio, l'ultimo tentativo di dare al terror bill di George W. Bush un piccolissimo elemento di decenza era fallito quando un emendamento presentato in un estremo sussulto dal repubblicano Arlen Specter, presidente della commissione Giustizia, era stato respinto. Lo scopo della sua mossa era di salvaguardare l'istituto dell' habeas corpus, cioè la norma che consente a chi viene arrestato il diritto di contestare per l'appunto il suo arresto. Non è che fosse un granché, in una legge che consente al presidente di interpretare a suo comodo la Convenzione di Ginevra, che prevede la detenzione indeterminata di chiunque, il processo di fronte alle «commissioni militari» che possono usare prove sconosciute all'imputato e accettare confessioni o testimonianze avvenute sotto tortura e tutte le altre brutture di cui si è ampiamente parlato.


Ma almeno l'emendamento di Specter salvaguardava i disgraziati che possono finire in galera per un errore di persona o magari per la denuncia di un vicino cui sono antipatici. Niente da fare, l'emendamento di Specter «rende difficile la guerra al terrore ed è irresponsabile», aveva sostenuto il suo collega Lindsay Graham (uno dei «repubblicani ribelli» di pochi giorni fa) ed è stato bocciato con 51 voti contro 48.


A quel punto, nulla più ostava al passaggio della legge nel corso della giornata di ieri, tanto che la Casa bianca stava già allestendo la cerimonia con cui Bush l'avrebbe solennemente firmata, come al solito attorniato da deputati e senatori plaudenti. Lui del resto proprio ieri mattina era andato ancora una volta al Capitol in veste di lobbyst in chief, per invitare i senatori a «seguire l'esempio» della Camera, che mercoledì aveva approvato la legge con 253 voti contro 168 al termine di un dibattito aspro ma «non troppo».


Il problema di questa legge, infatti, oltre che nel suo orrendo contenuto sta nel modo in cui si è arrivati alla sua approvazione e cioè in gran fretta e senza una discussione approfondita affinché il presidente possa firmarla oggi e tutti possano partire per i rispettivi collegi e sperare di essere confermati al loro posto raccontando agli elettori poco informati di aver posto una pietra miliare per difenderli dai terroristi e tuonando contro i democratici che hanno votato contro.


Una prospettiva cui i democratici guardano con paura, tanto che non se la sono sentita di battersi a fondo contro questa legge sfruttando le pieghe del regolamento del Senato. «Se c'è un momento in cui bisogna adottare l'ostruzionismo è questo», li aveva esortati ieri mattina il New York Times in un violentissimo editoriale, ma loro hanno preferito evitare lo scontro nella speranza (l'illusione?) di conservare la possibilità di rovesciare la maggioranza e poter sistemare le cose dopo.


Così, con i repubblicani rientrati rapidamente sotto l'ala di Bush e i democratici che li hanno lasciati fare, a denunciare l'aspetto odioso di questa legge sono rimaste le solite «anime belle», come gli scandalizzati docenti di diritto o quei 33 diplomatici che in una lettera al Congresso avevano avvertito che questa legge può essere vista all'estero come un'autorizzazione a «trattare allo stesso modo i nostri militari, diplomatici o membri delle organizzazioni non governative».


Infine l'ho trovato un articolo italiano sull'argomento. La tortura in sé è un male assoluto, ma la sua legalizzazione nella più grande democrazia del mondo supera per orrore anche la pratica stessa rendendola lecita. Sono desolata per gli americani. Spero che si salvino con una sana ripresa di consapevolezza e con una ribellione che altre volte hanno messo in atto. (Nel post precedente un articolo del new York Times).


Cara Pucci, il tuo commento era purtroppo ottimistico: disgraziatamente, come vedi, c'è qualcosa di nuovo da aggiungere, qualcosa di ancora più orribile, qualcosa che mai avremmo voluto dover registrare. Caro Mel, conosco la tua sensibilità e la tua stupenda professionalità. L'educazione su argomenti come questo non è mai abbastanza precoce né eccessiva. Sono lieta che i documenti che evidenzio ti siano utili. Questa ultima prestazione del cristiano rinato e dei suoi seguaci spero che venga giustamente condannata, quanto prima possibile. Continuo a sperare nell'impeachment, altrimenti bisognerà aspettare i tempi lunghi della Storia.