Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.[47]
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18 maggio 2013 - 29
Da anni, ormai, sotto
la maschera della ricerca di efficienza si tenta di cambiare il senso della
Costituzione: da strumento di democrazia a garanzia di oligarchie. Non dobbiamo
perdere di vista questo, che è il punto essenziale. Non è in gioco solo una
forma di governo che, per motivi tecnici, può piacere più di un’altra.
L’uguaglianza, la giustizia sociale, la protezione dei deboli e di coloro che
la crisi ha posto ai margini della società, la trasparenza del potere e la
responsabilità dei governanti sono caratteri della democrazia, cioè del governo
diffuso tra i molti. L’oligarchia è il regime della disuguaglianza, del
privilegio, del potere nascosto e irresponsabile, cioè del governo concentrato
tra i pochi che si difendono dal cambiamento, sempre gli stessi che si
riproducono per connivenze e clientele. Parlando di oligarchie, non si deve
pensare solo alla politica, ma al complesso d’interessi nazionali e
internazionali, economico-finanziari e militari, che nella politica trovano la
loro garanzia di perpetuità e i loro equilibri.
Ora, di fronte alle
difficoltà di salvaguardare questi equilibri e alla volontà di rinnovamento che
in molte recenti occasioni si è manifestata nella società italiana, è evidente
la pulsione che si è impadronita di chi sta al vertice della politica: si vuole
“razionalizzare” le istituzioni in senso oligarchico. Invece di aprirle alla
democrazia, le si vuole chiudere o, almeno, congelare. L’incredibile decisione di
confermare al suo posto il Presidente della Repubblica uscente è l’inequivoca
rappresentazione d’un sistema di complicità che vuole sopravvivere senza
cambiare. L’ancora più incredibile applauso, commosso e grato, che ha salutato
quella rielezione – rielezione che a qualunque osservatore sarebbe dovuta
apparire una disfatta – è la dimostrazione del sentimento di scampato pericolo.
Ogni sistema di potere a rischio, o per incapacità di mediare le sue interne
contraddizioni o per la pressione esterna da parte di chi ne è escluso,
reagisce con l’istinto di sopravvivenza. Ma le riforme, in questo contesto, non
possono essere altro che mosse ostili. Per questo, di fronte alla retorica
riformista, noi diciamo: in queste condizioni, le vostre riforme non saranno che
contro-riforme e il fossato che vi separa dalla democrazia si allargherà.
Contro gli accordi che nascondono contro-riforme, noi, per parte nostra,
useremo tutti gli strumenti per impedirle e chiediamo a coloro che siedono in
Parlamento di prendere posizione con chiarezza e impegnativamente e di
garantire comunque la possibilità per gli elettori di esprimersi con il
referendum, se e quando fosse il momento.
Soprattutto, a chi si
propone di cambiare la Costituzione si deve chiedere: qual è il mandato che vi
autorizza? Il potere costituente non vi appartiene affatto. Siete stati eletti
per stare sotto, non sopra la Costituzione. Se pretendete di stare sopra,
mancate di legittimità, siete usurpatori. Se proprio non vogliamo usare parole
grosse, diciamo che siete come la ranocchia che cerca di gonfiarsi per
diventare bue. Non è la prima volta. E’ già accaduto. Ma ciò significa forse
che ciò che è illegittimo sia perciò diventato legittimo?
Per questo, difenderemo
la Costituzione come cosa di tutti e ci opporremo a coloro che la considerano
cosa loro. La costituzione della democrazia è, per così dire, il vestito di
tutta la società; non è l’armatura del potere di chi ne dispone. La mentalità
dominante tra i tanti, finora velleitari, “costituenti” che si sono succeduti
nel tempo nel nostro Paese, è stata questa: di fronte alle difficoltà
incontrate e al discredito accumulato, invece di cambiare se stessi, mettere
sotto accusa la Costituzione. La colpa è sua! Non sarà invece che la colpa è
vostra o, meglio, della vostra concezione della politica e degli interessi che
vi muovono?
Su un punto, poi, deve
farsi chiarezza per evitare gli inganni. Chi vuol cambiare, normalmente, è un
innovatore e le novità sono la linfa vitale della vita politica. Per questo,
gli innovatori godono d’una posizione pregiudiziale di vantaggio. Ma, esiste
anche un riformismo gattopardesco di segno contrario: si può voler cambiare le
istituzioni per bloccare la vita politica e salvaguardare un sistema di potere
in affanno. Allora, il movimentismo istituzionale equivale alla stasi politica.
La stasi solo apparentemente è pace: è la quiete prima della tempesta.
* * *
Anche noi siamo per la
pace; vediamo che il nostro Paese ha bisogno di pacificazione, pur se esitiamo
a usare questa parola, corrotta ormai dall’abuso. Sappiamo però, anche, che la
pace è esigente, molto esigente. Non può esistere senza condizioni. Dice la
Saggezza Antica: “su tre cose si regge il mondo: la giustizia, la verità e la
pace”. E commenta così: in realtà sono una cosa sola, perché la giustizia si
appoggia sulla verità e alla giustizia e alla verità segue la pace. La pace è
la conseguenza della verità e della giustizia. Altrimenti, pacificare significa
solo zittire chi vuole verità e giustizia, per nascondere segreti, inganni e
ingiustizie e continuare come prima. Non è questa la pace di cui il nostro
Paese ha bisogno.
Non siamo né i
velleitari né i giacobini che ci dipingono. Non crediamo affatto al regno
perfetto della Verità e della Giustizia sulla terra. Sappiamo bene che la
politica non si fa con i paternoster e temiamo i fanatici della virtù
rigeneratrice. Ma da qui a tutto accettar tacendo, il passo è troppo lungo.
Siamo disposti alla pacificazione, ma a condizione che, nelle forme e con i
mezzi della democrazia, si abbia come fine la ricerca della verità e la
promozione della giustizia. Altrimenti, pacificazione è parola al vento. La
pacificazione non è un sentimento o una predica, ma è una politica. È, dunque,
una cosa molto concreta, difficile e impegnativa, perché non significa stare
tutti insieme in un patto di connivenza. Significa combattere le zone oscure
del potere, le sue illegalità, i suoi privilegi e le sue immunità; significa
operare per la giustizia in favore del riequilibrio delle posizioni sociali, della
riduzione delle disuguaglianze, dei diritti dei più deboli, di coloro che la
crisi economica ha ridotto allo stremo, spingendoli ai margini della società.
Solo questa è pacificazione operosa e veritiera.
Si dice che le “riforme
istituzionali e costituzionali” hanno questo scopo. Ma, noi temiamo che, dietro
alcune riforme “neutre”, semplificatrici e razionalizzatrici (numero dei
parlamentari, province, bicameralismo), ve ne siano altre, pronte a saltar
fuori quando se ne presenti l’occasione propizia, le quali con la pacificazione
non hanno a che vedere. Piuttosto, hanno a che vedere con ciò che si denomina
“normalizzazione”.
* * *
La procedura. Esiste,
nella Costituzione (art. 138) una procedura prevista per la sua “revisione”. Ma
oggi se ne immagina un’altra, farraginosa e facente capo a un’assemblea,
chiamata “convenzione”. Si sta cercando la via per una spallata per la quale le
procedure ordinarie, per la volontà impotente delle forze politiche, non sono
sufficienti? Già il nome induce al dubbio che di ben altro che di una
“revisione” si tratti. Le “convenzioni costituzionali” (a iniziare da quella di
Filadelfia del 1787) possono essere convocate con limitati compiti riformatori,
ma poi prendono la mano e pretendono di essere “costituenti”, cioè di scrivere
nuove costituzioni. Il fatto poi che qualcuno abbia fatto riferimento a una
“Commissione dei 75”, come la “Commissione per la Costituzione” che elaborò ex
novo la vigente Costituzione del 1947, non fa che rafforzare questa
supposizione, confermata dal fatto che ritorna il linguaggio e la mentalità
della “grande riforma”. Par di capire che si voglia la riscrittura ex novo
dell’architettura della politica. L’odierna procedura – da quel poco che si
capisce e dal molto che non si capisce – è un miscuglio in cui sono messi
insieme parlamentari ed “esperti”, scelti dai partiti, presumibilmente in
proporzione alle forze che compongono il Parlamento. Il prodotto dovrebbe
passare per le commissioni “affari costituzionali” e giungere alle Camere,
separate o riunite (presumibilmente per superare l’ostilità del Senato), per
concludersi con l’approvazione, non senza una concessione alla democrazia del
web. Il voto finale dovrebbe essere un “prendere o lasciare” (su tutto il
“pacchetto” o sulle singole parti, non si sa), senza possibilità di
emendamento. Poiché un tale procedimento è totalmente estraneo alla
Costituzione vigente, le è anzi contrario, s’immagina che poi, con una legge
costituzionale si ratificherà l’accaduto. Non è nemmeno il caso di commentare
in dettaglio questo pasticcio annunciato: la legge costituzionale di ratifica
ex post non è essa stessa la confessione che quel che intanto si fa è fuori
della Costituzione? i “garanti della Costituzione” non hanno nulla da eccepire?
la convenzione nascerebbe come proiezione di un parlamento eletto con una legge
elettorale che, col premio di maggioranza, altera profondamente la
rappresentanza, ma non s’è sempre detto che le assemblee con compiti
costituenti devono essere “proporzionali”? gli “esperti”, scelti dai partiti,
saranno dei “fidelizzati”? il loro compito non si ridurrà alla “copertura”
delle posizioni di chi li ha scelti con quello scopo? come si esprimeranno: con
una voce sola, che fa tacere i dissidenti, o con più voci? se le opinioni
saranno diverse – come necessariamente dovrà essere se gli “esperti” saranno
scelti senza preclusioni – che cosa aggiungerà il loro lavoro a un dibattito
che, tra gli esperti, dura già da più di trent’anni? se saranno chiamati a
votare, cioè a scegliere, non avremmo allora dei tecnici chiamati a esprimersi
politicamente? in fine, come potrebbero i parlamentari degnamente accettare
l’umiliazione del voto bloccato “sì-no” sulle proposte della Convenzione?
Questi arzigogoli contraddittorii non sono forse il segno della confusione in
cui si caccia la volontà, quando è impotente?
Il presidenzialismo.
Nel merito della riforma, ancora una volta, dietro le quinte s’affaccia la
volontà di presidenzialismo: “semi” o intero. L’argomento sul quale, da ultimo,
si basano i presidenzialisti, è il seguente: i tempi della presidenza
Napolitano hanno visto una trasformazione “di fatto” dell’ordinamento, in
questo senso. Non è allora naturale che si costituzionalizzi, regolandolo,
quanto è già avvenuto? A questo riguardo, però, occorre distinguere. Una cosa è
l’espansione dell’azione presidenziale utile a preservare le istituzioni
parlamentari previste dalla Costituzione, nel momento della loro difficoltà, in
vista del ritorno alla normalità. Altra cosa è l’azione che prelude a trasformazioni
per instaurare una diversa normalità. Queste contraddicono l’obbligo di fedeltà
alla Costituzione che c’è, obbligo contratto da chi fa parte delle istituzioni.
Aut, aut. Non sono rispettosi dei doveri costituzionali presidenziali, e del
Presidente medesimo, i sostenitori dell’avvenuta trasformazione della
“costituzione materiale”. Il “garante della Costituzione” agisce per
preservarla o per trasformarla?
Noi temiamo che il
presidenzialismo, quali che siano le sue formulazioni e i “modelli” di riferimento,
nel nostro Paese non sarebbe una semplice variante della democrazia. Si
risolverebbe in una misura non democratica, ma oligarchica. Sarebbe, anzi, la
costituzionalizzazione, il coronamento della degenerazione oligarchica della
nostra democrazia. Sarebbe la risposta controriformista alla domanda di
partecipazione politica che si manifesta nella nostra società al tempo
presente. L’investitura d’un uomo solo al potere, portatore e garante d’una
costellazione d’interessi costituiti, non è precisamente l’idea di democrazia
partecipativa che sta scritta nella Costituzione, alla quale siamo fedeli.
Controlli. Il senso
concreto del presidenzialismo che viene proposto in questa fase della nostra
vita politica si chiarisce minacciosamente anche con riguardo ad altri due temi
all’ordine del giorno dei riformatori costituzionali: l’autonomia della magistratura
e la libertà dell’informazione. Ogni oligarchia ha bisogno di organizzare e
gestire il potere in maniera nascosta, segreta. Ma la democrazia è il regime in
cui il potere pubblico è esercitato in pubblico. La pubblicità delle opere dei
governanti, è la condizione della loro responsabilità. Il potere non
responsabile è autocratico, non democratico. Qual è il rimedio contro la
chiusura del potere politico su se stesso? È la conoscenza veritiera dei fatti.
E quali sono gli strumenti di tale conoscenza? Le indagini giudiziarie e le
inchieste giornalistiche. Per nulla sorprendente è che chiunque si trovi ad
esercitare un potere oligarchico sia ostile alla libertà delle une e delle
altre, quando forse, invece, trovandosi all’opposizione, l’aveva difesa a spada
tratta. Nulla di sorprendente: non sorprendente, ma certamente inquietante la
concomitanza di proposte restrittive dell’azione giudiziaria e giornalistica
con i progetti di riforma del sistema di governo. Chi ha a cuore la democrazia
non può ragionare secondo la logica contingente della convenienza, ma deve
difendere la libertà della pubblica opinione, indipendentemente dal fatto che
questa libertà possa giovare o nuocere a questa o quella parte, a questi o
quegl’interessi.
La legge elettorale. La
riforma della legge vigente è riconosciuta come emergenza democratica, da tutti
e non da oggi. Dopo che la Corte costituzionale, con l’improvvida sentenza che
aveva dichiarato inammissibile il referendum che avrebbe ripristinato la legge
precedente (soluzione realisticamente prospettata, fin dall’inizio, da Libertà
e Giustizia), tutti dissero in coro: riforma elettorale, fatta subito con
legge. Si è visto. Anche oggi si ripete la stessa cosa, ma con quali
prospettive? Esiste una convergenza di vedute in Parlamento? È difficile
crederlo e già emergono le resistenze. I due maggiori aspetti critici della
legge attuale, dal punto di vista della democrazia, sono l’abnorme premio di
maggioranza e le liste bloccate. Ma il premio di maggioranza farà gola ai due
raggruppamenti maggiori che, sondaggi alla mano, possono sperare di
avvalersene. Le liste bloccate (i parlamentari “nominati”) sono nell’interesse
delle oligarchie di partito e degli stessi membri attuali del Parlamento, che
possono contare sulla ricandidatura facile, tanto più in mancanza d’una legge
sulla democrazia nei partiti, anch’essa sempre invocata (subito la legge!)
quando scoppia qualche scandalo. Dal punto di vista della funzionalità o
governabilità del sistema, occorrere poi eliminare il diverso metodo di
attribuzione del premio di maggioranza nelle due Camere, ciò che ha determinato
la vittoria di un partito nell’una, e la sua sconfitta nell’altra. Il ritorno
al voto con questa incongruenza sarebbe come correre verso il disastro, verso
il suicidio della politica. Ma anche a questo proposito, non si può essere
affatto sicuri che calcoli interessati, questa volta non a vincere ma impedire
ad altri di vincere, non abbiano alla fine la meglio. Il Capo dello Stato ha
minacciato le sue dimissioni, ove a una riforma non si addivenga. Altri
immaginano una riforma imposta dal Governo con decreto-legge. Sono ipotesi realistiche? Possiamo davvero
immaginare che un Presidente della Repubblica, che porti le responsabilità
inerenti alla sua carica, al momento decisivo sarebbe pronto a sottrarvisi,
precipitando nel caos? Quanto al Governo, possiamo credere ch’esso possa agire
facendo tacere al suo interno le divisioni esistenti tra le forze parlamentari
che lo sostengono, le quali sarebbero comunque chiamate a convertire in legge
il decreto (senza contare – ma chi presta più attenzione a questi dettagli? –
che la decretazione d’urgenza è vietata in materia elettorale).
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E allora? C’è da arrendersi a questa condizione
crepuscolare della democrazia? Al contrario. C’è invece da convocare tutte le
energie disponibili, dovunque esse si possano trovare, proprio come abbiamo
cercato di fare con questa pubblica manifestazione. Per raccogliere in un
impegno e in un movimento comune la difesa e la promozione della democrazia
costituzionale che, per tanti segni, ci pare pericolare. Dobbiamo crescere fino
a costituire una massa critica di cui non sia possibile non tenere conto, da
parte di chi cerca il consenso e chiede il nostro voto per entrare nelle
istituzioni. Per questo dobbiamo riuscire a spiegare ai molti che la questione
democratica è fondamentale; che non possiamo rassegnarci. Essa riguarda non
problemi di fredda ingegneria costituzionale da lasciare agli esperti, ma la
possibilità, da tenere ben stretta nelle nostre mani, di lavorare e cercare
insieme le risposte ai problemi della nostra vita. Domandare pace, lavoro,
uguaglianza e giustizia sociale, diritti individuali e collettivi, cultura,
ambiente, salute, legalità, verità e trasparenza del potere, significa porre
una domanda di democrazia. Non che la democrazia assicuri, di per sé, tutto
questo. Ma, almeno consente che non si perda di vista la libertà e la giustizia
nella società e che non ci si consegni inermi alla prepotenza dei più forti.
Tags: Convenzione, Costituzione,
Gustavo Zagrebelsky
***Tutte le info della
manifestazione. Tutti a Bologna domenica 2 giugno dalle ore 13.30 alle ore
17.30 in piazza s. Stefano.
Sul palco: Gustavo
Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Roberto Saviano, Salvatore Settis, Sandra Bonsanti,
Nando dalla Chiesa, Maurizio Landini, Carlo Smuraglia, Lorenza Carlassare e
molti amici rappresentanti di associazioni in difesa della Carta.***
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Art. 139
La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.
Nemmeno con furbi artifizi e occulti maneggi. harmonia