lunedì 6 agosto 2012

Il passo decisivo per salvare l'Europa


Il passo decisivo per salvare l'Europa

di Jurgen Habermas Peter Bofinger Julian Nida-Ruemelin 





LA CRISI dell'Euro rispecchia il fallimento di una politica senza prospettive.

Al governo tedesco manca il coraggio di andare oltre uno status quo divenuto insostenibile.

Questa è la causa del continuo peggioramento della situazione nell'eurozona negli ultimi due anni, malgrado ambiziosi programmi di salvataggio e innumerevoli vertici d'emergenza.

La Grecia rischia dopo il crollo economico l'uscita dall'euro, che sarebbe collegato a incalcolabili reazioni a catena per gli altri membri dell'eurozona stessa.
Italia, Spagna e Portogallo sono cadute in una dura recessione, la disoccupazione non fa che salire. La sfavorevole congiuntura esaspera la situazione delle banche e la crescente incertezza sul futuro dell'Unione monetaria rende gli investitori sempre meno disposti ad acquistare titoli sovrani dei paesi deboli. Interessi in crescita sui titoli sovrani dei deboli, e la loro crisi economica sempre più grave rendono ancor più difficile il già non semplice processo di consolidamento.

Questa destabilizzazione che si rafforza da sola è creata essenzialmente dall'incapacità di formulare strategie anticrisi che vadano oltre la soglia di un approfondimento delle istituzioni europee. Ma giustificare un grande balzo in avanti del processo d'integrazione non è possibile solo pensando alla crisi dell'eurozona.

Occorre pensare anche alla necessità di imbrigliare con una riassunzione di poteri da parte della Politica lo spirito maligno degli universi paralleli e spettrali, creati da banche d'investimento e hedgefonds al di sopra dell'economia reale. Le misure necessarie per una regulation sono a portata di mano. Ma non vengono lanciate. Una potenza economica così grande come la Ue, o al minimo l'eurozona, potrebbero assumere un ruolo d'avanguardia. Solo con un significativo approfondimento dell'integrazione si può difendere una valuta comune, senza una catena di misure d'aiuti che alla lunga sovraccaricherebbe la solidarietà degli Stati nazionali europei. Una delega di sovranità a istituzioni europee è quindi inevitabile, e occorre un forte coordinamento di politiche finanziarie, economiche e sociali degli Stati membri, con l'obiettivo di riequilibrare le disuguaglianze strutturali nell'eurozona.

L'acutizzarsi della crisi mostra che la strategia finora imposta dal governo tedesco in Europa posa su una diagnosi errata.

La crisi attuale non è una crisi dell'euro. Il quale si è mostrato essere una valuta stabile. La crisi non è nemmeno una crisi del debito specifica dell'Europa; rispetto a Usa e Giappone, Ue ed eurozona sono ben poco indebitate. La crisi è una crisi di rifinanziamento di alcuni singoli Stati dell'eurozona, causata in prima linea da insufficienti garanzie istituzionali per la moneta comune.

L'escalation della crisi chiarisce che le soluzioni tentate finora sono insufficienti.

Dobbiamo perciò temere che l'unione monetaria, senza un cambio di fondo della strategia, non sopravviverà più a lungo nella sua forma attuale. Occorre una chiara diagnosi delle cause della crisi. Il governo tedesco sembra ritenere che i problemi siano causati in primo luogo da mancanza di disciplina fiscalea livello nazionalee che la soluzione sia prima di tutto una coerente politica di risparmi dei singoli Stati. Regole fiscali più severe e ombrelli di salvataggio legati a condizioni dovrebbero costringere quei paesi a una dura politica di austerità che indebolisce la loro forza economica e aumenta la disoccupazione.
In realtà nei paesi problematici non si è finora riuscito a limitare i costi di rifinanziamento e ridurli a dimensioni sopportabili, nonostante una serie di dure misure tra tagli e riforme di struttura.

Diagnosi e terapie espresse dal governo tedesco fin dall'inizio sono stati troppo unidimensionali. La crisi nasce non solo da errori a livello nazionale, ma anche da problemi di sistema. La risposta deve essere sistemica, non solo a livello nazionale. Solo una responsabilità comune per titoli sovrani dell'eurozona può eliminare o limitare i rischi d'insolvenza di un singolo paese. I dubbi secondo cui ciò lancerebbe stimoli sbagliati sono da prendere sul serio. La responsabilità comune dovrà andare insieme a severi controlli comuni sui bilanci nazionali, i controlli non saranno più realizzabili nel quadro della sovranità nazionale.

Esistono solo due strategie per superare la crisi: il ritorno alle valute nazionali in tutta la Ue, che lascerebbe ogni paese in balìa di oscillazioni e speculazioni imprevedibili, o la garanzia istituzionale di una politica fiscale, economica e sociale comune nell'eurozona con l'obiettivo di recuperare la capacità perduta d'agire della Politica davanti agli imperativi transnazionali del Mercato. Da una prospettiva che vada oltre la crisi attuale dipende anche la promessa di una "Europa sociale". Perché solo un'Europa politicamente unita potrà rovesciare il trend del passaggio da una democrazia dei cittadini e dello Stato sociale a una democrazia di facciata conforme ai mercati. La seconda opzione merita preferenza rispetto alla prima. Occorre porre le basi per un'unione politica. Chiediamo di non rinviare questi passi.

Chi vuole mantenere la moneta unica deve anche approvare una responsabilità comune, per non svuotare le deboli fondamenta democratiche della Ue. Il grido di battaglia della guerra d'indipendenza americana, 'no taxation without representation', trova oggi sorprendente eco. Serve un Legislatore europeo che rappresenti i cittadini e decida queste politiche, altrimenti violeremmo il principio secondo cui il legislatore che decide sulla ripartizione delle spese pubbliche coincida col legislatore democraticamente eletto il quale impone a tal fine le tasse.

Ma il ricordo storico dell'unificazione del Reich tedesco dovrebbe esserci di monito. I mercati finanziari non possono essere soddisfatti con costruzioni complesse e difficili da attuare mentre i governi in silenzio prendono in conto l'ipotesi che un potere centralizzato sia imposto ai popoli sopra le loro teste. I popoli devono prendere la parola. La Repubblica federale, rappresentante del maggiore paese donatore nel Consiglio europeo, dovrebbe prendere l'iniziativa della convocazione di un Convent costituzionale. Con un esito positivo di referendum i popoli europei potrebbero recuperare la sovranità strappata loro dai "Mercati".

La strategia del cambiamento dei trattati punta alla fondazione di un territorionocciolo dell'unione monetaria politicamente unito, aperto all'ingresso di altri paesi Ue, specie la Polonia.

Ciò richiede chiare idee costituzionali di una democrazia sopranazionale, che permettano un governo comune senza assumere le sembianze di uno Stato federale, modello sbagliato che metterebbe troppo alla prova la solidarietà di popoli storicamente indipendenti. L'approfondimento delle istituzioni europee può ispirarsi all'idea che un nocciolo europeo democratico rappresenti l'insieme dei cittadini dell'eurozona, ma nella loro duplice qualità di cittadino direttamente partecipante all'Unione riformata e di membro indirettamente partecipante di uno dei popoli europei.
Non è da escludere che la Corte costituzionale tedesca strappi l'iniziativa ai partiti, i quali allora non potrebbero più sottrarsi al dibattito. Un'iniziativa di Spd, Cdu e Verdi per un Convent costituzionale non sarebbe allora più illusoria.

La crisi che dura ormai da 4 anni ha suscitato una spinta alla tematizzazione, che sveglia come non mai l'attenzione delle opinioni pubbliche nazionali a temi europei. La coscienza della necessità di regolamento dei mercati finanziari e di superamento degli squilibri strutturali nell'eurozona è stata risvegliata.

Per la prima volta nella Storia del capitalismo una crisi scatenata da un suo settore avanzato, le banche, è stata risolta solo perché i governi hanno chiamato a responsabilità i cittadini come contribuenti per compensare i danni. I cittadini giustamente ritengono ciò scandaloso. Il diffuso sentimento di ingiustizia viene dal fatto che processi anonimi di mercato hanno acquistato nella coscienza dei cittadini una dimensione politica. Tale sensazione coincide con collera o impotenza.

Una discussione sulla finalità (ndr in francese nel testo) offre l'occasione di allargare la discussione finora limitata alle questioni economiche. La percezione dei rapporti di forza mondiali mutati da ovest a est e di un cambiamento nei rapporti con gli Usa spingono sotto un'altra luce i vantaggi sinergici di un'unificazione europea.

Nel mondo postcoloniale il ruolo dell'Europa è cambiato. Progetti e statistiche oggi preannunciano all'Europa il destino d'un continente sempre meno popolato, dal peso economico e dal ruolo politico decrescenti. I popoli europei devono imparare che potranno difendere e conservare il loro modello sociale di società del welfare e la molteplicità delle culture dei loro Stati nazionali solo agendo insieme. Devono unire le forze, se vogliono ancora avere influenza nell'agenda della politica mondiale e nella soluzione di problemi globali. La rinuncia all'unificazione europea sarebbe anche un'addio alla Storia del mondo.


JÜRGEN HABERMAS PETER BOFINGER JULIAN NIDA-RUEMELIN

La Repubblica, 4 agosto 2012