mercoledì 29 giugno 2016

EUROPA

UNIONE EUROPEA
CRISI


Brexit, Onfray: «L’Europa viene spazzata via? È tutta colpa delle élite» - Corriere della Sera, 25 giugno 2016

Il filosofo francese: «Questa macchina distrugge tutte le conquiste sociali ottenute da due secoli. Avrei votato per l’uscita»

di Stefano Montefiori - Il celebre e controverso filosofo francese Michel Onfray, critico feroce — da sinistra — del governo socialista e delle élite europee, ha risposto per email ad alcune domande del Corriere

Se fosse stato un cittadino britannico, lei avrebbe votato Remain o Leave?

«Avrei votato per l’uscita da questa macchina liberale che distrugge tutte le conquiste sociali ottenute da due secoli di lotte sindacali e di progresso sociale. Una macchina che chiamiamo falsamente l’Europa, quando è in effetti un club capitalista che si presenta travestito da grande idea generosa, umanista e progressista. Quel che il capitalismo non è riuscito a fare finché il socialismo totalitario esisteva all’Est, ha potuto farlo grazie alla burocrazia e all’amministrazione di questa Europa del denaro. Il liberalismo si trova paradossalmente imposto in modo autoritario da questa macchina che ha dalla sua parte le élite politiche, mediatiche, industriali, finanziarie, bancarie, mercantili, ma non il popolo che fa le spese di questa dittatura liberale».

Nel campo euro-scettico molte voci, in primis Marine Le Pen, chiedono un referendum anche in Francia e in ogni Paese dell’Ue. Lei è favorevole?

«Fare riferimento a Marine Le Pen mostra che ci si rifiuta di pensare e che si vuole intimidire. Marine Le Pen non è la pietra di paragone rispetto alla quale prendere posizione. Me ne infischio di Marine Le Pen che è la Tsipras francese, stessa cosa con Jean-Luc Mélenchon (leader del Parti de gauche, ndr). Sono a favore di questo referendum, ma vorrei ricordare che in Francia l’abbiamo già avuto, chiesto da Chirac nel 2005: ha avuto esito negativo e Sarkozy dell’Ump e Hollande del Ps hanno disprezzato la scelta del popolo imponendo poi tramite le camere riunite quel che il popolo aveva rifiutato».

Dopo il No del 2005, la Francia torna il Paese chiave

«La Francia oggi è Hollande e Hollande è un elettrocardiogramma politico piatto. Per ora non ha che un’unica preoccupazione, essere rieletto. Si serve della Francia, non la serve. Se lo riterrà utile da un punto di vista di tattica politica, prenderà delle iniziative. Ma non ha lo stesso peso di Merkel che è l’uomo forte di questa Europa liberale». 

Il tema dominante della campagna è stata l’immigrazione. È stato forse un voto soprattutto contro la globalizzazione e l’immigrazione?

«Questa domanda coinvolta e militante assimila il voto contro il liberalismo a un voto contro gli stranieri. L’Europa di cui abbiamo vantato i meriti all’epoca di Maastricht ha fallito: doveva portare la piena occupazione, la fine delle guerre, l’amicizia tra i popoli, il progresso della civiltà; ha prodotto il contrario: messa in concorrenza dei lavoratori, disoccupazione di massa, quattro anni di assedio a Sarajevo, esacerbazione dei nazionalismi, regressioni culturali».

I giovani hanno votato per lo più Remain, mentre gli anziani Leave. Si può parlare di una vittoria della paura contro la speranza?

«Anche questa domanda è militante, partigiana e orientata. Lascia credere che votare contro il liberalismo sia votare contro l’Europa, e anche per la xenofobia, dunque per il razzismo, e quindi significa essere vecchi, dunque antiquati, fuori dal tempo. Si potrebbe aggiungere, perché anche questo fa parte della panoplia che gli euro-beati e gli euro-latri usano contro gli euro-lucidi da loro chiamati euro-scettici, che i pro-Brexit sono anche sotto-istruiti, rurali, ritardati mentali, alcolizzati quando non — è stato detto in Francia — assassini di deputati pro-Ue (riferimento all’uccisione della laburista britannica Jo Cox, ndr). Da parte mia parlerei di una vittoria di quanti hanno esperienza e memoria contro coloro che, fabbricati da questa Europa che ha gettato la cultura e la storia alle ortiche, si bevono la propaganda che cola dai media di massa».

Qual è stato il peso del populismo in questo risultato?

«Rifiuto questa terminologia. È populista oggi chiunque abbia deciso di dare la parola al popolo, di rendergli il potere che gli appartiene, di ascoltare quel che dice quando gli si chiede in un referendum quel che pensa. Coloro che ricorrono alle parole populisti e populismo sono di solito dei populicidi, in altre parole degli assassini di popoli. Il termine è del rivoluzionario Gracchus Babeuf… Se non volete ascoltare quel che il popolo vuole dirvi, non chiedetegli quel che pensa. Oppure fate come in Francia, chiedeteglielo e poi non tenetene conto. La democrazia è il governo del popolo, attraverso il popolo, per il popolo. E l’Europa liberale è una oligarchia di burocrati al servizio del capitale, non una democrazia: è quel che dicono i popoli quando li si sollecita».

Qual è la portata complessiva di questo voto? Quali conseguenze prevede per l’Occidente?

«Ho appena finito di scrivere un libro di mille pagine che si intitolaDecadenza. Vita e morte della civiltà giudaico-cristiana. L’Europa è morta, ecco perché gli uomini vogliono farla, ma non hanno capito che l’Europa era finita dall’apertura delle porte di Auschwitz. Quel che sta accadendo in Gran Bretagna, sono le prime pietre dell’edificio che cadono. 

25 giugno 2016 (modifica il 26 giugno 2016 | 15:56)

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giovedì 9 giugno 2016


Una cinquantina di costituzionalisti ha elaborato un documento in cui si esprime alcune valutazioni critiche sulla riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum. Il documento vuole essere un contributo ad una discussione, fondata sul contenuto effettivo della riforma piuttosto che su ragioni pregiudiziali di consenso o di dissenso rispetto al Governo.  


Di fronte alla prospettiva che la legge costituzionale di riforma della Costituzione sia sottoposta a referendum nel prossimo autunno, i sottoscritti, docenti, studiosi e studiose di diritto costituzionale, ritengono doveroso esprimere alcune valutazioni critiche. Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo. Siamo però preoccupati che un processo di riforma, pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentarenonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione.  

1. Siamo anzitutto preoccupati per il fatto che il testo della riforma – ascritto ad una iniziativa del Governo – si presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare (“abbiamo i numeri”) anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo. La Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. E’ indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica contingente, basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del momento. Ecco perché anche il modo in cui si giunge ad una riforma investe la stessa “credibilità” della Carta costituzionale e quindi la sua efficacia. Già nel 2001 la riforma del titolo V, approvata in Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo referendum, è stato un errore da molte parti riconosciuto, e si è dimostrata più fonte di conflitti che di reale miglioramento delle istituzioni.  

2. Nel merito, riteniamo che l’obiettivo, pur largamente condiviso e condivisibile, di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto (al quale peraltro sarebbe improprio addebitare la causa principale delle disfunzioni osservate nel nostro sistema istituzionale), e dell’attribuzione alla sola Camera dei deputati del compito di dare o revocare la fiducia al Governo, sia stato perseguito in modo incoerente e sbagliato. Invece di dare vita ad una seconda Camera che sia reale espressione delle istituzioni regionali, dotata dei poteri necessari per realizzare un vero dialogo e confronto fra rappresentanza nazionale e rappresentanze regionali sui temi che le coinvolgono, si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell’approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico, né funzioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni. In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche (alcuni consiglieri regionali eletti – con modalità rinviate peraltro in parte alla legge ordinaria - anche come senatori, che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista numerico le componenti del Parlamento in seduta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario.  
Non hai capito niente della riforma costituzionale? 
Ecco cosa cambia

3. Ulteriore effetto secondario negativo di questa riforma del bicameralismo appare la configurazione di una pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato(leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta), con rischi di incertezze e conflitti.  

4. L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l’ordinamento delle sole Regioni speciali). Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia - che non possono mai essere separate con un taglio netto - ma piuttosto nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione: senza dire che il progetto da un lato pretende di eliminare le competenze concorrenti, dall’altro definisce in molte materie una competenza “esclusiva” dello Stato riferita però, ambiguamente, alle sole “disposizioni generali e comuni”. Si è rinunciato a costruire strumenti efficienti di cooperazione fra centro e periferia. Invece di limitarsi a correggere alcuni specifici errori della riforma del 2001, promuovendone una migliore attuazione, il nuovo progetto tende sostanzialmente, a soli quindici anni di distanza, a rovesciarne l’impostazione, assumendo obiettivi non solo diversi ma opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle autonomie.  

5. Il progetto è mosso anche dal dichiarato intento (espresso addirittura nel titolo della legge) di contenere i costi di funzionamento delle istituzioni. Ma il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive. Limitare il numero di senatori a meno di un sesto di quello dei deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e costruire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado, anziché rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere i modi in cui garantire sedi di necessario confronto fra istituzioni politiche e rappresentanze sociali dopo la soppressione del CNEL: questi non sono modi adeguati per garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del paese, e sembrano invece un modo per strizzare l’occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come luogo di partecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri.  

6. Sarebbe ingiusto disconoscere che nel progetto vi siano anche previsioni normative che meritano di essere guardate con favore: tali la restrizione del potere del Governo di adottare decreti legge, e la contestuale previsione di tempi certi per il voto della Camera sui progetti del Governo che ne caratterizzano l’indirizzo politico; la previsione (che peraltro in alcuni di noi suscita perplessità) della possibilità di sottoporre in via preventiva alla Corte costituzionale le leggi elettorali, così che non si rischi di andare a votare (come è successo nel 2008 e nel 2013) sulla base di una legge incostituzionale; la promessa di una nuova legge costituzionale (rinviata peraltro ad un indeterminato futuro) che preveda referendum propositivi e di indirizzo e altre forme di consultazione popolare.  

7. Tuttavia questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici di cui si è detto. Inoltre, se il referendum fosse indetto – come oggi si prevede - su un unico quesito, di approvazione o no dell’intera riforma, l’elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni “politiche” estranee al merito della legge. Diversamente avverrebbe se si desse la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati (così come se si fosse scomposta la riforma in più progetti, approvati dal Parlamento separatamente). Per tutti i motivi esposti, pur essendo noi convinti dell’opportunità di interventi riformatori che investano l’attuale bicameralismo e i rapporti fra Stato e Regioni, l’orientamento che esprimiamo è contrario, nel merito, a questo testo di riforma. 

I firmatari  
Francesco AMIRANTE Magistrato  
Vittorio ANGIOLINI Università di Milano Statale  
Luca ANTONINI Università di Padova  
Antonio BALDASSARRE Università LUISS di Roma  
Sergio BARTOLE Università di Trieste  
Ernesto BETTINELLI Università di Pavia  
Franco BILE Magistrato  
Paolo CARETTI Università di Firenze  
Lorenza CARLASSARE Università di Padova  
Francesco Paolo CASAVOLA Università di Napoli Federico II  
Enzo CHELI Università di Firenze  
Riccardo CHIEPPA Magistrato  
Cecilia CORSI Università di Firenze  
Antonio D’ANDREA Università di Brescia  
Ugo DE SIERVO Università di Firenze  
Mario DOGLIANI Università di Torino  
Gianmaria FLICK Università LUISS di Roma  
Franco GALLO Università LUISS di Roma  
Silvio GAMBINO Università della Calabria  
Mario GORLANI Università di Brescia  
Stefano GRASSI Università di Firenze  
Enrico GROSSO Università di Torino  
Riccardo GUASTINI Università di Genova  
Giovanni GUIGLIA Università di Verona  
Fulco LANCHESTER Università di Roma La Sapienza  
Sergio LARICCIA Università di Roma La Sapienza  
Donatella LOPRIENO Università della Calabria  
Joerg LUTHER Università Piemonte orientale  
Paolo MADDALENA Magistrato  
Maurizio MALO Università di Padova  
Andrea MANZELLA Università LUISS di Roma  
Anna MARZANATI Università di Milano Bicocca  
Luigi MAZZELLA Avvocato dello Stato  
Alessandro MAZZITELLI Università della Calabria  
Stefano MERLINI Università di Firenze  
Costantino MURGIA Università di Cagliari  
Guido NEPPI MODONA Università di Torino  
Walter NOCITO Università della Calabria  
Valerio ONIDA Università di Milano Statale  
Saulle PANIZZA Università di Pisa  
Maurizio PEDRAZZA GORLERO Università di Verona  
Barbara PEZZINI Università di Bergamo  
Alfonso QUARANTA Magistrato  
Saverio REGASTO Università di Brescia  
Giancarlo ROLLA Università di Genova  
Roberto ROMBOLI Università di Pisa  
Claudio ROSSANO Università di Roma La Sapienza  
Fernando SANTOSUOSSO Magistrato