giovedì 31 luglio 2014




per fare un confronto con la legge Berlusconi-Renzi-Verdini 

Correva l’anno 1953. La prima legislatura della Repubblica italiana volgeva al termine. Il governo De Gasperi VII godeva di una robusta maggioranza parlamentare e le elezioni incombenti si presentavano molto meno rischiose di quelle del 1948, quando il popolo italiano aveva salvato la libertà, facendo prevalere la democrazia (cristiana) sui comunisti. ... continua


venerdì 25 luglio 2014

In difesa dell'Italia

Linguaggio costituzionale 

di Walter Tocci, Senatore


Discorso al Senato in occasione della discussione sulla revisione costituzionale del 17 Luglio 2014.


*

Signor Presidente, onorevoli senatori,
come le persone, anche le parole si stancano, dice il libro dell'Ecclesiaste. Sotto il peso delle promesse, degli inganni e delle delusioni si è sfiancata perfino la parola riforma. Concediamole un po' di riposo almeno in questo dibattito.
Nessuno dei problemi istituzionali è stato risolto e molti sono stati aggravati dalla proposta di revisione costituzionale insieme con l'Italicum. Segnalo quattro questioni.
1. 
Da quasi un decennio gli elettori chiedono di poter guardare in faccia gli eletti, ma qui si decide di voltare le spalle. I cittadini continueranno a non scegliere i deputati e non eleggeranno neppure i senatori, né il presidente della Città Metropolitana, né i consiglieri della Provincia, che rivive con il brutto nome di Area Vasta. Il risultato è che il ceto politico elegge il ceto politico. È un grande azzardo restringere la rappresentanza proprio mentre viviamo forse la più grave frattura tra società e istituzioni della storia italiana.
I consiglieri regionali che hanno problemi con la giustizia saranno incentivati a farsi nominare senatori per godere dell'immunità estesa alle cariche non elettive. E per i cittadini viene indebolito lo strumento del referendum; quello di Mario Segni nel post-Tangentopoli, ad esempio, non sarebbe più possibile. Forse è un segno dei tempi - accade alle rivoluzioni mancate di essere poi anche rinnegate. 
Nel complesso, si perde l'occasione per ricostruire la fiducia popolare nei confronti delle assemblee elettive.

2. 
C'è un passo indietro nel punto più delicato del bilanciamento dei poteri. Un partito minoritario che raccoglie meno del 20% degli aventi diritto al voto può vincere il premio di maggioranza e utilizzarlo per conquistare le massime cariche dello Stato, la Corte Costituzionale e la Presidenza della Repubblica. I relatori hanno riconosciuto che il problema esiste, ma non hanno saputo o voluto risolverlo. La proposta di alzare il quorum nelle prime otto votazioni non impedisce al primo partito di attendere la nona votazione per imporre il proprio candidato. Si voleva sapere la sera delle elezioni chi governa, così si conoscerebbe anche l’inquilino del Quirinale.
Mi si risponde che era già così con il Porcellum; bene, lo si dovrebbe dunque correggere, invece il testo aggrava lo squilibrio. La Camera mantiene i 630 deputati con la forza del premio di maggioranza, mentre si indebolisce l'altro ramo dei cento senatori, privati della libertà di mandato, che può fondarsi solo sull'elezione diretta. Migliore equilibrio si avrebbe con la diminuzione del numero dei deputati, oggi il più alto in Europa in rapporto alla popolazione. Nessuno ha spiegato perché non si può. Eppure dovrebbe esserne entusiasta Renzi che voleva risparmiare sulle indennità; il Pd negli anni passati l'ha sempre considerata una priorità e i colleghi Romani, Sacconi e Casini la votarono quando erano in maggioranza nel 2005. Perché tutti ci hanno ripensato?
3. 
Il superamento del bicameralismo paritario era l'occasione per rafforzare la democrazia parlamentare. Invece il potere legislativo viene assoggettato definitivamente all'esecutivo, il quale sarà tentato di utilizzare i voti del premio di maggioranza non solo per governare il paese - come è del tutto legittimo - ma anche per stravolgere a suo piacimento la legislazione fondamentale, ad esempio sulla libertà di stampa, i servizi segreti, l'autonomia della Magistratura, l’amnistia e l’indulto, le sensibilità religiose, le libertà personali oppure per modificare a proprio favore la stessa legge elettorale al fine di ottenere la vittoria alle successive elezioni. Potrebbe diventare di parte perfino la decisione più grave, la guerra. Quella stessa guerra che i costituenti ci ammonivano a ripudiare. Quella stessa guerra che ritorna nella foto terribile delle vittime innocenti di fronte alla moschea di Gaza.
La legislazione fondamentale viene sottratta allo spirito di parte nella proposta Chiti, in modo da costringere i partiti a condividere le regole fondamentali nel Senato eletto con legge non maggioritaria, e a competere per il governo nella Camera depositaria del voto di fiducia. Sarebbe il passo in avanti verso una democrazia matura. Si vuole invece realizzare quel “premierato assoluto” paventato da Leopoldo Elia, indebolendo la separazione dei poteri come non accade in nessuna democrazia europea.
4. 
La relazione Stato-Regioni diventa ancora più confusa, anche per la scarsa cura che la Commissione ha dedicato all’argomento, pur essendo tecnicamente più complesso degli altri. È un grave errore abbandonare la legislazione concorrente, che è l’essenza di un regionalismo cooperativo, l'unico possibile in un paese segnato da storiche fratture, come ha sottolineato Massimo Luciani. Si sceglie al contrario una netta separazione tra competenze esclusive dello Stato e delle Regioni che non lascia più alcun margine di mediazione, rendendo quindi irrisolvibile il conflitto di competenze. 
Come queste vengono attribuite non è rilevante in questo ragionamento, poiché è sufficiente una semplice considerazione logica per riconoscere che qualsiasi modello esclusivo aumenta il contenzioso rispetto al modello cooperativo. Questo non ha funzionato negli anni duemila non per i suoi presunti difetti, ma per la dissennata applicazione da parte dei governi di destra e di sinistra, che avrebbero dovuto elaborare solo leggi cornice e invece hanno proseguito a legiferare nel dettaglio, istigando le Regioni a eccessi opposti. 
Il Senato delle Autonomie non sarà in grado di comporre i conflitti, anzi potrebbe esasperarli. Ad esso viene attribuita una fantomatica funzione di raccordo con un'espressione retorica priva di qualsiasi significato giuridico cogente. Nella realtà quell'assemblea sarà a chiamata ad approvare dei testi normativi sui quali si formeranno delle maggioranze e delle minoranze in base ai rapporti di forza tra Regioni ricche e Regioni povere. Venendo a mancare la mediazione politica della rappresentanza territoriale - che pur con i suoi limiti ha contenuto fin qui le pulsioni separatiste - il nuovo Senato accentuerà la frattura tra Nord e Sud, con il rischio di indebolire ulteriormente l'unità nazionale. 
Spero che il testo finale mi consenta di rivedere questi giudizi negativi. Onorevoli senatori, ho fiducia in questa aula e nella possibilità che tra noi si affermi uno spirito davvero costituente. Ci sono emendamenti di diverse parti politiche che possono migliorare i punti essenziali: rapporto eletti-elettori, l’indipendenza del Quirinale, le garanzie del nuovo bicameralismo e il regionalismo cooperativo. 
Rivolgo un appello alla mia parte politica. Abbiamo discusso a lungo nel gruppo Pd. Sono chiare le differenze, ma per me sono più importanti le comuni visioni. Tra noi condividiamo anche alcune insoddisfazioni per certi articoli. Non lasciamole ai discorsi di corridoio, non abbandoniamole ai rimpianti silenziosi, trasformiamole in proposte da condividere con gli altri gruppi. La lunga durata costituzionale non consente a nessuno di riconoscere un errore senza impegnarsi a correggerlo. In questa aula il primo partito deve essere protagonista fino alla fine nel migliorare la Costituzione. 
Le migliorie saranno tanto più intense quanto più ci allontaneremo dalle motivazioni e dai metodi che hanno fin qui deformato il dibattito.
Per la cancellazione del Senato elettivo sono state date motivazioni occasionali, alcune surreali, come “serve a creare posti di lavoro”, altre tipiche del provincialismo italiano, mentre i Cameron, Merkel e Hollande non cancellerebbero organi costituzionali per fare bella figura ai vertici europei.
Ma c’è una motivazione più vecchia: togliere il freno che impedisce al governo di decidere. È la bufala che politici e giornalisti raccontano agli italiani da venti anni. Si dicono falsità sulle famose “navette” di leggi che vanno più di una volta tra un ramo e l’altro, ma sono solo il 3% e riguardano testi scritti molto male dal governo. È invece troppo facile approvare le leggi, e anzi le più veloci sono anche le più dannose. Sono bastate poche settimane alla destra per approvare il Porcellum e le leggi ad personam, e alla sinistra per contribuire al pasticcio degli esodati e allo sfregio costituzionale sul vincolo di pareggio del bilancio (che, per inciso, qui viene esteso alle Regioni). 
Tutti i campi della vita pubblica sono soffocati dall’asfissiante produzione legislativa, nella scuola, nel fisco, nell’amministrazione, nella previdenza, nel territorio. Ogni settimana arrivano in aula disegni di legge pomposamente chiamati riforme, e che invece sono spesso accozzaglie di norme eterogenee e improvvisate, a volte dannose o inutili. Lo dimostra il fatto che sono rimasti nel cassetto ben 750 decreti attuativi. 
Qui si dovrebbe davvero cambiare verso: poche leggi all’anno, di alta qualità, delegificazioni per costringere i ministri ad amministrare invece che a legiferare, controlli parlamentari sui risultati. A tale innovazione valeva la pena dedicare il nuovo Senato come Camera Alta delle leggi organiche, dei grandi Codici, dell’attuazione costituzionale, della raccolta dei frutti della conoscenza e della cultura del Paese. Con la produzione di leggi cornice la Camera Alta avrebbe portato ordine anche nelle relazioni Stato-Regioni, più autorevolmente di come possa fare il Senato delle Autonomie. 
Il superamento del bicameralismo paritario era l’occasione per dedicare un ramo del Parlamento ai pensieri lunghi, all’intelligenza riformatrice, alla saggezza pubblica. L’Italia avrebbe proprio bisogno di una Camera Alta come volontà aristocratica di derivazione democratica, così la chiama Mario Dogliani.
Per quanto riguarda il metodo, una tale serie di strappi non si era mai vista nella storia repubblicana. Mai il governo aveva imposto una revisione costituzionale, mai il relatore era stato costretto a presentare un testo che non condivideva quasi nessuno, mai i senatori erano stati destituiti per motivi di opinione. Arroganze inutili che hanno fatto perdere solo tempo. Se il Parlamento avesse potuto lavorare serenamente, la riforma del bicameralismo sarebbe stata approvata da mesi. 
Non ho mai detto che si tratta di una svolta autoritaria, né che si stravolgono i principi costituzionali - ci tengo a precisarlo - tanto è vero che ho votato contro la pregiudiziale. 
È in pericolo invece un aspetto più semplice e per così dire più intimo: lo stile del dibattito costituzionale. I critici della proposta sono stati definiti gufi, sabotatori, rosiconi e ribelli. Parole che non sarebbero mai state pronunciate dai costituenti, certo divisi dalla guerra fredda e dalle ideologie novecentesche ma sempre disponibili al colloquio delle idee. Proprio oggi che siamo tutti liberali viene meno il rispetto nel dibattito. La politica postmoderna ha sempre bisogno di fabbricarsi un nemico. Come in un videogioco si elimina un mostro e subito se ne presenta un altro per tenere alta la tensione emotiva. L'operazione simbolica vince sul merito. Conquistare lo scalpo del Senato elettivo sembra parte di un incantesimo, che serve a rassicurare e a consolare i cittadini per la mancanza di vere riforme.
L’elegante lingua italiana dei padri costituenti, con le sue parole semplici e profonde, viene improvvisamente interrotta da un lessico nevrotico e tecnicistico, scandito dai rinvii ai commi, come un regolamento di condominio. Il linguaggio è la rivelazione dell'essere, diceva il filosofo.
La Costituzione è come la lingua che consente a persone diverse di riconoscersi, di incontrarsi e di parlarsi. La Carta è il discorso pubblico tra i cittadini e la Repubblica, è il racconto del passato rivolto all'avvenire del Paese.
Se la Costituzione è una lingua lo stile è tutto. Senza lo stile è possibile l'autocompiacimento del ceto politico, ma non il riconoscimento repubblicano.

giovedì 24 luglio 2014

Interlocutori Significativi



Intervento del Presidente Napolitano alla cerimonia del Ventaglio

Palazzo del Quirinale, 22/07/2014



XV capoverso:

"E ancora, la già annunciata riforma della giustizia : per condurre a conclusione la quale si delineano forse le condizioni per una condivisione finora mancata :

partendosi finalmente dal riconoscimento che è stato espresso nei giorni scorsi da  

interlocutori significativi

per "l'equilibrio e il rigore ammirevoli" che caratterizzano il silenzioso lavoro della grande maggioranza dei magistrati italiani."



... a patto che, sostengo io povera inutile stupida cittadina, i suddetti magistrati assolvano chi deve essere sempre assolto, anzi nemmeno mai indagato e meno che mai imputato, e, Dio ci salvi!, chi non deve essere MAI condannato. ...

... questa me la segno: "interlocutore significativo": suona bene, è sufficientemente vago, si addice a una sola persona, ma nessuno può dirlo, pena l'accusa di faziosità e dietrologia. ...

... un'altra perla per la democrazia italiana

martedì 22 luglio 2014

Legislatura 17ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 284 del 21/07/2014


RESOCONTO STENOGRAFICO
PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 11,03).




BOSCHI, ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle riforme costituzionali e dei rapporti con il Parlamento, onorevole Boschi.
BOSCHI, ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevoli senatrici e onorevoli senatori, è stato un privilegio per me partecipare alla discussione generale in questi giorni. Lo dico a titolo personale perché è sicuramente un percorso difficile ma affascinante quello che stiamo vivendo insieme, e lo dico a nome del Governo.
Del resto, fin dall'inizio questo Governo ha legato in modo indissolubile il proprio cammino al percorso delle riforme e delle riforme costituzionali in particolare. Per questo il Governo si è fatto promotore di un disegno di legge costituzionale che poi è stato adottato in Commissione come testo base.
In questi giorni non sono mancate le contestazioni, le polemiche e, in alcuni casi, anche le provocazioni. Però è il bello del dibattito e della democrazia. Lo dico non come una frase di circostanza, come una liturgia al dibattito parlamentare impone; lo dico perché ne sono convinta e ne è convinto questo Governo, che ha sempre rivendicato l'ascolto delle ragioni di tutti, il dialogo ed il confronto. Lo ha fatto con i cittadini; con le parti sociali, con i Gruppi parlamentari e con i singoli opinionisti. Lo abbiamo fatto per la riforma della pubblica amministrazione, del terzo settore; lo stiamo facendo per la delicata riforma della giustizia e non potevamo non farlo - a questo punto posso dirlo senza tema di smentita - che l'abbiamo fatto anche per le riforme costituzionali, che rappresentano la madre di tutte le battaglie istituzionali, politiche e civili che stiamo affrontando in questi giorni.
Sottoponiamo a quest'Aula un testo, frutto del lavoro di questi mesi; migliorato nel corso di questi mesi grazie al contributo arrivato dai cittadini, dai professori, dalle parti sociali e soprattutto dal lavoro proficuo svolto per oltre tre mesi in Commissione, per il quale va il ringraziamento mio personale e del Governo alla presidente Anna Finocchiaro per la mano esperta ed efficace con cui ha condotto i lavori in Commissione. (Applausi dai Gruppi PD e SCpI). Il mio ringraziamento va ai senatori ed alle senatrici tutti, di tutti i partiti politici, a cominciare dal correlatore Calderoli, dal quale mi separano distanze siderali quasi in ogni scelta politica, ma di cui ho apprezzato la competenza e anche la grande forza di volontà, perché ha continuato a lavorare con noi nonostante condizioni di salute non ottimali negli ultimi giorni. (Applausi dai Gruppi PD, LN-Aut e SCpI e dai banchi del Governo). E - permettetemi di farlo per il lavoro svolto insieme fino ad oggi - un ringraziamento va, oltre ai miei collaboratori del Ministero, anche ai funzionari della 1ª Commissione, non soltanto per la loro indubbia competenza, ma anche per la disponibilità estrema che hanno dimostrato in questi mesi di lavoro. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Casini).
Oggi sottoponiamo al voto dell'Assemblea un testo, che è il risultato di questo lavoro e non la rappresentazione macchiettistica che alcuni interventi ne hanno voluto fare. Vorremmo che venisse affrontata la discussione nel merito di questo disegno di legge costituzionale, non una discussione sulla simpatia o l'antipatia di chi lo ha proposto perché sappiamo che, se discutiamo nel merito di queste proposte, non abbiamo paura delle idee altrui.
Pratolini, un cantore della mia terra, diceva che non ha paura delle idee chi ne ha. Per cui noi non abbiamo paura del confronto, se resta nel merito, e sappiamo che il testo uscito dalla Commissione è ampiamente condiviso. E il fatto che, a differenza del 2001 e del 2005, a sostenerlo sia una maggioranza che va oltre la maggioranza che sostiene il Governo è un valore aggiunto, per cui vanno apprezzati la serietà e l'impegno non scontato con cui non soltanto tutti i partiti che sostengono il Governo, ma anche Forza Italia ha appoggiato questo percorso di riforme fin dall'inizio.
Sappiamo che presentiamo un testo che, depurato dallo scontro ideologico, è condiviso nel suo impianto generale perché, se guardiamo anche al dibattito di questi giorni, il punto centrale che ci ha impegnato è stato quello della elettività o non dei 74 consiglieri regionali e dei 21 sindaci a senatori: un dibattito importante, che non voglio svilire, che ha avuto risposte diverse e variegate in Europa e che divide anche parte della scienza e della dottrina, ma che è un singolo aspetto in un impianto di riforma profonda e radicale, invece ampiamente condiviso per il resto.
Abbiamo cercato, con questa riforma, di porre rimedio a storture che la nostra Costituzione ha mostrato nel corso degli anni: un procedimento legislativo lento e farraginoso, che ha portato anche al ricorso eccessivo soprattutto da parte degli ultimi Governi alla decretazione d'urgenza; un rapporto di fiducia di entrambe le Camere con il Governo, un'anomalia anche a livello europeo; la necessità di rivedere il riparto di competenze tra Stato e Regioni, dopo tredici anni dalla riforma approvata.
Questa riforma costituzionale tiene insieme due elementi importanti: il superamento del bicameralismo perfetto e la riforma del Titolo V: due elementi che si tengono insieme e non è un caso se è stato proposto un solo disegno di legge costituzionale.
Riteniamo che si possa superare anche la conflittualità tra Stato e Regioni che ha portato ad un notevole contenzioso di fronte alla Corte costituzionale, rivedendo le materie forse troppo frettolosamente attribuite alle Regioni (cosiddetta materia concorrente): ma, per farlo, occorre che le Regioni e le autonomie locali partecipino alla fase decisionale fin dall'inizio.
Non possiamo pensare di risolvere il problema soltanto a valle per via giudiziaria; il problema va anticipato con una Camera di compensazione politica e questo sarà il nuovo Senato. Per questo abbiamo pensato ad un Senato che non è eletto direttamente dai cittadini, ma che rappresenta le Regioni e i Comuni perché le autonomie territoriali possano avere la loro voce e decidere insieme allo Stato centrale: quindi un nuovo modo innovativo di intendere il rapporto tra Stato centrale e poteri periferici; un nuovo Senato che svolgerà un ruolo importante di raccordo, di cinghia, di chiusura tra Stato ed enti subnazionali, ma che svolgerà anche un importante ruolo di raccordo con l'Unione europea non soltanto nella fase ascendente, ma anche nella valutazione dell'attuazione delle politiche europee nel nostro Paese. Ed è un Senato che, libero e sciolto dal rapporto di fiducia con il Governo, sarà anche in grado di svolgere un ruolo nuovo e fondamentale di valutazione dell'attuazione delle leggi statali e di valutazione dell'impatto delle politiche pubbliche e delle pubbliche amministrazioni.
Con questa riforma abbiamo anche messo mano ai poteri normativi del Governo, cercando di disciplinare in modo più puntuale anche la decretazione d'urgenza, recependo in Costituzione non soltanto vincoli che oggi già ci sono nella legislazione ordinaria o le sentenze e la giurisprudenza ormai consolidata della Corte costituzionale. Recepirle in Costituzione significa dare maggiore valore cogente e maggiore efficacia a questi limiti. Abbiamo previsto anche una corsia preferenziale per i disegni di legge del Governo, con la possibilità di porli in votazione a data certa, ma sempre nell'alveo dell'Assemblea parlamentare, mai al di fuori di essa.
Sicuramente il lavoro in Commissione ha contribuito a rendere equilibrato il testo anche da un punto di vista delle garanzie, attraverso il rafforzamento dei quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica, del numero di scrutini per l'elezione del Presidente della Repubblica ed introducendo un'innovazione importante anche per quanto riguarda i referendum abrogativi: prevedere un quorum per la validità dei referendum non ancorato al numero degli elettori ma ai partecipanti alle ultime elezioni politiche significa capovolgere completamente il meccanismo di partecipazione politica ai referendum; rappresenta un impegno ed uno sforzo in più anche per i partiti politici nelle loro battaglie referendarie o per i movimenti che vorranno presentare dei referendum.
Questo testo porta al completamento della riforma, già iniziata con la legge Delrio per l'articolazione della Repubblica, per riorganizzare la presenza dello Stato sul territorio con l'abolizione delle Province anche in Costituzione e l'abolizione del CNEL dopo anni che ne discutiamo.
Noi sappiamo bene - è stato ricordato anche in quest'Aula - che anche i lavori della Costituente hanno portato a scontri politici, a dibattiti accesi; si è arrivati a mediazioni che magari non sono state la soluzione perfetta, ma che hanno rappresentato il miglior compromesso possibile nell'interesse del Paese e dei cittadini, intrecciando anche l'esperienza dei componenti più maturi di quella Costituente con lo sguardo rivolto al futuro dei componenti più giovani chiamati a farne parte.
Anche oggi siamo chiamati a trovare un accordo alto nell'interesse del Paese e dei cittadini, anche perché queste riforme costituzionali sono la premessa, la base per le altre riforme che stiamo affrontando: da quella della pubblica amministrazione alla riforma fiscale che il Parlamento ha attribuito al ministro Padoan, alla riforma della giustizia.
Abbiamo bisogno di uno Stato più semplice, più coraggioso, di un'Italia più forte. Questa riforma sta cercando di dare risposte a tutti questi interrogativi.
Si è molto discusso anche dell'urgenza di questa riforma, un'urgenza innegabile, che deriva sicuramente dalla necessità di dimostrare in Europa che le riforme strutturali non sono soltanto iniziate, ma che stanno andando avanti, perché sono l'unica condizione di flessibilità che possiamo avere in Europa, ma è un'urgenza che nasce soprattutto dall'esigenza di rispondere agli interrogativi dei nostri cittadini, di mantenere gli impegni che abbiamo assunto; è un'urgenza che deriva dalla necessità di rispondere ad un desiderio, ad un urlo di cambiamento che i cittadini ci hanno rivolto anche con le elezioni europee, in cui per la prima volta dal 1958 ad oggi un partito ha raggiunto un risultato così ampio, proprio perché nel nostro Paese c'è voglia di cambiamento. Ci potrà allora essere un tentativo di rallentare questo cambiamento, dell'ostruzionismo che ci porterà a lavorare una settimana di più e forse a sacrificare un po' di ferie, ma noi manterremo l'impegno di cambiare il Paese perché lo abbiamo promesso ai nostri cittadini. Quest'urgenza deriva innanzitutto da noi.
Vi rubo un minuto per una considerazione che non è del Governo, ma più personale, di un deputato che è alla prima legislatura. Noi eravamo insieme in seduta comune, un anno fa, quando il Presidente della Repubblica venne rieletto con una maggioranza molto ampia. Quel 22 aprile il Presidente della Repubblica, in modo molto severo, richiamò tutti i politici alle loro responsabilità, anche alla loro incapacità di portare a termine quel processo di riforme costituzionali che tutti noi avevamo promesso agli italiani e ai cittadini. Oltre all'ammirazione ed alla stima nei confronti del Capo dello Stato, che anche con sacrificio personale e per senso di servizio nei confronti della Repubblica e delle istituzioni, ha accettato quel nuovo mandato, mi chiedevo anche se saremmo riusciti ad essere conseguenti a quella condivisione ampia che avevamo in Parlamento quel giorno sulla necessità e sull'urgenza delle riforme, se saremmo usciti, tutti insieme, da quelle sabbie mobili.
Da lì è iniziato un percorso che ha portato alla Commissione dei 35 esperti. Ringrazio anche il mio predecessore, Gaetano Quagliariello, per il lavoro paziente che ha saputo fare con la Commissione, che si è inserita nel solco già tracciato dagli esperti nominati qualche tempo prima dal Presidente della Repubblica.
Il lavoro degli esperti ci ha consegnato dei punti di ampia condivisione. Tutto, lo sappiamo, è migliorabile, sempre; ma sappiamo anche che sull'impianto fondamentale che questa riforma presenta - dal superamento del bicameralismo perfetto ad un rapporto di fiducia con il Governo di una sola Camera, alla necessità di rivedere le competenze dello Stato, attribuendogli nuovamente la competenza ad esempio, in materia di energia, di grandi opere infrastrutturali, di reti di trasporto - c'è un consenso ampio anche nel mondo accademico.
Su altre soluzioni la scelta è rimasta aperta, anche nel lavoro dei saggi e spetta a noi politici la decisione di cosa sia meglio oggi per il nostro Paese: questa è la responsabilità alla quale siamo chiamati.
La riforma che abbiamo presentato non è però un'approssimazione casuale: poggia su delle spalle robuste e solide, sull'approfondimento e sulla discussione tra costituzionalisti che negli ultimi 30 anni ci sono stati nel mondo politico e scientifico e che sono rimasti in un cassetto.
Ho sentito alcuni - in quest'Aula e fuori di qui - parlare di «svolta autoritaria» per questa riforma. Questa è un'allucinazione e come tutte le allucinazioni non può essere smentita con la forza della ragione, perché resta tale. (Commenti dal Gruppo M5S). Non c'è niente di autoritario nel superamento del bicameralismo perfetto, così come non c'è niente di autoritario nella riforma del Titolo V, né nell'abolizione del CNEL. (Vivaci commenti dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Per cortesia, colleghi, non disturbate l'intervento del Ministro.
BOSCHI, ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. Un grande statista, che è stato anche un grande Presidente di questa Assemblea - oltre che un riferimento per tante donne e uomini della mia terra, compreso mio padre - Amintore Fanfani, ha detto una piccola grande verità: le bugie in politica non servono. (Applausi ironici e commenti dal Gruppo M5S. Applausi dal Gruppo PD e del senatore Casini).
Si può essere d'accordo o meno con questa riforma costituzionale, la si può votare o no, si può condividere o meno l'attività del Governo, ma parlare di svolta illiberale nel Paese per la presentazione di questa riforma è una bugia, e le bugie in politica non servono. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Casini. Vivaci commenti dal Gruppo M5S).
Questo Governo...(Commenti dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Per cortesia, non interrompete l'intervento del Ministro. I commenti non sono assolutamente pertinenti.
Prego, signora Ministro.
BOSCHI, ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. La ringrazio, Presidente. (Proteste dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Silenzio!
BOSCHI, ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. Questo Governo ha presentato riforme strutturali al Paese e presenterà il 1° settembre il programma dei mille giorni, l'impegno, il mandato per i prossimi tre anni di legislatura. (Commenti dal Gruppo M5S). Alla scadenzaelettorale naturale i partiti si organizzeranno per le votazioni, com'è sempre successo. Noi oggi, però, siamo chiamati a dare una nuova speranza al Paese. (Commenti dal Gruppo M5S).
LEZZI (M5S). Appunto!
BOSCHI, ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. Siamo chiamati a rendere le istituzioni vive, attuali, in sintonia con il Paese, se non vogliamo che diventino un simbolo del passato, anziché indicatori luminosi del futuro. Questa è la sfida alla quale siamo chiamati.
Sono trent'anni che prendiamo a schiaffi l'opportunità di cambiare noi per cambiare il Paese. Sono trent'anni che sprechiamo l'occasione di scommettere sul futuro. (Commenti dal Gruppo M5S). Sono trent'anni come direbbe il poeta che aspettiamo domani per avere poi nostalgia. Pensiamo che sia oggi il tempo delle scelte, il tempo di decidere.
Nelle vostre mani, onorevoli senatori, sta non soltanto questa fondamentale riforma della Costituzione, ma forse l'ultima chance di credibilità per la politica tutta, e sono sicura che nessuno di noi vorrà sprecarla. (Applausi dai Gruppi PD, PI e FI-PdL XVII. Alcuni senatori del Gruppo PD si levano in piedi. Commenti dal Gruppo M5S).

lunedì 14 luglio 2014

Moni Ovadia: la tragedia palestinese e la sinistra in Europa

"Io, dalla parte dei palestinesi e di Tsipras, una sinistra vera in Europa"

Ovadia si racconta in libreria

Dal conflitto in Medio Oriente alla lista Tsipras il sogno di giustizia di un artista militante.  L'attore è alle 18 all'Ambasciatori per presentare il libro di Suad Amiry architetto e scrittrice di Ramallah, "Golda ha dormito qui"

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DALL'IRRISOLTO conflitto israelo-palestinese al futuro della sinistra e dell'Europa. Moni Ovadia, il musicista di origine ebraica, ne parlerà oggi alle 18 alla libreria Coop Ambasciatori, presentando con Luisa Morgantini il libro "Golda ha dormito qui" di Suad Amiry. La scrittrice palestinese racconterà di un passato e un presente di odio, ma anche di una possibile speranza per i due popoli.

MONI Ovadia, il libro di Suad Amiry racconta di famiglie sradicate, case e terre perdute, popoli divisi. Dura dal 1948 questo conflitto, ed ora irrompono le notizie di questi giorni, le uccisioni, le rappresaglie. Ne vedremo mai la fine?
 

"Solo quando verrà riconosciuto che c'è un'occupazione che dura da cinquant'anni, quando Israele vedrà i palestinesi come un popolo e quindi sul loro stesso piano. La pace si fa con il nemico. Il mio essere ebreo mi fa stare dalla parte degli oppressi. E in questa vicenda gli oppressi sono i palestinesi: non parliamo di terre contese, ma di terre occupate. Suad Amiry ha il merito di raccontare questo con il punto di vista palestinese e lo fa da grande scrittrice. Capire il profilo umano di qualcuno, cosa ha passato, ma questo non viene fatto. E guardi, anche qui da noi, ormai anche la sinistra non parla volentieri della Palestina. In Occidente ci voltiamo dall'altra parte. Si parla poco di loro: mi creda, il popolo palestinese è il più solo al mondo".

Conferenze di pace, road map, trattati. Poi riscoppia la violenza.

 "Tutto fumo negli occhi. Finché il mediatore saranno gli Stati Uniti non c'è soluzione: non è un mediatore neutrale, sta dalla parte di Israele. Vedo un avvenire terrificante purtroppo, sarà una catastrofe anche per Israele, perché opprimendo gli altri perdi anche tu l'anima. E diventi un aguzzino".
Di mio aggiungo, caro Ovadia, che ormai da decenni l'UNIONE EUROPEA ha le sue enormi responsabilità, per importanza geopolitica, popolazione, economia. 

Chi potrebbe fare qualcosa, l'Europa?

 
"Da questa Europa vile e opportunista che ha ancora la coda di paglia per come non si oppose alla Shoah (lo fecero gli anti-nazifascisti, non gli stati nazionali), non mi aspetto nulla, anche se potrebbe fare tanto. Serve una conferenza di pace, ma che porti giustizia, non che preveda ghetti o bantustan per un intero popolo". 

Di mio aggiungo che l'UNIONE EUROPEA ha tutte le carte in regola per avere o, almeno, costruire un rapporto paritario con gli STATI UNITI, quindi...

A proposito di Europa, lei era stato eletto al Parlamento ma vi ha rinunciato. Non poteva essere quella una platea adeguata per le sue battaglie?
"Certamente, ma fui chiaro da subito, quando mi fu chiesto di dare una mano alla Lista Tsipras. Ho molte persone che lavorano con me, orchestrali, musicisti, avrei dovuto interrompere gli spettacoli. Non volevo finire sui giornali come: ecco Ovadia, l'uomo di sinistra che mette a casa venti lavoratori. E poi non sono un politico, sono un attivista e un militante".

Che futuro vede per la Lista Tsipras?
"C'è da fare un grande lavoro. Il 19 faremo un'assemblea nazionale, credo che ci sia un popolo di sinistra che non si riconosce nel Pd, e ancora meno nel Pd di Renzi. La sua non è una cultura di sinistra, e mi piacerebbe avesse l'onestà di dirlo. Per restare all'Europa e alle sue categorie e famiglie politiche, Renzi non è un socialista. Basta esser chiari, io rispetto i conservatori, la Merkel che dice facciamo dei tagli ma non a ricerca e scuola, per me è una politica di vaglia, da rispettare. Poi la pensiamo diversamente ".

Che spazio c'è per un partito di sinistra?

 
"C'è un sogno che è anche il mio, quello di una forza di sinistra reale in Italia e in Europa che come prima cosa dica no al neoliberismo. E' questo è il grande discrimine. Poi, è pure un fatto di democrazia in senso tecnico. Non si può arrivare ad un unico grande partito con due ali, quella destra e quella sinistra: sarebbe una democrazia che funziona male, senza dialettica. Ricostruiamo la sinistra se non altro per quello. Altrimenti guai a noi".





R.it - BOLOGNA
 

venerdì 11 luglio 2014

Immunità, uguaglianza menzogne


IMMUNITA' DEI POLITICI E UGUAGLIANZA DEI CITTADINI 

secondo il nuovissimo Renzi, politico con 20 anni di esperienza "politica" (un enfant prodige, ça va sans dire), e la sua ministra Boschi, menzogne comprese, rivelate da Calderoli e Finocchiaro (vicenda lunga riportata dai media cartacei e telematici, un po' meno o punto dalla TV)

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/11/immunita-il-report-ue-italia-garantista-come-albania-bielorussia-georgia-e-russia/1056401/

Immunità, il Consiglio d’Europa: “Italia garantista come Albania e Bielorussia”

Lo dice uno studio della "Commission de Venise", organo consultivo sulle questioni costituzionali, pubblicato a marzo. Come funziona l'istituto negli altri Paesi? Ovunque è tutelata la libertà di opinione, ma ci sono forti differenze: Regno Unito e Paesi Bassi non prevedono garanzie in caso di reati comuni; in Germania l'immunità c'è, ma come prassi viene revocata a inizio legislatura; in Svezia cade se il crimine prevede una pena superiore a 2 anni ... continua