lunedì 23 settembre 2013

Rigidità e Politica

Si metterà un po' calma la signora tedesca ora che è stata eletta con gran trionfo?



Copio da Micromega

I debiti della Germania e l’austerità della Merkel

di Luciano Gallino, da Repubblica, 26 agosto 2013

L'intervista concessa giorni fa dalla Cancelliera Merkel alla Frankfurter Allgemeine, apparsa anche su Repubblica, si presenta con due facce. La prima è quella di un manifesto elettorale, in vista della tornata di settembre. Angela Merkel è nota per saper interpretare come pochi altri politici le idee e gli umori del cittadino medio del suo paese.

Che si possono così compendiare: noi lavoriamo sodo, sappiamo fare il nostro mestiere e amministriamo con cura il denaro pubblico e privato; quasi tutti gli altri, nella Ue, lavorano poco, sono degli incapaci e vivono al di sopra dei loro mezzi. La seconda faccia dell'intervista è una calorosa difesa delle politiche di austerità e delle riforme che la Cancelliera ha imposto ai Paesi Ue affinché risanino i bilanci pubblici e riducano i debiti. Ogni personaggio politico sceglie le strategie comunicative che crede ed è probabile che quelle di Angela Merkel le assicurino il terzo mandato consecutivo. Su di esse non c'è quindi nulla da dire. Ma la difesa strenua dell'austerità e il messaggio implicito nell'intervista "i Paesi Ue sono pieni di debiti e noi no, per cui ci tocca insegnargli come si fa ad uscirne" meritano qualche osservazione.

La prima è che la Germania, se si guarda alla sua storia, non ha nessun titolo per impartire lezioni in tema di debiti. Un paio di anni fa un docente tedesco di storia economica, Albrecht Ritschl, ebbe a definire la Germania, in un'intervista a "Spiegel Online", il debitore più inadempiente del XX secolo. La Germania di Weimar aveva contratto tra il 1924 e il 1929 grossi debiti con gli Stati Uniti per pagare le riparazioni dellaI Guerra mondiale. La crisi economica del 1931 consentì al paese debitore di azzerarli, con un danno enorme per gli Usa. La Germania di Hitler smise semplicemente di pagare le riparazioni, sebbene esse fossero state drasticamente ridotte a confronto dell'entità punitiva indicata dal trattato di Versailles del 1919. Per parte sua il nuovo stato federale ha pagato somme minime per i danni provocati dalla Germania nella II Guerra mondiale, grazie anche al benvolere degli americani che gradivano si rafforzasse per fare da argine all'Urss.

Ma soprattutto non ha pagato quasi nulla per restituire ai Paesi europei occupati tra il 1940 e il 1944 le ingenti risorse economiche che la Germania nazista aveva prelevato a forza da essi. Lo stesso professor Ritschl ha stimato, in un articolo presentato nel 2012 alla 40a Conferenza di Scienze Economiche, che in moneta attuale codesto debito verso l'estero ammonterebbe a 2,2-2,3 trilioni di euro, equivalente all'incirca a un anno intero di Pil della Germania attuale. Avesse dovuto restituire anche soltanto un trilione ai Paesi spogliati dai nazisti, la nuova Germania avrebbe dovuto sborsare decine di miliardi l'anno per parecchi decenni.

A parte l'oblio del pessimo record della Germania come debitore, la orgogliosa difesa delle virtù dell'austerità che Angela Merkel fa nella sua intervista male si accorda con le cifre. Secondo dati Eurostat nei Paesi Ue si contano oggi oltre 25 milioni di disoccupati e 120 milioni di persone a rischio povertà per varie cause: reddito basso anche quando lavorano, gravi deprivazioni materiali, appartenenza a famiglie i cui membri riescono a lavorare soltanto poche ore la settimana. La scarsità di impieghi, i tagli alla spesa sociale e all'occupazione nel settore pubblico hanno ridotto male anche le classi medie dei Paesi Ue.

Neanche i lavoratori tedeschi se la passano bene. I "minijobbers", coloro che debbono accontentarsi dei contratti da 450 euro al mese sgravati da tasse e contributi sociali, sono in forte aumento e si aggirano oramai su 8 milioni, circa un quinto delle forze di lavoro. Tra le cause di tutto ciò va annoverata la crisi, certo. Ma la crisi è iniziata sei anni fa. La recessione che ha provocato avrebbe dovuto essere combattuta in modo rapido e deciso con un aumento mirato della spesa pubblica,ei governi europei avevano il sacrosanto dovere di farlo dopo che avevano salvato le banche private a colpi di trilioni di denaro pubblico. Tuttavia sotto la sferza del governo tedesco essi adottarono la più dissennata delle politiche concepibili dinanzi a una recessione: la contrazione della spesa. Perfino gli economisti del Fmi, per decenni fautori dei più duri aggiustamenti strutturali, sono arrivatia scrivere che l'austerità nella Ue ha prodotto risultati negativi. È rimasta la signora Merkel a vantarne i benefici.

La stessa Cancelliera e il governo tedesco dovrebbero inoltre ricordarsi più spesso che la prosperità della Germania deve molto alla sottovalutazione del "suo" euro, senza la quale i 200 miliardi di eccedenza delle esportazioni sulle importazioni - 80 dei quali sono generati entro la Ue - si ridurrebbero a poca cosa. A fine 2011 un team di economisti della Ubs aveva stimato che l'euro tedesco fosse sottovalutato del 40 per cento.

Altre fonti recenti indicano che esso vale2 dollarie non 1,40 come dice il cambio ufficiale - uno scarto appunto del 40 per cento. E pochi mesi fa Wofgang Münchau del "Financial Times", senza fare cifre, parlava di "enormi squilibri" tra il valore dei diversi euro dell'eurozona. Tali squilibri, tra cui primeggia quello tedesco, sono dovuti al fatto che essendo l'euro una moneta unica, il suo valore nominale non può variare in modo da compensare le differenti capacità di produrre ed esportare delle economie europee. Se così fosse, le esportazioni tedesche sarebbero diventate da tempo assai più care. Ora non ci permetteremo qui di definire i tedeschi "portoghesi d'Europa", come ha fatto qualche commentatore, ma un miglior apprezzamento dei vantaggi differenziali che l'euro reca alla Germania da parte del suo governo sarebbe gradito.

Ad onta dei suoi difetti di nascita, di un trattato istitutivo che assomiglia più allo statuto di una camera di commercio che a un documento politico, dei suoi squilibri interni, l'Unione europea rimane la più grande invenzione politica, civile ed economica degli ultimi due secoli. Per continuare a rafforzare tale invenzione gli stati membri hanno bisogno della Germania, così come questa ha bisogno di loro. Gioverebbe a tale processo poter discutere con governanti tedeschi che tengano più presente la storia economica e sociale del loro Paese, siano meno altezzosi nei confronti dei Paesi che giudicano colpevoli per il solo fatto di essere indebitati (non a caso Schuld in tedesco significa sia colpa che debito), e studino magari un po' di economia per capire che l'austerità in tempi di recessione è una ricetta suicida. Per chi è costretto ad applicarla, ma, alla lunga, anche per chi la predica. Inutile aggiungere che allo stesso sviluppo gioverebbe avere negli altri Paesi, compresa l'Italia, dei governanti che a Berlino o a Bruxelles non vadano soltanto per dire che il loro Parlamento approverà senza condizioni qualsiasi trattatoo dettato che le due capitali (una, in realtà) si sognino di confezionare.

domenica 22 settembre 2013

Paura e Politica

Larghe intese (inesistenti)

Stabilità (un totem)

Paura che genera e sostiene il potere dei poteri.


"Siamo entrati in un'epoca di paura." ...  "Ma le fonti di insicurezza reali nei decenni a venire saranno quelli che la maggior parte di noi non è in grado di definire...sono il tipo di minaccia che più si presta a essere sfruttato da politici sciovinisti, proprio perché si traduce con gran facilità in rabbia e umiliazione."


Tony Judt, Guasto è il mondo, Editori Laterza, 2011 Bari, pag. 157

lunedì 16 settembre 2013

Paura e Politica



Guasto è il mondo, preda
di mali che si susseguono,
dove la ricchezza si accumula
e gli uomini vanno in rovina.
 
Oliver Goldmisth
The Deserted Village  (1770)
 
Mi attrasse nell'ormai lontano 2011 quest'epigrafe sulla copertina di "GUASTO E' IL MONDO", un libro di Tony Judt, che lo concluse a New York nel febbraio del 2010. Non sapevo allora che Judt fosse morto poco dopo, sempre a New York, il 6 agosto successivo, a 62 anni.

Mi attrassero i versi di Goldsmith che lasciavano presagire i contenuti del libro, un ampio saggio formato da tanti saggi. Nel sesto capitolo, "La forma delle cose che verranno", c'è un paragrafo che affronta lo studio della "politica della paura".

La paura è un tema dominante del nostro presente, in cui corrono minacce di disastri da un luogo all'altro, e si accumulano consigli e ordini e convincimenti che sembrano avere come principale obiettivo l'asservimento delle persone e la riduzione dei loro
diritti.

"Siamo entrati in un'epoca di paura. L'insicurezza è tornata a essere un ingrediente attivo della vita politica nelle democrazie occidentali. ... [E' un'insicurezza che nasce] "(forse soprattutto) dalla paura che non siamo soltanto noi a non essere più in grado di plasmare la nostra vita, ma che anche coloro i quali detengono il potere abbiano perso il controllo in favore di forze al di sopra della loro portata."
 
 
Tony Judt, Guasto è il mondo, Editori Laterza, 2011 Bari, pag. 156

giovedì 12 settembre 2013

L'indice VIX e la paura

PAURA
 
 
L’ indice VIX
 
" Il VIX [ovvero il Chicago Board Options Echange Volatilty Index è un indicatore di paura. Quando gli operatori temono il calo dei mercati, si proteggono comprando opzioni PUT. I prezzi di queste opzioni salgono e con essi sale l’indice VIX. Quando la paura passa, si comprano meno PUT o addirittura si vendono e il VIX scende.
Come dice Warren Buffett, il momento migliore per comprare è quando c’è “il sangue per le strade”, cioè quando la paura è molto elevata." (dal sito: www.educazionefinanziaria.com/un-indicatore-da-tenere-docchio-ef-rep...)

Il VIX, infatti, viene chiamato Index of fear, cioè l'Indice della paura. "L'INDICE della PAURA" è il titolo di un romanzo che Robert Harris ha ambientato nel mondo dell'alta finanza. A pag. 90 Harris scrive:

"La paura è storicamente l'emozione più forte in economia. Ricordate cosa disse Franklin Delano Roosvelt durante la Grande depressione? E' la citazione più famosa nella storia finanziaria: 'La sola cosa che dobbiamo temere è la paura'. In realtà la paura è l'emozione umana più forte. ... Una cosa che siamo riusciti a fare , per esempio, è correlare le recenti fluttuazioni del mercato al tasso di frequenza di parole  legate alla paura nei media: terrore, allarme, panico, orrore, sgomento, spavento, allerta, antrace, nucleare. La nostra conclusione è che la paura sta guidando il mondo come mai prima."

vedi anche: VIX, Questo sconosciuto - Borsa Italiana


 


giovedì 5 settembre 2013

L'incandidabilità

Sulla questione della decadenza del Sen. Silvio Berlusconi

di Ernesto Bettinelli *
 
 
 
Osservazioni richieste da Luca Nicotra (Avaaz) sulla questione della decadenza del Sen. Silvio Berlusconi
1. Il quadro costituzionale
Occorre tenere presenti i seguenti enunciati costituzionali (citati in successione logica) e procedere a una loro coerente interpretazione sistematica per ricavarne significati normativi per affrontare con sapienza la questione proposta:
I. “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore” (art. 54, comma 2).
II. “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione” (art. 67). III. “Il diritto di voto non può essere limitato se non…per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”.
IV. “Tutti i cittadini… possono accedere…alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.
V. “La legge determina i casi di ineleggibilità… con l’ufficio di deputato e di senatore” (art. 65, comma 1).
VI. “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissioni dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità” (art. 66).
Da questo complessivo “discorso” costituzionale è facile dedurre indicazioni assai puntuali:
a) La funzione rappresentativa ha valore generale (non è subordinata solo all’investitura elettorale ottenuta: “titolo” necessario, ma non sufficiente) e per il suo svolgimento sono richieste alcune irrinunciabili condizioni come l’onorabilità (presunta fino al verificarsi di situazioni con essa incompatibili) di tutti i parlamentari. In effetti, la mancanza di onorabilità anche di un solo parlamentare menomerebbe il prestigio dell’intera Assemblea, connotato irrinunciabile per qualsiasi istituzione costituzionale (il richiamo alla Nazione – con la maiuscola – segnala proprio questa esigenza).
b) La perdita di onorabilità determina “indegnità morale” che giustifica la limitazione dei diritti elettorali (diritto di voto e, conseguentemente, di eleggibilità). La Costituzione affida (soltanto) al legislatore il compito di individuare ragionevolmente (anche con riferimento alla comune sensibilità collettiva in un determinato momento storico) e tassativamente i casi di indegnità morale. Attualmente, per citare un esempio significativo, sono esclusi dai diritti elettorali i cittadini sottoposti a misure di prevenzione, applicate in via definitiva dall’autorità giudiziaria, ma al di fuori di un processo penale che abbia accertato la commissione di reati (l’art. 2 del T.U. n. 223 del 1967). In simili casi il semplice (pur rilevante) sospetto di comportamenti non compatibili con i requisiti costituzionali di disciplina ed onore è dunque causa di ineleggibilità. A maggior ragione il legislatore ha individuato le ipotesi di condanne penali passate in giudicato che, per la loro particolare offesa ai fondamentali doveri di convivenza (anch’essi puntualmente dichiarati dalla Costituzione come l’obbligo tributario (art. 53)), comportano limitazioni anche solo temporali ai diritti elettorali.
c) Un simile trattamento vale per tutti i cittadini senza distinzione di “condizioni personali e sociali” (principio di eguaglianza affermato dall’art. 3 e ribadito dall’art. 51) e al legislatore nello stabilire i casi di ineleggibilità (anche e soprattutto a tutela del Parlamento) non è certamente consentito contravvenire a disposti costituzionali così perentori.
d) L’assenza delle cause ostative appena ricordate è uno dei titoli necessari per un valido accesso alle Assemblee legislative. Ciò significa – vale la pena insistere – che la pur forte, magari plebiscitaria, legittimazione elettorale non è un fatto sufficiente a superare la mancanza di altri requisiti “morali” che consentono di rappresentare la Nazione (e non solo una parte politica pur rilevante). La Costituzione (un po’ ingenuamente) ha affidato alle singole Camere il compito di accertare la sussistenza di tutte le condizioni indispensabili alla convalida dei loro membri, confidando che l’adesione allo spirito della Repubblica prevalga su qualsiasi interesse di parte.
2. La “natura” della c.d. (impropriamente) “legge Severino”
Una simile “questione” così dogmatica è semplicemente fuorviante: una manciata di sabbia negli occhi dell’opinione pubblica. Basta segnalare che uno degli scopi del Decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (attuativo della legge 6 novembre 2012, n. 190, contro la corruzione), è quello di dare piena attuazione ai principi costituzionali illustrati al punto precedente. Non è evidentemente una legge penale, non commina sanzioni supplementari rispetto a quelle già fissate dall’ordinamento penale. Si limita a precisare che l’ineleggibilità sopravvenuta, in seguito a una sentenza penale irrevocabile di condanna (grave), dà luogo a immediata decadenza appena sono esauriti tutti i gradi di giudizio. L’evento formale che conta è appunto la pubblicazione della sentenza definitiva e non la commissione del reato. L’onorabilità si perde (giuridicamente) solo in tale momento e la decadenza viene deliberata, come si è già detto, a tutela dell’istituzione parlamentare e non tanto per irrogare una pena ulteriore al parlamentare interessato. Si tratta, quindi, dell’accertamento dovuto di una condizione nuova (la mancanza di un titolo indispensabile all’esercizio della funzione rappresentativa). Pertanto il richiamo al principio di retroattività è manifestamente infondato e viene utilizzato solo nell’impossibile tentativo di cambiare il DNA (ratio) di una disciplina specifica. Se così non fosse, dovrebbero qualificarsi come “penali” tutte le leggi di vario contenuto (amministrativo, civile, tributario) che per la protezione o affermazione di interessi collettivi, danno luogo a (ragionevoli) “situazione di svantaggio” nei confronti di determinate categorie di persone (chiamate ad adempiere obblighi o a sostenere oneri).
3. I compiti della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari e la successiva deliberazione del Senato.
Alla Giunta, in linea con quanto finora esposto, spetta un solo compito: accertare che la condanna definitiva, causa di decadenza, provenga da un organo giurisdizionale competente (nel caso in esame, la Corte di Cassazione) e che la sentenza sia stata validamente pubblicata. Il ricorso alla Corte costituzionale sarebbe ammissibile, in sede di conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, ove la Giunta e il Senato, a cui spetta di deliberare le proposte della Giunta, ritenessero che la sentenza provenga da un soggetto non giurisdizionale che pretendesse di esercitare una funzione che la Costituzione non gli assegna. Si tratta di un’ipotesi davvero inverosimile. In sede di Giunta, come nelle assemblee parlamentari, è possibile avanzare qualsiasi argomento anche il più astruso e, magari, suffragarlo con il voto. La discussione nei Parlamenti democratici deve essere ed è assolutamente libera, ma non è affrancata da responsabilità istituzionali. Ove il Senato a maggioranza (dietro lo scudo del voto segreto) si esprimesse contro la decadenza dovuta di un suo membro esorbiterebbe dalle proprie funzioni generando un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, sollevato dal potere giurisdizionale che potrebbe (dovrebbe) lamentare l’irragionevole mancanza di considerazione delle proprie autonome decisioni. Di fronte a un voto del Senato che arbitrariamente posponesse la tutela della propria onorabilità costituzionale agli interessi di un suo membro potrebbe intervenire anche il Capo dello Stato, garante della Costituzione e rappresentante dell’unità nazionale (art. 87, comma 1). Tale concetto ricomprende anche l’indisponibile valore della dignità dello Stato in tutte le sue componenti istituzionali. Il Presidente della Repubblica potrebbe, pertanto, valutare l’opportunità di uno scioglimento anticipato dell’Assemblea che, così clamorosamente, venisse meno ai propri doveri costituzionali di rispetto del fondamentale principio di separazione dei poteri dello Stato.
4. Lo svolgimento “immediato” dei lavori-compiti della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari.
Non è solo la “legge Severino” a utilizzare l’espressione “immediatamente” per sollecitare una tempestiva decisione degli organi camerali preposti all’accertamento dell’ineleggibilità sopravvenuta dei parlamentari e, quindi, dichiarare la loro decadenza (art. 3, comma 2 del già citato Decreto legislativo n. 235 del 2012). L’apposito regolamento del Senato (adottato nel 1992) sulla “verifica dei poteri”, normalmente affidata a livello istruttorio alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, è informato al criterio della massima sollecitudine, come si può desumere, in particolare, dagli artt. da 13 a 17, che in caso di “contestazione” dell’elezione di un Senatore (anche per sopravvenuta ineleggibilità) prevedono un procedimento assai dettagliato e in tempi assai rigorosi anche per quanto concerne l’attività e le modalità di “difesa” dell’interessato. Il “metodo del contraddittorio”, oltre come garanzia individuale, è stato previsto anche a questo fine e non è sufficiente a trasformare un organo a caratterizzazione così evidentemente politica quale è la Giunta (al pari degli altri organi camerali) in un luogo di rango giurisdizionale (abilitato pertanto a rimettere questioni di legittimità alla Corte costituzionale). Ad evitare atteggiamenti dilatori o, peggio, di natura ostruzionistica diretti al solo scopo di ritardare le dovute decisioni della Giunta e, successivamente, dell’Assemblea, il Regolamento (generale) del Senato prevede, tra l’altro, che i membri della Giunta (nominati dal Presidente del Senato) non possono dare le dimissioni (il presidente del Senato potrebbe rinnovare i componenti della Giunta, soltanto nell’ipotesi in cui questa non si riunisca per oltre un mese, nonostante ripetute convocazioni da parte del suo presidente) (art. 19, commi 1-bis e 1-ter, Reg. Senato).
 
Università di Pavia, 5 settembre 2013
 
* L’autore è Professore ordinario di Diritto costituzionale a Pavia e socio di LeG

lunedì 2 settembre 2013

 
 
 

"ma Dike è una dea seria"
 
 
di Franco Cordero, Micromega,
 
 
Non siamo ancora alla fine; i forzaitalioti guardano stupiti la metamorfosi giacobina nel Pd; possibile che, così duttile, d’un colpo diventi inesorabile legalista?
 
Sarà tutto chiaro post 9 settembre, appena la questione della decadenza arrivi all’assemblea: il voto è segreto e fanno precedente i 101 antiprodiani 19 aprile.
 
Sua Maestà dissemina esche: l’ultimatum è anche bluff; che tripudio nella reggia d’Arcore, stile Eliogabalo, se tutto finisse in appeasement.