sabato 31 marzo 2012

Le cose che non sappiamo [2]

La lotta di classe dopo la lotta di classe

Luciano Gallino e Paola Borgna


La classe di quelli che da diversi punti di vista sono da considerare i vincitori – termine molto apprezzato da chi ritiene che l'umanità debba inevitabilmente dividersi in vincitori e perdenti – sta conducendo una tenace lotta di classe contro la classe dei perdenti.
Questa classe dominante globale esiste in tutti i paesi del mondo, sia pure con differenti proporzioni e peso. Essa ha tra i suoi principali interessi quello di limitare o contrastare lo sviluppo di classi sociali – quali la classe operaia e le classi medieche possano in qualche misura intaccare il suo potere di decidere che cosa convenga fare del capitale che controlla allo scopo di continuare ad accumularlo.Caso la lettrice o il lettore non lo sapessero:

il maggior problema dell’Unione europea è il debito pubblico.
Abbiamo vissuto troppo a lungo al di sopra dei nostri mezzi.
Sono le pensioni a scavare voragini nel bilancio dello Stato.
Agevolare i licenziamenti crea occupazione.
La funzione dei sindacati si è esaurita: sono residui ottocenteschi.
I mercati provvedono a far affluire capitale e lavoro dove è massima la loro utilità collettiva.
Il privato è più efficiente del pubblico in ogni settore: acqua, trasporti, scuola, previdenza, sanità.
È la globalizzazione che impone la moderazione salariale. Infine le classi sociali non esistono più.

Quanto sopra sembrerebbe un primo elenco compilato alla buona da qualcuno che colleziona idee ricevute, in preparazione di un dizionario delle medesime curato da imitatori contemporanei di Bouvard e Pécuchet. Purtroppo non si tratta di un esercizio per scapoli solitari, come nell’opera di Flaubert. In forma più o meno strutturata, quelle idee vengono ogni giorno presentate come essenza della modernità, ovvero del mondo che è cambiato ma finora non ce n’eravamo accorti. Nell’esporle si cimentano quotidiani di ogni stazza, grandi medi e piccoli, e ovviamente la tv (ma al riguardo parlare di idee strutturate sarebbe troppo); quasi tutti i politici, quale che sia il partito di riferimento; un buon numero di sindacalisti; migliaia di docenti universitari nei loro corsi; nonché innumerevoli persone comuni.

Dinanzi a una simile totalitaria unanimità, mai rilevata nella storia dell’ultimo secolo, viene da chiedersi anzitutto per quali vie abbia potuto svilupparsi.

In cerca di una spiegazione, si potrebbero mobilitare illustri teorie della falsa conoscenza, dalla caverna platonica agli idola di Bacone, dal velo dell’ideologia di Marx al concetto di egemonia di Gramsci. Oppure, per stare più sull’ordinario, si potrebbe rinviare al fiume di pubblicazioni, convegni e dossier che, muovendo dai serbatoi del pensiero, dai think tanks internazionali del neoliberalismo, diffondono quotidianamente le sue mitologie: economica, politica, monetaria, educativa. Le quali, a differenza dei miti, diventano pratiche di governo e di amministrazione a tutti i livelli della società. Chissà se Foucault sarebbe contento, oppure atterrito, nel vedere come la sua teoria del governo diffuso, della governamentalità, appaia sempre più confermata.

In secondo luogo bisognerebbe capire come mai tale repertorio di idee ricevute risulti del tutto impermeabile alla realtà. E certo non da oggi. Infatti, a dispetto della unanimità di cui godono, non una delle suddette idee – al pari di dozzine di altre della stessa genìa che dobbiamo qui tralasciare – ha un fondamento qualsiasi di ragionevole solidità. Oltre ai rapporti dei centri studi di mezzo mondo, è la realtà stessa che da decenni, quotidianamente, si incarica di prenderle di continuo a ceffoni.

Per dire, sono proprio i mercati che meglio incorporano la teoria del libero mercato, quelli finanziari, che hanno disastrato l’economia mondiale.

Il paese che ha avuto meno problemi con l’occupazione nel corso della crisi è la Germania, dove i sindacati hanno nel governo delle imprese un peso rilevante. I problemi peggiori li hanno avuti, e li hanno, gli Stati Uniti, dove la facilità di licenziamento è massima: basta un foglio rosa che il venerdì invita a non presentarsi al lavoro il lunedì successivo, se non anzi una battuta faccia a faccia: "sei fuori".

Quanto alle privatizzazioni, alla supposta superiorità intrinseca e universale del privato sul pubblico per produrre e gestire beni pubblici, si può rinviare all’analisi degli effetti che esse hanno avuto nel  Regno Unito tra il 1980 e la fine del secolo, dove furono eccezionalmente imponenti. Con un impegno per il lettore: trovare almeno un effetto che non sia negativo, tra produttività e disuguaglianze di reddito, costi di un dato servizio e qualità del medesimo.

...

Abbiamo quindi tentato di limitarci ad un solo tema, provando a dire che
  • le classi sociali esistono ancora, sebbene siano scomparse dalla mente di quasi tutti noi;
  • hanno come testimonianza della loro realtà lo stato del mondo in cui viviamo;
  • e il futuro dipende da come l’interazione tra di esse si evolverà, tra le tante potenzialità di conflitto, compromesso, forme di egemonia vincenti o perdenti che essa nel fondo contiene. Alla fine abbiamo dovuto constatare che, ad onta della scelta monotematica iniziale, ci siamo inevitabilmente occupati di parecchi dei temi che avevamo pensato di lasciare da parte.
  Luciano Gallino e Paola Borgna


giovedì 29 marzo 2012

Monti e la mia commozione (iniziale)




un altro specchio spezzato


dal blog di Gad Lerner

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.

Il brutale disincanto con cui Monti il tecnico si rivolge dall’estero al paese malato che gli tocca governare –considerandolo impreparato a comprendere del tutto la terapia da lui somministrata, e però ben allertato contro la malapolitica dei partiti- ormai sta assumendo i tratti di una vera e propria ideologia. Poco importa se il premier la lasci trasparire per passione, per stanchezza o per calcolo: anche i tecnici hanno un cuore e, dunque, un credo. Resta da vedere se tale ideologia tecnica, niente affatto neutrale, risulti adeguata a corrispondere e guidare lo spirito dei tempi, in una società traumatizzata dalla crisi del suo modello di sviluppo. O se invece si riveli anch’essa retaggio di un’epoca travolta da una sequenza di avvenimenti nefasti che non aveva previsto e che ha contribuito a provocare.


Per prima cosa Monti insiste a comunicarci la sua provvisorietà, e non c’è motivo di dubitare che sia sincero. Che sia per modestia o al contrario per supponenza, poco importa, egli si compiace di descriversi quale commissario straordinario a termine: “Sarà fantastico, per me il dopo Monti”, scherza. Né difatti ha alcuna intenzione di dimettersi da presidente dell’Università Bocconi, la vera casa cui intende fare ritorno. La forte motivazione implicita in questo annuncio ripetuto è il disinteresse. Immune da ambizioni personali di carriera che non siano il prestigio “di scuola”, egli rivendica di stare al di sopra e al di fuori degli interessi di parte delle rappresentanze sociali e politiche. Sa bene che alla lunga non può esistere governo neutrale rispetto agli interessi in campo, e anche per questo allude continuamente alla sua provvisorietà. Ma non gli basta per essere creduto: anche lui ha una biografia, non viene dal nulla. Ha partecipato da indipendente ai consigli d’amministrazione di grandi aziende; manifesta una convinta lealtà alle istituzioni dell’Unione Europea in cui ha operato per un decennio; ha frequentato da protagonista i think thank del capitalismo finanziario sovranazionale.

Un pedigree autorevolissimo che, unitamente al suo percorso accademico, lo connota quale figura cosmopolita organica a un establishment liberale conservatore, che in Italia è sempre rimasto minoritario. La cui pubblicistica da un ventennio raffigura (a torto o a ragione) le rappresentanze sociali e politiche del nostro paese come cicale, se non addirittura come cavallette.


Qui s’impone il passaggio successivo dell’ideologia montiana o, se volete, l’idea di giustizia sociale di cui è portatore il tecnico di governo. Dovendo “scontentare tutti”, almeno in parte, con le sue ricette amare, non basterebbe certo a legittimare cotanta severità il fatto che ci venga richiesta dalla troika (Fmi, Bce, Commissione europea) e dai mercati finanziari. L’italiano Monti, per quanto provvisorio, non può presentarsi a noi come il “podestà forestiero” di cui nell’agosto scorso aveva paventato l’avvento.


Ecco allora l’autorappresentazione di sé come portatore di un interesse mai rappresentato al tavolo delle trattative con le parti sociali: i giovani, i nostri figli, i nostri nipoti, addirittura le generazioni future. Prima d’ora solo la cultura ambientalista si era concepita come portavoce lungimirante dei non ancora nati, dentro le controversie del presente. Declinata in prosa tecnica, tale ambiziosa pretesa di redistribuzione intergenerazionale cambia decisamente di segno; com’è apparso chiaro nelle motivazioni pubbliche che hanno accompagnato il varo della riforma delle pensioni, prima, e del mercato del lavoro, poi.


Retrocessa in subordine, o addirittura liquidata come obsoleta la contraddizione fra capitale e lavoro, negata ogni funzione progressiva alla lotta di classe, il tecnico di governo assume come impegno prioritario il superamento di una presunta contrapposizione fra adulti “iper-garantiti” (parole testuali di Monti) e giovani precari. Riecheggia uno slogan di vent’anni fa, “Meno ai padri, più ai figli”. Come se nel frattempo non avessimo verificato che, già ben prima della recessione, i padri hanno cominciato a perdere cospicue quote di reddito e posti di lavoro; mentre la flessibilità ha generalizzato la precarietà dei figli. Qui davvero l’ideologia offusca e mistifica il riconoscimento della vita reale, fino all’accusa rivolta ai sindacati di praticare niente meno che l’”apartheid” dei non garantiti.

In una lettera aperta a sostegno della modifica dell’articolo 18, promossa da studenti della Bocconi e pubblicata con risalto dal “Corriere della Sera” il 21 febbraio scorso, leggiamo addirittura:

“I nostri padri oggi vivono nella bambagia delle tutele grazie a un dispetto generazionale”.

Bambagia? Davvero è questa la rappresentazione del lavoro dipendente in Italia che si studia nelle aule dell’ateneo del presidente del Consiglio? Corredata magari dal rimprovero ai giovani che aspirano alla monotonia del posto fisso?

Ben si comprende, in una tale visione culturale, che la negazione del reintegro per i licenziamenti economici (anche se immotivati) venga considerata un “principio-base” irrinunciabile dal capo del governo. Così come si capisce la sintonia con le scelte di Sergio Marchionne in materia di libertà d’investimenti e rifiuto della concertazione. La stessa “politica dei redditi” concordata fra le parti sociali, auspicata mezzo secolo fa da La Malfa e in seguito messa in atto da Ciampi, viene liquidata come un ferrovecchio.
Mario Monti non è paragonabile a Margaret Thatcher, come ci ha ben spiegato ieri John Lloyd. Ma l’afflato pedagogico con cui si propone di cambiare la mentalità degli italiani per sottrarli a un destino di declino e sottosviluppo, sconfina ben oltre la tecnica: che lo si voglia o no, è biopolitica. Ha certo la forza sufficiente per tenere a bada gli attuali partiti gravemente screditati; ma al cospetto del malessere sociale rischia di manifestarsi come ideologia a sua volta anacronistica. Non a caso il presidente Napolitano si prodiga nel tentativo di attutirne gli effetti di provocazione.

Padri e figli potrebbero indispettirsi all’unisono.

martedì 20 marzo 2012

Amore

L'amore di Eloisa





Solo tu hai il potere di rendermi triste o donarmi gioia e conforto.


Il mio amore ha raggiunto tali vette di follia


che rubò a se stesso ciò che più agognava...


Ad un tuo cenno, subito cambiai il mio abito e i miei pensieri,


per dimostrarti che sei tu l'unico padrone del mio corpo e della mia volontà.



Eloìsa ad Abelardo (XII secolo)

Frattali

ICE FIRE





*




Sito: Ice Fire - MATHEMATICS FOR LOVERS - httpwww.google.iturlsa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=2&ved=0CDMQFjAB&url=http%3A%2F%2Fwww.artmatrix.com%2Fmj.html&ei=ORBpT5_rDKik4ASdu9DACQ&usg=AFQjCNE1y2Nlrt4zi7a95LXanzT7JTw8KQART MATRIX FRACTALS -

Giardini Zen

Fotoni


Forme di colori, linee sulla sabbia,
giardino Zen con rocce di "fotoni"



Rocce





Rock garden in a Kyoto temple

da un post del 24 aprile 2003

Zen



Zen nella pietra viva




La pietra è solo una pietra
ma non è solo una pietra
ha la luce dei rubini
il colore dalle turchese
e in più ha le parole
che servono per capire il suo amore


(dolcetta a 8 anni)






martedì 13 marzo 2012

Francesco Pullia

Vivisezione, bancarotta scientifica. Intervista al prof. Marco Mamone Capria

06-03-2012
 
Con gli interventi del professor Mamone Capria e di Umberto Veronesi, prosegue il dibattito aperto sulle questioni relative alla libertà di ricerca scientifica e di sperimentazione anche animale, che si è aperto il 6 febbraio scorso con gli interventi di Maria Antonietta Farina Coscioni ed Elisabetta Zamparutti, e che si è poi dilatato e arricchito con altri interventi: Francesco Pullia (7 febbraio); Emanuele Rigitano (10 febbraio), Maria Antonietta Farina Coscioni (20 e 27 febbraio); Luca Pardi e Francesco Pullia (29 febbraio); Piergiorgio Strata (1 marzo); Maria Antonietta Farina Coscioni (2 marzo); Michela Kuan (5 marzo) v. Non possiamo che auspicare che il dibattito, la riflessione e il confronto si sviluppino ulteriormente, a quanto pare ce n’è bisogno.
Marco Mamone Capria (www.dmi.unipg.it/mamone) insegna Meccanica Superiore per il Corso di Laurea in Matematica (dove ha anche insegnato Epistemologia) all’Università di Perugia. Ha insegnato Storia ed Epistemologia della Matematica e delle Scienze per tutti e nove i cicli della SSIS (Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario) dell’Università di Perugia. Ha fatto parte per due trienni del Comitato Etico di questa Università. È stato organizzatore di diversi convegni internazionali. È autore di studi su questioni di fondamenti della fisica, di metodologia e applicazioni delle scienze biomediche, di epistemologia e di storia della scienza; su questi temi ha tenuto numerose conferenze. Coordina il progetto "Scienza e democrazia” ed è dal 2007 presidente della Fondazione Hans Ruesch per una Medicina senza vivisezione. Una sintesi delle sue idee sui sulla ricerca scientifica si trova nel suo contributo al dibattito in corso su scienza e democrazia promosso dalla Fondazione Diritti Genetici.Tra i libri usciti a sua cura: Scienza e democrazia, Napoli, Liguori (2003); Scienza, poteri e democrazia, Roma, Editori Riuniti (2005); Physics Before and After Einstein (Amsterdam, IOS), Hans Ruesch, La medicina smascherata, Roma, Editori Riuniti (2005); Hans Ruesch, La figlia dell’imperatrice, Viterbo, Stampa Alternativa (2006).
Professore, i vivisettori fanno quadrato arrivando addirittura a sostenere, da un lato, che anche un intervento di appendice o un parto cesareo sarebbero forme di vivisezione e, dall'altro, che la notevole e ampia documentazione fotografica e multimediale esistente, reperibile anche in internet, non corrisponderebbe a realtà… 
Io credo molto nel confronto intellettuale, e sono grato a chi critica tesi a cui sono favorevole, perché, per dirla con Popper, la differenza tra l'ameba e Einstein è che l'ameba muore insieme alla teoria che incorpora mentre Einstein è capace di far morire al posto suo le teorie confutate. Ma quando leggo cose come quelle da Lei citate, la mia netta sensazione è che i vivisezionisti sono ormai allo stadio dell'arrampicamento sugli specchi. Solo che ciò che si sa delle mosche non può estrapolarsi a loro, cioè si sono messi in grave pericolo di cadere... ma nel ridicolo. Dico "ridicolo" perché far finta di non sapere qual è il significato tecnico del termine “vivisezione” quale è usato nel dibattito scientifico da più di un secolo e mezzo (l'ha codificato già Claude Bernard), è manifestamente una strategia perdente. È come se si volesse discutere della schizofrenia ragionando intorno all'etimologia di questa parola...
Quanto alla documentazione, ci si dovrebbe chiedere come mai i vivisettori sono così restii a far entrare le cineprese nei loro laboratori, e perché la documentazione disponibile è quasi totalmente il frutto di incursioni sotto copertura di attivisti. Una volta, per spiegare a chi ci legge che la segretezza dei laboratori di vivisezione è un fatto e non un'insinuazione, avrei dovuto riprodurre una quantità di prove documentali che il lettore comune si sarebbe ben presto stancato di esaminare. Dall'ottobre del 2004 mi posso limitare a dire: guardate la puntata “
Uomini e topi” di REPORT. Bastano già le prime scene per capire che senza una segretezza da base militare la vivisezione non sopravvivrebbe un solo giorno. E questo non solo perché si vedrebbe che l'illegalità ne è un tratto pervasivo, ma anche perché ciò che viene fatto legalmente è ben lungi dal soddisfare le richieste dell'umanità e della razionalità. È stato detto del vegetarismo che se le pareti dei mattatoi fossero di vetro, nessuno vorrebbe mangiare più carne; analogamente si può dire che se lo fossero le pareti dei laboratori di vivisezione, saremmo tutti antivivisezionisti. Questo i vivisettori lo sanno anche troppo bene. 
Quelli che Ruesch chiamò efficacemente “falsari della scienza” continuano a ripetere monotonamente il refrain che la vivisezione sarebbe diversa dalla sperimentazione animale. Una vecchia storia per eludere una duplice realtà: l’inutilità e il fallimento, dal punto di vista scientifico, del ricorso all’utilizzazione di altre specie animali (oltre a quella umana) e la sofferenza pervicacemente inferta ad altri esseri… 
Sì, non c'è dubbio. Di nuovo, non è questione di opinioni, perché esistono ormai diversi studi sistematici sul valore della sperimentazione animale come trampolino per la scoperta in campo medico. Ebbene, mi dispiace per chi pratica questa metodica perché veramente ci crede (di sicuro ce ne saranno: nel paese della “nipote di Mubarak” non si possono porre limiti alla credulità), ma tali studi hanno tutti dato risultati nettamente negativi: le pretese di modellizzare su altre specie animali problematiche mediche umane sono state dimostrate infondate. Ovviamente bisogna capire che qui si sta parlando di metodologia, non di aneddotica: nessuno ha mai sostenuto che le ipotesi basate su esperimenti effettuati su animali siano sempre state smentite. Ma lo stesso si può dire degli oroscopi e dei sogni premonitori, a cui, ciò nonostante, nessuna persona razionale e ben informata può prestare credito. 
Prestigiose riviste come “Lancet” e “Nature”, di certo non “animaliste”, hanno pubblicato opinioni estremamente dure sulla vivisezione da un punto di vista scientifico...
Sì, si tratta di pareri molto autorevoli, di singoli scienziati e di società scientifiche, che prospettano per la sperimentazione animale un ruolo al più residuale, e sicuramente né centrale né essenziale per la ricerca medica. La cosa più favorevole che oggi un analista onesto possa dire sulla vivisezione è negativa: e cioè che si tratta di una metodica che non è mai stata validata; quindi chi l'appoggia lo fa per fede – una fede misteriosamente lasciata intatta dai tanti disastrosi fallimenti... Inoltre bisogna considerare che quando una rivista come Nature, che peraltro ha sempre appoggiato la vivisezione, riporta al riguardo giudizi negativi, lo fa di solito in forme che cercano il più possibile di evitare di definire apertamente lo stato della vivisezione per quello che è, cioè una bancarotta scientifica: ma chi è pratico di questa letteratura e del giornalismo scientifico “ufficiale” capisce che è proprio questo che si intende. E certamente quei giudizi negativi non sono mossi da interesse per il benessere degli animali, ma dalla sconsolata e inevitabile presa d'atto che la vivisezione non funziona, nel doppio senso che 1) mette a rischio la tutela o il recupero della salute dei cittadini e 2) sottrae preziosissime risorse a indirizzi più promettenti e affidabili. Per usare un'espressione dell'epistemologia contemporanea, la vivisezione è un programma di ricerca degenerato. Penso che un giorno non lontano verrà usato come esempio di questo fenomeno storico nei manuali.
È stato anche detto che la sperimentazione sull’animale sarebbe indispensabile in certi settori della ricerca e “complementare a quella che viene fatta con sempre più frequenza su colture di cellule in vitro”…
Quello della complementarità è, nonostante l'intenzione conciliativa, forse l'argomento più inconsistente. Il punto è che non è vero che, di regola, gli esperimenti su animali precisino o consolidino i risultati ottenuti sulle colture cellulari umane, chip genetici, simulazioni al computer ecc. Gli esperimenti su animali danno risultati disparati e perennemente reinterpretabili, possono cioè essere usati per confermare o smontare qualsiasi risultato ottenuto per altra via. Nel quadro della ricerca biomedica sono non una scialuppa di salvataggio, ma una mina vagante. Quello che succede con la vivisezione rassomiglia molto a quello che sta accadendo con il progetto della Tratta ad Alta Velocità (TAV) Torino-Lione. I sostenitori della TAV si guardano dal confrontarsi in un dibattito pubblico con i tanti esperti che da anni sostengono, con dovizia di argomenti, che questo progetto è economicamente ed ecologicamente disastroso: si limitano a insistere, con la tipica ostinazione di chi ha un'agenda inconfessabile, perché lo si porti avanti. Analogamente il vivisezionista sa che in un confronto con, per esempio, Claude Reiss, di Antidote-Europe, avrebbe inevitabilmente la peggio. Il guaio è che al contrario dell'ameba popperiana a cui tanto il vivisettore rassomiglia, sono i cittadini e non il vivisettore a morire per effetto di una medicina dominata dalla vivisezione. 
Qualcuno ha affermato che i sostenitori dei modelli alternativi vorrebbero far tornare la scienza al Medio Evo tacciando, a mo’ di anatema, di “fondamentalismo verde” chi mette in dubbio la scientificità della vivisezione. Non è vero, invece, proprio il contrario, e cioè che i fautori della vivisezione sempre e ad ogni costo hanno lo stesso atteggiamento dogmatico e ostinato di chi mandò al rogo Bruno e costrinse ad abiurare Galileo perché mettevano a soqquadro un impianto, quello aristotelico-tomistico, su cui si reggeva la scienza di allora?
La mia prima reazione quando sento accuse fumose come quelle da Lei citate è chiedere a mia volta ai difensori della vivisezione: ma voi siete soddisfatti dello stato attuale della ricerca medica? Pensate, per esempio, che abbiamo fatto passi avanti decisivi nella cura delle malattie degenerative? Perché se la risposta è, come dev'essere, un solenne “no”, allora bisogna tenere presente del piccolo particolare che in questo insuccesso la vivisezione è pienamente coinvolta. La vivisezione non è una novità che alcuni pionieri stanno faticosamente cercando di introdurre, ma un programma di ricerca decrepito e, anzi, in avanzato stato di putrefazione. Certo, mi rendo conto che chi ha costruito le sue competenze e la sua carriera sulla manipolazione invasiva di animali non può facilmente riconvertirsi, né professionalmente né psicologicamente, a una concezione della ricerca medica che riconosce il carattere specie-specifico della maggior parte dei problemi medici più importanti e urgenti. Dovrebbe avere il coraggio di capire che con il futuro – e, ahimè, anche con il presente – della ricerca medica egli non ha molto da spartire. Ma questo tipo di coraggio è molto raro.

mercoledì 7 marzo 2012

LAV: aspetti principali della nuova Direttiva Europea 2010/63



La nuova Direttiva europea

da LAV.it

aspetti positivi e aspetti negativi

Questo testo fa un buon riassunto e schematizza gli aspetti della Direttiva che dovrà essere recepita da ciascuno Stato. Gli articoli più problematici e inaccettabili sono stati copiati integralmente in uno dei post precedenti.

Ogni anno 12.000.000 di animali vengono utilizzati in esperimenti nei laboratori europei.
Che cosa ne regola l'impiego?

 

Nel 1986 il Consiglio Europeo ha adottato la Direttiva 86/609 sulla “protezione degli animali utilizzati per fini sperimentali o altri fini scientifici”.

Questa Direttiva è stata recentemente revisionata: dopo 2 anni di discussioni, l’8 settembre 2010 si è arrivati all’accordo sul testo finale e il 9 novembre 2010 è entrata in vigore diventando la

Direttiva 2010/63/UE.



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La Direttiva 2010/63 UE:
  • fissa gli standard minimi sulle modalità di impiego e detenzione di tutti gli animali utilizzati in esperimenti negli Stati dell’Unione Europea.
  • gli Stati Membri hanno due anni per recepirla e possono integrare il testo comunitario con misure nazionali più rigorose.
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Punti positivi principali rispetto alla vecchia Direttiva 86/609:

• ampliamento delle specie, categorie di animali e campi di applicazione regolamentati dalla legge
• l’inclusione nelle statistiche degli animali soppressi per ottenere tessuti o organi e degli stabilimenti allevatori e fornitori
• banche dati
• possibilità di dismettere gli animali sopravvissuti a privati
• classificazione del livello di dolore inferto durante le procedure sperimentali
• implementazione dei metodi alternativi
• ispezioni


Nessuno di questi punti è un divieto o nei fatti una limitazione, ma aumenta, perlomeno, il regime di trasparenza.

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Punti negativi più gravi della Direttiva 2010/63 UE• possibilità di utilizzare specie in via d’estinzione e/o catturate in natura
• bassa protezione per specie particolari quali cani, gatti e primati
• mancanza di divieto per le grandi scimmie
• possibilità di ricorrere ad animali randagi
metodi di uccisione dolorosipossibilità di non utilizzare l’anestesiaautorizzazione anche per esperimenti molto dolorosi• mancanza di limitazione per organismi geneticamente modificati


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Il recepimento nazionale della nuova Direttiva 2010/63 UE deve rappresentare la base su cui costruire un profondo cambiamento dello scenario nazionale e internazionale della ricerca scientifica e del riconoscimento della vita umana e animale che deve tenere conto degli enormi progressi scientifici raggiunti e della crescente coscienza dell’opinione pubblica su questa tematica.