lunedì 24 ottobre 2011

 


 i quattro anni di CZen
giorni d'ottobre



 

 



Quando incontro lo sguardo di Zen e lui indugia ad libitum a fissare i miei occhi, mentre ci scrutiamo a vicenda quasi ricercassimo ciò che vive in chissà quali profondità del nostro essere, cerchaimo forse di comunicare saltando la necessità impossibile della parola umana? Ma sono io che non capisco la sua lingua,  per lui, invece, molte delle mie parole hanno un significato ben chiaro come dimostrano le sue reazioni appropriate  

Non è raro che mi domandi chi sia la piccola creatura bianca che mi vive accanto, che cosa "pensi", che cosa sappia del mondo, che cosa senta, come faccia a indovinare i miei stati d'animo e perché gli riesca così difficile sopportare le mie tristezze e le mie lacrime, e non solo le mie. 

Darwin ne L'origine dell'uomo scriveva: "L'uomo, nella sua arroganza si considera una grande opera, degna dell'intervento della divinità. Più umile e, io credo, più verosimile, è ritenerlo
creato dagli animali". E' questo un nodo cruciale dell'evoluzionismo che mi capita di vivere e rivivere da quando Zen è con me.



 



 


*

 



NOTA. La citazione l'ho presa dal "Dizionario delle idee non comuni" di Armando Massarenti a pagina 11. Ho cercato il testo nel L'origine dell'uomo, dove la frase dovrebbe trovarsi, ma invano. Putroppo Massarenti non indica il posto esatto nell'opera di Darwin, ma commenta dicendo che "questo significa, tra le altre cose, che anche gli animali non umani sono degni di essere rispettati moralmente".

domenica 23 ottobre 2011


Caro don Mazzi

vale atque vale



 


*



Il risveglio dei cattolici nel Paese malato



di Enzo Bianchi

La Repubblica, 22 ottobre 2011



 



In questi ultimi anni abbiamo più volte indicato non solo l' afonia dei cattolici in politica - la debolezza di rilevanza nella progettazione e nella costruzione della polis - ma anche le cause che l' hanno prodotta, tra cui l' intervento diretto in politica di alcuni ecclesiastici e la scelta di agire come un gruppo di pressione. La diaspora dei cattolici in politica all' inizio degli anni Novanta appariva non solo come una necessità motivata ma anche come una preziosa opportunità, una "benedizione": rendeva infatti evidente che la comunità cristiana vive di fede e di coerente comportamento etico, ma non di soluzioni tecniche nella politica e nell' economia. Di fatto però questa diaspora si è ridottaa irrilevanza e, fatto ancor più grave, ha lasciato segni di contrapposizione e forti divisioni tra i cattolici stessi. In tale ambiguità, proprio per l' esposizione diretta avuta da alcune figure rappresentative della Chiesa, questa ha subìto una perdita di credibilità e nella comunità cristiana è apparso, dopo una stagione di grandi convinzioni, un sentimento di scetticismo, di frustrazione, anche di cinismo... Potremmo dire che comunità cristiane depresse sul versante politico, per incarnare comunque il Vangelo hanno scelto di privilegiare una presenza sociale fatta di volontariato, di carità attiva, finendo però anche per aumentare la sfiducia verso la politica. Alcuni hanno tentato di essere "cattolici in politica" senza integralismi e cercando di restare ispirati dalla propria fede. Ma sono stati irrisi come "pretenziosi cattolici adulti", considerati inadeguati alla strategia in atto se non addirittura presenze nocive nel necessario confronto con la polis. Ora il vento è cambiato e ha fatto sentire quanto una certa "aria ammorbata" vada purificata: si ritiene allora opportuno abbandonare la strategia adottata in questi ultimi vent' anni, senza tuttavia confessare gli errori compiuti, senza assumersi alcuna responsabilità per questo impoverimento del tessuto ecclesiale e, di conseguenza, della presenza dei credenti in politica. Ecco allora, ancora una volta, il ricorso alle associazioni cattoliche, minoranze ispirate dalla fede cristiana ancora attive e presenti nel paese, ecco l' appuntamento di Todi. Evento certamente importante, che viene dopo anni di non ascolto reciproco, nonostante da parte dell' autorità ecclesiastica si sia tentato di far cessare guerre e inimicizie tra le varie associazioni già alla fine degli anni Novanta. E il ritrovarsi questa volta è finalizzatoa risponderea una domanda: quale presenza significativa i cattolici possono avere in politica in questo momento giudicato di grave crisi a tutti i livelli per il nostro paese? Ma proprio questo evento suscita anche una domanda di fondo negli appartenenti alle comunità cristiane: perché un incontro su tematiche che riguardano tutti i cittadini cattolici viene riservato invece alle associazioni che, salvo l' Azione Cattolica, peraltro soffrono attualmente di un forte depotenziamento a livello di convinzioni? Più volte in questi vent' anni abbiamo auspicato un "forum" che nelle varie chiese locali raggruppi tutti i cattolici per favorire la conoscenza e il confronto su temi che richiedono una traduzione politica. Abbiamo specificato che questo forum, aperto a rappresentanti di tutte le componenti della Chiesa, dovrebbe, in un dialogo libero e fraterno, cercare ispirazione dal Vangelo e confrontarsi con la dottrina sociale della Chiesa, restando tuttavia su un terreno prepolitico, preeconomico, pregiuridico, nella consapevolezza che la traduzione di queste ispirazioni cristiane messe a fuoco insieme appartiene ai singoli cattolici che devono confrontarsi negli spazi politici in cui sono presenti e con tutti gli altri cittadini. Nessun integralismo, nessuna pressione lobbistica, nessuna imposizione, ma la riaffermazione che essere cattolici in politica significa da un lato restare ispirati e coerenti con la propria fede e, d' altro lato, nel dialogo rispettoso con gli altri cittadini, cercare faticosamente soluzioni politiche, economiche, giuridiche adeguate alle esigenze che si presentano e al bene comune che intende salvaguardare e costruire. Così facendo, se anche i cristiani apparissero una minoranza, non ci sarebbe nulla da temere perché sarebbero una presenza significativa capace di contribuire alla formazione di politici con a cuore il bene comune, alla progettazione di un nuovo patto educativo, all' ideazione di un futuro per le giovani generazioni, una presenza in grado di fornire esigenze etiche di umanizzazione e contributi decisivi in quel confronto di idee e di visioni che oggi purtroppo tanto difetta. Quello di Todi non è stato un forum di questo tipo, anzi: ha rischiato di cedere alle sollecitazioni perché fornisse soluzioni solo politiche e contingenti. Eppure c' erano state alcune indicazioni che avrebbero potuto mettere in guardia i partecipanti, a partire da quelle del segretario della Cei, monsignor Crociata che, ai politici che si dicono cattolici, ha recentemente ricordato che esiste un primato della fede, luce per ogni scelta, una comunione tra cattolici che li precede e che deve manifestarsi nel discernimento di ciò che il Vangelo chiede; ma al contempo ha sottolineato che c' è un diverso ordine che riguarda il carattere contingente della scelta politica di schieramento e la forma politica in cui i cristiani sono chiamati a operare. Nessun partit o c a t t o l i c o , quindi, e neanche "di cattolici" hanno ripetuto diversi vescovi, né tantomeno un "partito della Chiesa". La laicità della politica va assolutamente salvaguardata e i cattolici dovranno inevitabilmente operare con responsabilità una scelta di campo che li renda una "parte" di schieramenti o di spazi politici in cui si collocano. Ma non è questo, per ora, ad apparire decisivo, quanto piuttosto il recuperare le ragioni profonde dell' azione nella polis, il tessere un dialogo nella comunità cristiana per essere muniti di ispirazione, il sapersi collocare nella compagnia degli uomini senza esenzioni ma assumendosi responsabilità, il saper parlare di progetti e ragioni in termini non dogmatici ma semplicemente umani, antropologici, affinché gli altri comprendano e possano confrontarsi liberamente con i cristiani, lasciando poi alle regole della democrazia e ai suoi criteri di determinare le scelte necessarie ai diversi livelli e le esigenze del legiferare per il bene della convivenza. E in questo spazio prepolitico di confronto, i cattolici potrebbero anche imparare un' esigenza fondamentale per la loro fede: l' importanza di non fare letture parziali del Vangelo, privilegiando alcuni principi e valori e dimenticandone altri... Secondo Paul Valadier, lo statuto del cristianesimo è quello di essere una "religione anormale": perché per ogni cristiano il rispetto assoluto della vita umana, il rifiuto della guerra, la salvaguardia della pace, la giustizia e l' eguaglianza sociale, il perdono del nemico, la riconciliazione nei conflitti sono tutti valori irrinunciabili. Impresa non facile certo, soprattutto in una stagione in cui riemerge l' atavica tentazione della religione: andarea braccetto con il potere politico finché il vento non cambia direzione. - ENZO BIANCHI  

mercoledì 19 ottobre 2011


Andrea Zanzotto

A che valse l'attesa del gioco?

 



A che valse l'attesa del gioco?
I compagni mancavano
o distratti seguivano dall'alto
il volo oscuro dei pianeti.
La notte circola ormai
consuma il settentrione
ma non la tua presenza
vasta come il candore
di stanze senza tramonto.

Questo fuoco non sa più
riscaldare
è divenuto un monile
sottile e falso
la muffa e il musco dei tuoi piedi
ha fatto le corti basse
dove mi sciolgo e mi ascolto
la neve è qui nella sua bara.

Le ceneri sono le forme
del tuo sorriso dipinto
in ogni sembianza sviene e si suggella
i cui lumi già fievoli si negano in tristi orizzonti.


Il fiume della notte
s'ingolfa neller grate e nelle botole.


 da A che valse?

martedì 18 ottobre 2011



Il potere in maschera

di BARBARA SPINELLI

La Repubblica, 18 ottobre 2011

 



Ampia profonda chiarissima la disamina di Barbara Spinelli, sempre fedele all'impegno della parresia.


Che l'Italia fosse un campione anomalo nel novero delle democrazie lo si sapeva già. Ce ne accorgiamo ogni volta che qualche straniero, di sinistra o destra, ci guarda sbigottito - o meglio ci squadra - e dice: "Non è Berlusconi, il rebus. Il rebus siete voi che non sapete metterlo da parte". Tutto questo è noto, e spesso capita di pensare che il fondo sia davvero stato raggiunto, che più giù non si possa scendere. Invece si può, tutti sappiamo che il fondo, per definizione, può esser senza fondo. C'è sempre ancora un precipizio in agguato, e incessanti sono i bassifondi se con le tue forze non ne esci, magari tirandoti su per i capelli. L'ultimo precipizio lo abbiamo vissuto tra sabato e lunedì.

Una manifestazione organizzata in più di 900 città del mondo
, indignata contro i governi che non sanno dominare la crisi economica senza distruggere le società, degenera a Roma, solo a Roma, per colpa di qualche centinaio di black bloc che in tutta calma hanno potuto preparare un attacco bellico congegnato alla perfezione, condurlo impunemente per ore, ottenere infine quel che volevano: rovinare una protesta importante, e fare in modo che l'attenzione di tutti - telegiornali, stampa, politici - si concentrasse sulla città messa a ferro e fuoco, sul cosiddetto inferno, anziché su quel che il movimento voleva dire a proposito della crisi e delle abnormi diseguaglianze che produce fra classi e generazioni. Il primo precipizio è questo: torna la questione sociale, e subito è declassata a questione militare, di ordine pubblico.

  Il secondo precipizio è la pubblicazione, ieri su Repubblica, di un colloquio telefonico 1 avvenuto nell'ottobre 2009 fra Berlusconi e tale signor Valter Lavitola, detto anche faccendiere o giornalista: un opaco personaggio che il capo del governo tratta come confidente, che la segretaria del premier tranquillizza con deferenza. Nessuno può dirgli di no, perché sempre dice: "Mi manda il Capo". Lo si tocca con mano, il potere - malavitosamente sommerso - che ha sul premier e dunque sulla Politica. È a lui che Berlusconi dice la frase, inaudita: "Siamo in una situazione per cui o io lascio oppure facciamo la rivoluzione, ma vera... Portiamo in piazza milioni di persone, cacciamo fuori il palazzo di giustizia di Milano, assediamo Repubblica e cose di questo genere". E riferendosi alla sentenza della Consulta che gli ha appena negato l'impunità: "Hai visto la Corte costituzionale? ha detto che io conto esattamente come i ministri".

Lavitola non è un eletto, né (suppongo) una gran mente. Ma un'autorità la possiede, se è a lui che il premier confida il proposito di ricorrere al golpe che disarticola lo Stato. È una vecchia tentazione che da sempre apparenta il suo dire a quello dei brigatisti, e per questo la parola prediletta è rivoluzione: contro i magistrati che indagano su possibili suoi reati (già prima che entrasse in politica) o contro i giornali da accerchiare, con forze di polizia o magari usando le ronde inventate dai leghisti. Sono due precipizi - il sequestro di una manifestazione ad opera dei black bloc, l'appello berlusconiano al golpe rivoluzionario - che hanno in comune non poche cose: il linguaggio bellico, le questioni sociali prima ignorate poi dirottate. E non l'esercizio ma la presa del potere; non la piazza democratica ascoltata come a Madrid o New York ma distrutta. Anche l'attacco dei Nerovestiti era inteso ad assediare i giornali su cui scriviamo. A storcere i titoli di prima pagina del giorno dopo, a imporci bavagli.

La guerra fa precisamente questo, specie se rivoluzionaria. Nazionalizza le esistenze, le frantuma separandole in due tronconi: da una parte gli individui spaventati che si rifugiano nel chiuso casalingo; dall'altra la società declassata, chiamata a compattarsi contro il nemico. Scompare la vita civile, e con essa lo spazio di discussione democratica, l'agorà. Tra il Capo militare e la folla: il nulla. È la morte della politica.
Dovremmo aprire gli occhi su queste cateratte; su questo alveo fiumano che digrada da anni ininterrottamente. Dovremmo non stancarci mai di vedere nel conflitto d'interessi il male che ci guasta interiormente, e non accettarlo mai più: quale che sia il manager che con la scusa della politica annientata si farà forte della propria estraneità alla politica. Dovremmo dirla meglio, la melmosa contiguità fra i due atti di guerra: le telefonate in cui Berlusconi si affida a un buio trafficante aggirando tutti i poteri visibili, e i black bloc che sequestrano i manifestanti ferendone le esasperate speranze. Tra le somiglianze ce n'è una, che più di tutte colpisce: ambedue i poteri sono occulti. Ambedue sono incappucciati.

È dagli inizi degli anni '80 che andiamo avanti così, con uno Stato parallelo, subacqueo, che decide sull'Italia. Peggio: è dalla fine degli anni '70, quando i 967 affiliati-incappucciati della loggia massonica P2 idearono il "Piano di Rinascita". Il Paese che oggi abitiamo è frutto di quel Piano, è la rivoluzione berlusconiana pronta a far fuori palazzi di giustizia e giornali. Sono anni che il capo di Fininvest promette la democrazia sostanziale anziché legale (parlavano così le destre pre-fasciste nell'Europa del primo dopoguerra) e sostiene che la sovranità del popolo prevale su tutto. Non è vero: la res publica non è stata in mano al popolo elettore, neanche quando il leader era forte. Sin da principio era in mano a poteri mascherati, a personaggi che il Capo andava a scovare all'incrocio con mafie che di nascosto ricattano, minacciano, non si conoscono l'un l'altra, come nei Piani della P2.

Non a caso è sotto il suo regno che nasce una legge elettorale che esautora l'elettore, polverizzando la sovranità del popolo. Non spetta a quest'ultimo scegliere i propri rappresentanti - lo ha ricordato anche il capo dello Stato, il 30 settembre - ma ai cacicchi dei partiti e a clan invisibili. Se ne è avuta la prova nei giorni scorsi, quando Berlusconi ha chiamato i suoi parlamentari a dargli la fiducia: "Senza di me - ha detto - nessuno di voi ha un futuro". Singolare dichiarazione: non era il popolo sovrano a determinare il futuro, nella sua vulgata? Basta una frase così, non tanto egolatrica quanto clanicamente allusiva, per screditare un politico a vita.

La sensazione di piombare sempre più in basso aumenta anche a causa dell'opposizione: del suo attonito silenzio - anche - di fronte alla manifestazione democratica deturpata. D'improvviso non c'è stato più nessuno a difendere gli indignati italiani, e gli incappucciati hanno vinto. Non è rimasto che Mario Draghi, a mostrare passione politica e a dire le parole che aiutano: "I giovani hanno ragione a essere indignati (...) Se la prendono con la finanza come capro espiatorio, li capisco, hanno aspettato tanto: noi all'età loro non l'abbiamo fatto". E proprio perché ha capito, ha commentato amaramente ("È un gran peccato") la manifestazione truffata. Nessun politico italiano ha parlato con tanta chiarezza.

La minaccia alla nostra democrazia viene dagli incappucciati: d'ogni tipo. Vale la pena riascoltare quel che disse Norberto Bobbio, poco dopo la conclusione dell'inchiesta presieduta da Tina Anselmi sulle attività della P2. Il testo s'intitolava significativamente "Il potere in maschera": lo stesso potere che oggi pare circondarci d'ogni parte. Ecco quel che diceva, che tuttora ci dice: "Molte sono le promesse non mantenute dalla democrazia reale rispetto alla democrazia ideale. E la graduale sostituzione della rappresentanza degli interessi alla rappresentanza politica è una di queste. Ma rientra insieme con altre nel capitolo generale delle cosiddette trasformazioni della Democrazia. Il potere occulto no. Non trasforma la Democrazia, la perverte. Non la colpisce più o meno gravemente in uno dei suoi organi vitali, la uccide. Lo Stato invisibile è l'antitesi radicale della Democrazia".



(18 ottobre 2011) © Riproduzione riservata  





   

lunedì 17 ottobre 2011


ANTISEMITISMO OGGI

Il 44 % degli italiani "ostile" agli ebrei
L'antisemitismo si diffonde sul web

L'indagine parlamentare conoscitiva rivela che on line si va estendendo l'idea che non è razzismo essere antisemiti. Oltre mille siti (+ 40%) dedicati alla diffusione dell'odio antiebraicodi ALBERTO CUSTODERO
La Repubblica, 16 ottobre 2011
 

 

 

  
 Shoah: Anniversario deportazione Ghetto di Roma del 16 ottobre '43

*



 «La grande razzia nel vecchio Ghetto di Roma cominciò attorno alle 5,30 del 16 ottobre 1943. Oltre cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere ebraico. Contemporaneamente altri duecento militari si distribuirono nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva diviso la città alla ricerca di altre vittime. Quando il gigantesco rastrellamento si concluse erano stati catturati 1022 ebrei romani. 



Due giorni dopo in 18 vagoni piombati furono tutti trasferiti ad Auschwitz. Solo 15 di loro sono tornati alla fine del conflitto: 14 uomini e una donna. 
Tutti gli altri 1066 sono morti in gran parte appena arrivati, nelle camere a gas. Nessuno degli oltre duecento bambini è sopravvissuto.»
(F. Cohen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma)

sabato 15 ottobre 2011


ITALO CALVINO

 

oggi avrebbe festeggiato il suo 88° compleanno

 

 



e Google lo ricorda così ...
 





 


LA PENA DI MORTE NEGLI STATI UNITI
Un'abolizione de facto?

 
 
Raffaello Sanzio_La Giustizia_Stanza della Segnatura_Vaticano_da Wikipedia 

The Death Penalty’s De Facto Abolition




 



A new Gallup poll reports that support for the death penalty is at its lowest level since 1972. In fact, though, the decline, from a high of 80 percent in 1994 to 61 percent now, masks both Americans’ ambivalence about capital punishment and the country’s de facto abolition of the penalty in most places.



When Gallup gave people a choice a year ago between sentencing a murderer to death or life without parole, an option in each of the 34 states that have the death penalty, only 49 percent chose capital punishment.
 



That striking difference suggests that more Americans are recognizing that killing a prisoner is not the only way to make sure he is never released, that the death penalty cannot be made to comply with the Constitution and that it is in every way indefensible. But there are other numbers that tell a more compelling story about the national discomfort with executions.



From their annual high points since the penalty was reinstated 35 years ago, the number executed has dropped by half, and the number sentenced to death has dropped by almost two-thirds. Sixteen states don’t allow the penalty, and eight of the states that do have not carried out an execution in 12 years or more. There is more.



Only one-seventh of the nation’s 3,147 counties have carried out an execution since 1976. Counties with one-eighth of the American population produce two-thirds of the sentences. As a result, the death penalty is the embodiment of arbitrariness. Texas, for example, in the past generation, has executed five times as many people as Virginia, the next closest state. But the penalty is used heavily in just four of Texas’s 254 counties.



Opposition to capital punishment has built from the ground up. It is evident in the greater part of America’s counties where people realize that, in addition to being barbaric, capricious and prohibitively expensive, the death penalty does not reflect their values.   
 




 



A new Gallup poll reports that support for the death penalty is at its lowest level since 1972. In fact, though, the decline, from a high of 80 percent in 1994 to 61 percent now, masks both Americans’ ambivalence about capital punishment and the country’s de facto abolition of the penalty in most places.



When Gallup gave people a choice a year ago between sentencing a murderer to death or life without parole, an option in each of the 34 states that have the death penalty, only 49 percent chose capital punishment.  



 


venerdì 14 ottobre 2011


DON ANDREA GALLO

 

 



“Don Andrea Gallo, prete da marciapiede come lui stesso si definisce, è uno dei sacerdoti più noti e più amati che abitino il nostro disastrato paese. Centinaia di migliaia di persone lo sentono come un fratello, moltissimi fra costoro lo considerano una guida, un maestro, un compagno nell’accezione militante del termine, ma il Gallo è prima di tutto e soprattutto un essere umano autentico. In yiddish si dice «a mentsch». La nostra nascita nel mondo come donne e uomini è un evento deciso da altri anche se la costruzione in noi del capolavoro che è un essere umano autentico dipende in gran parte dalle nostre scelte. Il tratto saliente di questo percorso è l’apertura all’altro laddove si manifesta nella sua più intima e lancinante verità, ovvero nella sua dimensione di ultimo, sia egli l’oppresso, il relitto, il povero, l’emarginato, il disprezzato, l’escluso, il segregato, il diverso. ... " Moni Ovadia

* Dalla prefazione di Moni Ovadia a“Se non ora, adesso. Le donne, i giovani e la rivoluzione sessuale”, l’ultimo libro di don Andrea Gallo, in uscita per Chiarelettere.  
Tutta la prefazione è pubblicata da
il Fatto Quotidiano: QUI .
 




 

mercoledì 12 ottobre 2011


INDIGNADOS A NEW YORK

*

 
ribelli tra i templi dello shopping
Guarda le foto

 



Finalmente! Mi domando, però, come mai gli elettori si orientino verso il partito Repubblicano che è il vero responsabile di questa crisi, a cominciare dalle idee economiche di Ronald Reagan e della sua omologa in Europa, Margaret Thatcher.



Corriere della Sera, 11 ottobre 2011



  

 

martedì 4 ottobre 2011


 e intanto esiste un universo

 

Nobel per la Fisica 2011
NASA, via Agence France-Presse - Getty Images

An exploding star known as Type 1a supernova. The Nobel prize winners used them to measure the expansion of the universe.  (
New York Times October 4, 2011) 
 



Uno sguardo ogni tanto può senz'altro ridimensionarci e aprirci gli occhi della mente offuscati dalle claustrofobiche strettoie di obiettivi senza valore e spesso sostanzialmente criminali.




 

sabato 1 ottobre 2011


NO AL BAVAGLIO

 

NO ALLE LIMITAZIONI TIRANNICHE DELLA LIBERTA' DI ESPRESSIONE E  INRFORMAZIONE