domenica 31 luglio 2011


GIUSEPPE D'AVANZO

  


il coraggio della parresia
 



Un grande giornalista e il suo impegno appassionato, intelligente, onesto. E coraggioso. Già, coraggioso. Mi stupiva molto il coraggio delle sue inchieste e gliene ero grata, perché la parresia comporta dei rischi e richiede coraggio per affrontarli. Nel buio politico attuale cercare e dire la verità, per quanto possibile, comporta più che mai delle difficoltà. Il giornalista D'Avanzo ha accettato difficoltà e pericoli e pesi. Con generosità e discrezione, senza la pretesa dell'infallibilità.
Simpatia e compassione per le persone che più erano vicine a Peppe, per gli amici e le amiche, i colleghi e le colleghe. Condoglianze a La Repubblica. E condoglianze anche a tutti noi lettori e lettrici che trovavamo sostegno e incoraggiamento nel lavoro del giornalista dalla schiena diritta.

 



 *

La forza e il coraggio
di Ezio Mauro

 



Sembra impossibile credere che la forza di Peppe D'Avanzo, uno dei segni distintivi del suo carattere e del suo mestiere, abbia dovuto arrendersi, ieri mattina, quando la morte è arrivata troppo presto, a 57 anni. La forza, e il coraggio. Volersi far carico - e saperlo fare come nessun altro - delle situazioni più complicate e difficili, correre il rischio, accettare ogni volta la sfida, e vincerla. Fino all'ultima, ieri, che non ha potuto nemmeno combattere.
Il tempo appena di chiamare "Attilio", e morire tra le braccia di Attilio Bolzoni, l'amico con cui aveva indagato per anni sui misteri criminali della mafia. Il giornalismo è così, brucia giornate e settimane intere di lavoro nello spazio di un articolo, di un titolo, di una fotografia. Sembra una condanna all'effimero, dove nulla dura abbastanza per acquistare
sostanza e tutto è subito sopravanzato dall'urto della cronaca. E invece, qualcosa si deposita ogni giorno, dal fondo di questo mestiere, mentre si compie. È un accumulo di conoscenza e di sapere, non di semplice esperienza, quella che si può davvero chiamare l'intelligenza degli avvenimenti. E insieme (più difficile da riconoscere nei tempi convulsi in cui il giornale prende forma e si fa, ogni giorno) è un deposito di umanità e di passione, che lega le persone nelle loro diversità e anche nella naturale competizione: attraverso il gioire e il patire insieme, condividendo campagne e battaglie, o anche lo sforzo semplice ma necessario di comprensione dei fenomeni che abbiamo davanti.

È il sentimento del giornale, che è il senso di un'avventura comune. Per questo noi di "Repubblica" piangiamo prima di ogni cosa il nostro compagno, con cui abbiamo diviso passaggi difficili e momenti esaltanti, attraverso arrabbiature, soddisfazioni, tentativi, scoperte, per trovare al giornalismo quella strada che gli consentisse ogni volta di venire a capo di tutto, e risolvere ogni cosa. Perché questo interessava a D'Avanzo: il giornalismo. Poter fronteggiare la realtà, poterla indagare e decifrare applicando gli strumenti e le regole del mestiere, senza risparmiarsi mai, con un'adesione quasi fisica alla sua passione che era diventata una missione. Nelle situazioni più complesse, quando la realtà apparente sembrava dar torto al nostro lavoro, D'Avanzo sapeva richiamare se stesso, noi e dunque i lettori alla realtà vera delle cose, badando alla sostanza.

Durante le grandi campagne di stampa di cui è stato protagonista, quando il rapporto di forza tra un giornale e il potere dominante sembrava sproporzionato e squilibrante, se qualcuno domandava dov'era il punto d'arrivo, la via d'uscita, lui rispondeva sicuro: non ce n'è bisogno, noi abbiamo messo in moto qualcosa di importante, il potere reagirà e il nostro giornalismo deciderà da solo come rispondere. È semplice. Sapeva rendere semplici situazioni complesse.

Il suo giornalismo era cresciuto negli anni, ma ancora lo esaltava la grande cronaca, stava ragionando su un'inchiesta in val di Susa sulla Tav, voleva tornare a Napoli per i rifiuti, era attirato dallo scandalo della pedofilia in Vaticano e dalle convulsioni della Rai. Ma con gli anni, aveva imparato a trarre da ogni vicenda il filo invisibile che riporta al potere, e svela come il potere agisce. In questo la sua capacità di analisi si era affinata, attraversava la politica, l'economia, la giustizia, e gli consentiva ogni volta di arrivare al cuore del potere italiano, dandone una rappresentazione impietosa perché veritiera. Era ormai il protagonista di un'operazione giornalistica e culturale senza uguali, un'indagine permanente sul potere. Che infatti lo temeva più di qualsiasi altro giornalista.

Non si può dimenticare che D'Avanzo è stato spiato e pedinato nel corso delle sue inchieste più delicate, che una delle varie diramazioni miserabili dei nostri servizi segreti (che dovrebbero servire lo Stato democratico e le sue istituzioni) preparava dossier su di lui, che l'ansia impaurita di questi funzionari deviati li aveva spinti più volte a chiedere a giornalisti infedeli su che cosa stava lavorando D'Avanzo, che cosa stava scrivendo, che articolo preparava per il giorno seguente. Sapeva perfettamente di essersi spinto in territori pericolosi, sapeva che la forza delle sue inchieste lo esponeva personalmente, soprattutto davanti ai metodi obliqui e irresponsabili di quella che aveva svelato e battezzato come la "macchina del fango". Da qui, anche, la sua solitudine, il sentimento individuale del rischio, la ricerca continua di una condivisione necessaria con il vertice del giornale. E la scelta di vivere senza mai potersi permettere un errore, dunque senza nessun rapporto con i potenti, uomini della politica o dell'economia, decidendo ogni volta cosa scrivere in base ai dati nudi della realtà, e a nient'altro, senza condizionamenti di alcun genere.

 Tutto ciò già dagli anni di Falcone, del lavoro sulla mafia. Poi nelle grandi inchieste internazionali, come il caso Abu Omar e il Nigergate. O lo scandalo delle tangenti Telekom Serbia, svelato su "Repubblica" quando al governo c'era la sinistra, e poi smontato nella gigantesca calunnia successiva, quando la destra organizzò una campagna diffamatoria e falsa contro Prodi, Dini e Fassino. Fino al lungo lavoro finale su Berlusconi e sull'anomalia della destra italiana, quando dallo scandalo di Noemi Letizia, dalla denuncia di Veronica Lario e dalle contraddizioni del premier nacquero le 10 domande, scritte da D'Avanzo e finite sui giornali di tutto il mondo, a prova dell'irresponsabilità del potere. Il caso Ruby innescò una nuova inchiesta giornalistica, questa volta con l'indicazione di dieci bugie del Presidente del Consiglio, pubblicate ogni giorno per sei mesi, senza che Palazzo Chigi potesse smentirle. In più, il lavoro di anni sulla "struttura Delta", quella macchina del consenso che D'Avanzo vide per primo, al crocevia tra politica ed editoria, e che orchestrava l'informazione Rai e Mediaset a danno dei lettori e a vantaggio dell'azienda e della politica del premier.

Infine, la battaglia sulle leggi ad personam, che ha visto sempre D'Avanzo in prima linea, fino a dirottare (insieme con i lettori e altre forze capaci di reagire) la "legge bavaglio" sulle intercettazioni telefoniche. Ecco perché i lettori avevano imparato a considerarlo non semplicemente un giornalista, ma un punto di riferimento. Lo era anche per me, nelle telefonate mattutine, quando cercavamo di capire la direzione in cui si muoveva la giornata, commentavamo i segnali che arrivavano dai giornali, provavamo ad anticipare le mosse del potere, per poterle intercettare giornalisticamente. Adesso quelle telefonate non ci saranno più.

Non riesco nemmeno a guardare le foto di Peppe mentre lavora, a immaginarlo quando entra nella mia stanza e dice "C'è roba". Quando s'incazza, e non c'è verso di fargli cambiare idea. Quando critica, magari esagerando, ma sempre con un fondo di passione autentica per il giornalismo, per cui ogni volta - come ripetevamo tra noi - "vale la pena". Quando svela, come ancora giovedì scorso, incurvando le spalle, sentimenti delicati e profondi, che il mestiere regala senza dirtelo, dopo anni passati insieme. Su quelle spalle potenti, abbiamo caricato il peso di alcune partite giornalistiche tra le più difficili che "Repubblica" ha dovuto e voluto giocare, e che ha portato avanti grazie alla comune fiducia nel giornalismo, in democrazia, Ora quelle spalle che Marina ieri ha abbracciato per l'ultima volta, non hanno più retto. E noi alla fine piangiamo senza rimedio Peppe, il nostro compagno che non c'è più.





La Repubblica, 31 luglio 2011 -  © Riproduzione riservata  






 
 

sabato 30 luglio 2011


E' cambiato il tiranno,
ma niente cambia.

 



Lontano, è lontano il tiranno. Invecchiato senza rimedio, triste, impaurito, oppresso: così appare nelle immagini ormai rare, stranamente rare. Eppure incombe, non pago delle sue leggi contro le leggi, inarrestabile. Sono successe delle "cose" in quest'ultimo anno: acquiescenze infinite in Parlamento, prime rivolte civili nelle piazze e nelle urne. Ma non sembra aprirsi un varco verso un nuovo mondo.

venerdì 29 luglio 2011


29/7/2011

 


 



Un libro che tutti dovrebbero leggere, un'antologia di testi leghisti per capire e, se proprio si vuole, dare un consenso informato a questo partito perché si impadronisca di tutto ciò che vuole in Italia, si prenda il lusso di cambiarne i valori di civiltà registrati in quella che viene considerata la migliore o una delle migliori Carte Costituzionali del mondo. Avete capito, care concittadini e cari concittadini, l'ultima trovata dei leghisti? Siete d'accordo. Continuate a credere che sia solo "folklore" dell'uomo dal medio protrattile? Ho letto e copiato-incollato un articolo esemplare per chiarezza sulla situazione presente dell'Italia e a futura memoria della Storia, la disciplina che si studia a scuola e che impiega un tempo incomparabile con la brevità delle singole vite umane per analizzare, valutare, giudicare i fatti.
 



*

da La Stampa di venerdì 29 luglio 2011



 da La Stampa di venerdì 29 luglio 2011Il sistema istituzionale liquefatto
di Gian Enrico Rusconi

 



Come si permette Umberto Bossi di rispondere al Presidente della Repubblica di rassegnarsi al fatto compiuto del «decentramento» di alcuni ministeri a Monza? «I ministeri li abbiamo fatti e li lasciamo là, siamo convinti che il decentramento non sia solo una possibilità, ma una opportunità per il Paese». Questa non è affatto una risposta alla qualità dei rilievi che il Presidente della Repubblica ha rivolto si noti - al presidente del Consiglio, che si è ben guardato dal rispondere.

A parte la scorrettezza istituzionale e la sceneggiata di Monza, siamo davanti ad
un gesto di irrisione istituzionale che umilia i cittadini e ridimensiona di fatto lo stesso Berlusconi. A quando il trasferimento (pardon, il decentramento amministrativo) di Palazzo Chigi ad Arcore?

Non mi pare che la classe politica nel suo insieme - alle prese con il fango della corruzione - si sia resa conto della gravità di quella che
l’opposizione si è limitata a chiamare «farsa». In realtà rischia di essere una trappola istituzionale dalle conseguenze imprevedibili. Eppure il presidente del Senato Schifani, con aria finta ingenua, in tv ha parlato di decentramento amministrativo di sedi ministeriali per essere più vicine ai cittadini.

Ma non mi risulta che il Senato, da lui onorevolmente presieduto, abbia mai espresso un parere in proposito! Conta solo il senatùr Bossi?


E’ in atto una subdola liquefazione del sistema istituzionale, che viene interamente subordinato alla logica di potere delle parti politiche che lo gestiscono. Anzi alle persone che lo governano.

Non è chiaro se Berlusconi sia complice di quanto sta accadendo. Sembra aver perso lucidità, ossessionato di non rompere con «l’amico» Bossi o di stare in guardia contro l’ «ex amico» Tremonti che è spuntato, sia pure con l’aria un po’ spaventata, nella foto di famiglia di Monza.

Oppure Berlusconi sta lucidamente facendo lo sporco gioco di logorare con l’appoggio della Lega quello che considera il suo «vero nemico», Giorgio Napolitano?

Nessuno lo sa esattamente, perché la politica italiana sta andando alla deriva, con un solo risultato - il disfacimento del sistema istituzionale esistente. La trappola farsesca di Monza, la risposta irrispettosa al Presidente della Repubblica, l’ambiguità di Berlusconi, tollerata dai suoi sostenitori nella speranza di trarne vantaggio personale, l’impotenza dei cittadini, «indignati» o meno - sono
tutti passi che portano al disfacimento istituzionale.

Molto opportunamente il Quirinale ha reso noto nella sua integrità il testo della lettera indirizzata al presidente del Consiglio «sul tema del decentramento delle sedi dei ministeri sul territorio». Con chiarezza in esso parla di «sedi o strutture operative, e non già di semplice rappresentanza, che dovrebbero più correttamente trovare collocazione normativa in un atto avente tale rango, da sottoporre alla registrazione della Corte dei Conti per i non irrilevanti profili finanziari, come affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale». E’ un discorso troppo difficile per i leghisti oppure il loro «non capire» è il segnale di quanto sia profonda ormai l’insensibilità istituzionale?

In questa congiuntura il Quirinale è diventato di fatto il baluardo delle istituzioni - al di là del suo ruolo costituzionale. O meglio, questo ruolo diventa sempre più politico nel senso forte e autentico di mostrare competenza e volontà nel dire sì o no - in modo sempre argomentato - alle decisioni che arrivano sulla scrivania del Presidente (o alla sua conoscenza). Non è che Napolitano si sia messo a «fare politica» - come dicono non solo gli esponenti di destra, ma anche alcuni commentatori che si pretendono super partes.
Il Presidente difende le istituzioni della Repubblica, che possono essere modificate e riformate secondo le regole previste e condivise (come non si stanca di ripetere), non con i sotterfugi e con i trucchi cui oggi noi assistiamo - impotenti.
 

mercoledì 27 luglio 2011


Il dolore nel mondo
 
"Nessuno dei mortali trascorrerà mai la vita incolume del tutto da pene,
paga sempre alla vita ciascuno il suo prezzo".
  Eschilo, Coefore, vv. 1018-1019

*

Il rimorso del malvagio

 


 



  William-Adolphe Bouguereau
  
 
Oreste perseguitato dalle Erinni  - da Wikipedia  






Aggiungere dolore al dolore del mondo crea rimorso?
   
 

domenica 24 luglio 2011

martedì 19 luglio 2011



Paolo Borsellino e tutt gli altri eroi



L'anniversario


Strage di via D’Amelio: le risposte che mancano



19 luglio 2011 - Nessun Commento »


Loredana Biffo

Stragi, silenzi e riforme: di Stato, questa l'Italia che il 19 luglio di diciannove anni fa vide lo scempio della strage di Via D'Amelio, dove persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Agostino Catalano. Solo Antonio Vullo è sopravvissuto all'esplosione nonostante le gravi condizioni ... [dal sito di Libertà e Giustizia]

venerdì 15 luglio 2011


Un confronto tra

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
e
LEGGE BAGNASCO-BINETTI-CALABRO'-BERTONE-QUAGLIARIELLO-RATZINGER-...






2278 L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'« accanimento terapeutico ». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. 




2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate. 

mercoledì 13 luglio 2011

martedì 12 luglio 2011


EBDOMADARIO.COM

 



Numero 1 anno 1°
martedì 12 luglio 2011 


 
 



TESTAMENTO BIOLOGICO
ovvero
IL GHIGNO DEL POTERE NELL'ITALIA BERLUSCONVATICANLEGHISTA DELL'ESTATE 2011


 



  Incombomo sulla persona non più libera. Contro la sua volontà le introducono tubi, le impongono pastoni chimici, la torturano. Questo stanno facendo i nostri "legislatori", un pugno di uomini e donne occasionalmente presenti in Parlamento.
 



*

 

 



“Tutti arancioni per mandare a casa Berlusconi”.
100 donne e uomini lanciano un appello di libertà   


  

lunedì 11 luglio 2011


Giorgio Ambrosoli
Avvocato

il bell'esempio


 



Anna carissima,
è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell’Umi (Unione monarchica italiana ndr), le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi (…)
Giorgio”

 



 



Perché il suo ricordo sostenga chi crede nei suoi valori e dispera di vederli presenti nella nostra società così orribilmente sfigurata da un pugno di masnadieri.
 

martedì 5 luglio 2011

lunedì 4 luglio 2011


4 LUGLIO

1776 - 2011

Auguri, Stati Uniti d'America!

 



"La ricorrenza della Festa nazionale mi offre la gradita occasione per formulare, a nome del popolo italiano e mio personale, i più sinceri auguri di prosperità per il popolo americano. La lunga amicizia tra Stati Uniti e Italia ha profonde radici politiche, economiche e culturali. Il dialogo tra i nostri paesi è alimentato continuamente dai rapporti fra le nostre società civili. E' impossibile dimenticare il ruolo originale della presenza italiana negli Stati Uniti fin dalla nascita della Nazione. Il 150mo anniversario dell'Unità nazionale italiana ci ha consentito di riflettere su quanto i nostri paesi guardino insieme al futuro ispirandosi ai valori fondamentali della democrazia, della pace, della libertà e dell'affermazione dei diritti umani. Restando fedeli a questi ideali, sono certo che Stati Uniti e Italia opereranno anche in futuro fianco a fianco nell'Alleanza atlantica e in tutti i fori multilaterali. In questo spirito, formulo voti di benessere per la sua persona e per il popolo americano". Giorgio Napolitano

Roma, 4 lug - Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato un messaggio al Presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama, in occasione dell"Indipendence Day.
 La Repubblica, 4 luglio 2011



 

 


 

sabato 2 luglio 2011


LIBERA RETE IN LIBERO STATO
  La notte contro il bavaglio dell'Agcom

 



Il 5 luglio, dalla Domus Talenti di Roma andrà in scena la “Notte della Rete” , una no-stop che coinvolgerà giornalisti, esperti, associazioni, esponenti politici per protestare contro la delibera dell'Autorità garante per le Comunicazioni che, in presenza di violazioni del copyright, prevede l'oscuramento dei siti Internet. ...  .
 



*

VAI ALLA PAGINA FACEBOOK DELL'INIZIATIVA
 


BLOG SCORZA: AGCOM E IL TELECOMANDO DI STATO
BLOG PAVONE: COPYRIGHT, DALLE PAROLE AI FATTI 
**

venerdì 1 luglio 2011


Golpe sul web: fermiamoli



di Guido Scorza



Un'Autorità amministrativa di emanazione politica assumerà il controllo esclusivo di ogni contenuto in Internet. E' un 'codice di guerra' per trasformare la Rete italiana in una grande tv controllata da un pugno di politici e manager. Ed è una prova generale per violentare, sotto i nostri occhi, il principio della separazione dei poteri



(29 giugno 2011)

L'Espresso

 



10 domande per l’AGCOM