lunedì 31 marzo 2008

E' il momento del Tibet.


Si accendano piccole luci in tutto il mondo.


Caro Giuliano Ferrara… La lettera di Anita, ex feto malato


Tibetan nuns chant prayer hymns as they pray for the souls of those who died during protests in China as well as to urge the Chinese government to resist from using force against Tibetan protesters, in Katmandu, Nepal, Saturday, March 29, 2008.Tibetan spiritual leader Dalai Lama prays for those who lost their lives during China's crackdown on protests in Tibet, at the memorial of Mahatma Gandhi in Rajghat, New Delhi, March 29, 2008.


A Tibetan boy plays with flags in front of the tent where activists hold a 49-hour hunger strike against the crackdown on human rights protesters in Tibet, in Taipei March 30, 2008.A boy sits in a cart in a Tibetan village on the outskirts of the township of Hezuo in the south-western area of Gansu Province March 30, 2008. The area saw local unrest last week, with roads blockaded and buildings damaged. Mountainous areas of Gansu are home to many ethnic Tibetans who have long lived next to Han Chinese and other ethnic groups, but recent weeks have seen riots and protests against the Chinese presence in Sichuan and neighbouring provinces.


 


A young protester holds a placard during a rally 'Stand Up For Tibet Global Day of Action' in Sydney, Australia, Monday, March 31, 2008. Tibetian and pro-Tibetian activists protest next to Acropolis hill in Athens. Greece handed over the Olympic torch to the organisers of the Beijing Games on Sunday in a tightly-guarded Athens ceremony, after police quickly arrested anti-Chinese protesters shouting "Save Tibet".


Demonstrators holding burning torches form the peace sign at the Heroes' Square in Budapest during a protest against clashes in Tibet March 30, 2008.Rio de Janeiro, Sunday, March 30, 2008. AP


A Monk looks at paintings decorating the outside of the main prayer-house in a temple in the township of Zhuoni in the south-western area of Gansu Province March 30, 2008. Mountainous areas of Gansu are home to many ethnic Tibetans who have long lived next to Han Chinese and other ethnic groups, but recent weeks have seen riots and protests against the Chinese presence in Sichuan and neighbouring provinces.A Tibetan woman pulls a cart along a road near a Tibetan village on the outskirts of the township of Hezuo in the south-western area of Gansu Province March 30, 2008. The mountainous areas of Gansu are home to many ethnic Tibetans who have long lived next to Han Chinese and other ethnic groups, but recent weeks have seen riots and protests against the Chinese presence in Sichuan and neighbouring provinces, with locals blockading roads and damaging buildings.


Male policemen grab a Tibetan nun for detention outside the visa section of Chinese Embassy in Katmandu, Nepal, Sunday, March 30, 2008. Policemen baton charged and dragged away scores of exiled Tibetan monks, nuns and people as Tibetans continued their protest against China.


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Caro Giuliano Ferrara… La lettera di Anita, ex feto malato



Mi chiamo Anita, ho 18 anni e sono un ex feto malato… ora sono una ragazza “malata”, ho una malattia neuromuscolare, in inglese SMA, molto simile alla sclerosi laterale amiotrofica, solo che la Sma colpisce i bambini. Si divide in tre forme: la prima, ossia la più grave, impedisce quasi ogni movimento e si manifesta nei primi mesi di vita del bambino e colpisce anche l’apparato respiratorio e spesso provoca la morte entro i primi anni di vita, la seconda (della quale sono affetta io) si manifesta entro l’anno di vita e impedisce di camminare e porta alla scoliosi e anch’essa colpisce l’apparato respiratorio e porta all’utilizzo di un respiratore durante la notte e fin dai primi anni di vita all’utilizzo di una carrozzina elettrica, la terza è la meno grave ma porta comunque negli anni all’utilizzo della carrozzina.


È una malattia genetica rara e quindi non rientra nelle patologie che vengono sottoposte al controllo prima della nascita, a meno che non ci siano casi in famiglia.


Suppongo che la domanda sorga spontanea… sono contenta di essere nata? Ovviamente sì, sono fiera di ciò che sono, amo la mia vita con tutte le sue difficoltà, vivo una vita piena, molto più piena di quanto si possa immaginare, ho una famiglia stupenda che mi ha voluta, che quando ha saputo delle mia malattia ha avuto un primo momento di sconforto poi si è rimboccata le maniche e mi ha cresciuto normalmente come tutti gli altri bambini… Ora mi crescono come una ragazza “normale” (esiste la normalità?).


Nella mia vita sono passata da tante situazioni, dai reparti di neurologia pediatrica alle rianimazioni… ai convegni sulla mia malattia, che sono dei raduni carichi di speranza, di dolore, di gioia di vivere… Ho visto genitori straziati dal dolore di aver perso un figlio, tanto velocemente e con tante sofferenze… Ho visto bimbi di due anni su una carrozzina attaccati ad un respiratore impossibilitati a muoversi dalla testa ai piedi, eppure carichi di vita, ne ho visti altri con lo sguardo stanco…


Chi si batte tanto a parlare di vita, di diritto alla vita, temo che ne sappia ben poco del vero valore di questa parola, forse parliamo tanto di diritto alla vita di questi tempi perché ci sembra di vivere passivamente e allora ci battiamo più che per il diritto di vita degli altri per riaccendere la nostra volontà di vivere. 


Qualcuno potrebbe dirmi “se tua madre avesse saputo della tua malattia tu non saresti nata”, sì è vero, mia madre avrebbe avuto il difficilissimo e dolorosissimo compito di scegliere se perdere un figlio o metterlo al mondo anche se malato.
Bene, mia madre dopo aver avuto me ha provato a darmi un fratellino e ha fatto tutti gli esami ed è risultato che anch’esso era malato… potete immaginare la tragedia interna di mia madre… abortire e perdere un figlio e in un certo senso rinnegarmi o mettere al mondo un bimbo malato (senza sapere quale forma di malattia potesse avere)…. bene mia madre da donna, da madre, ha preso la decisione più giusta… ossia abortire. È forse stata un mostro? un’assassina? o forse è stata coraggiosa, saggia, e ha evitato di mettere al mondo un bimbo destinato a soffrire… Ognuno la può interpretare come vuole… ma è proprio questo il punto, la libertà. Per libertà non intendo poter fare ciò che si vuole (come spesso viene interpretata la libertà) ma essere liberi di poter compiere una scelta, dolorosa in qualsiasi caso, di non sentirsi dei mostri se si compie una o l’altra scelta. Dio stesso ha fornito all’uomo il libero arbitrio…


Concludo rivolgendomi direttamente a lei signor Ferrara. Io personalmente trovo la sua “lista-crociata” anti-abortista del tutto fuori posto, trovo decisamente inadeguato usare un tema così delicato e che tocca così profondamente e personalmente milioni di donne e di uomini, come campagna elettorale. Lei ha messo sullo stesso piano la moratoria sulla pena di morte e l’aborto, trovo difficile comprendere questa comparazione, visto che nel caso della moratoria sulla pena di morte si parla di evitare che persone adulte che hanno compiuto un crimine atroce, e già per questo hanno perso la loro umanità, vengano uccise, per evitare che anche la giustizia si disumanizzi, mentre nel caso dell’aborto parliamo di donne che si trovano davanti a un bivio atroce e non hanno nessuna colpa se non quella di cercare il meglio per sé e per i propri figli…


Finisco dicendole che se per lei abortire è come compiere un omicidio… bene… sono fiera che mia madre sia un’assassina. Cordiali saluti.


Anita Pallara 18 anni ex feto malato


E' nato il blog di Anita Pallara, la ragazza affetta da Sma, ospite di Annozero nella puntata del 20 marzo 2008 .

sabato 29 marzo 2008

      Raimon Panikkar


" «ponte vivente» tra Oriente e Occidente, tra diverse tradizioni di pensiero - cristianesimo, buddhismo, hinduismo - instancabile viaggiatore leggero, attraversatore di confini tra sapere scientifico e cultura umanistica "


Paul Klee_Macchina per Cinguettare_1922_MoMa


Paul Klee, Macchina per Cinguettare


A Raimon Pannikar, uomo «ponte vivente» è stato dedicato un saggio. Paulo Barone: Spensierarsi. Raimon Panikkar e la macchina per cinguettare (Diabasis, pp. 117, euro 13). Se ne parla in un articolo de Il Manifesto.


Attimi di contemplazione vivente insieme a Raimon Panikkar


Al pensiero di uno dei grandi maestri della nostra epoca, è dedicato il recente saggio di Paulo Barone «Spensierarsi». Inedite costellazioni, utili per orientarsi tra le destabilizzanti «formule» del filosofo

Alberto Ghidini



Educare lo sguardo a una nuova innocenza, sembra essere la sfida più urgente nell'illuminismo spettacolare e tecnoscientifico della postmodernità. Impresa non da poco se si pensa che oggi la rete globale dell'informazione «si incarna nell'occhio», come scriveva Ivan Illich, riducendo la visione, la stessa capacità di sentire, a una forma di scanning. La posta in gioco è una trasformazione radicale del nostro modo di vedere: agli occhi viene chiesto di assumere una «funzione ricettiva estrema», in grado di avviare un sistema di avvistamento auricolare della realtà materiale, umana e divina, in una parola sola cosmoteandrica.

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Questa espressione ci proietta direttamente nella filosofia di Raimon Panikkar, al quale Paulo Barone ha dedicato il suo saggio Spensierarsi. Raimon Panikkar e la macchina per cinguettare (Diabasis, pp. 117, euro 13), che prende il sottotitolo da Die Zwitscher Maschine, opera di Paul Klee degli anni '20 in cui, su un fondale olio e acquerello di colori stinti, estenuati, «e perciò - osserva lo stesso Barone - continuamente variabile», appare un bizzarro congegno a manovella concepito per riprodurre il cinguettio degli uccelli.

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Nel libro la minuscola e singolare macchina di Klee diventa un ritornello ispiratore, un talismano che Barone attiva per accompagnare il lettore nell'incontro con questo maestro della nostra epoca, «ponte vivente» tra Oriente e Occidente, tra diverse tradizioni di pensiero - cristianesimo, buddhismo, hinduismo - instancabile viaggiatore leggero, alla Langer, attraversatore di confini tra sapere scientifico e cultura umanistica. La complessa, lampeggiante, visione del mondo secondo Panikkar - del quale presso Jaca Book è in preparazione l'Opera Omnia - ci viene presentata da Barone attraverso un raffinato intreccio di riferimenti testuali relativi tanto alla sua vasta e poliedrica produzione, quanto a una piccola famiglia filosofica e letteraria di amici che ad essa offre l'ambientazione ideale: da Wittgenstein a Benjamin a Deleuze, ma anche Canetti, Kafka, Leopardi.

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Il libro, del resto, è popolato di inedite costellazioni, utili per orientarsi tra le destabilizzanti, talvolta sconvolgenti, «formule» di Panikkar, itinerari tortuosi, interstiziali, da percorrere a zig-zag, come un taxi nel traffico urbano, su più ritmi e velocità, lungo linee d'attesa o di fuga, strade a senso unico, tra sterzate, frenate e ripartenze improvvise, rendendo evidente come mai la lettura di Panikkar necessiti di uno sfondo variabile. Per Panikkar «il compito del nostro tempo» è reintegrare il terzo occhio, il senso mistico, nell'essere dell'uomo. Nel quotidiano, nell'adesso, nell'angolo più minuto, concreto, umile, immediato e apparentemente insignificante della realtà - che sfugge a qualsivoglia indagine razionale - senza per questo banalizzarne la relazione diretta con il mistero, con l'impenetrabile. La mistica come dimensione antropologica, quindi, in risposta a qualunque specialismo intenda collocarla in una zona impervia, riservata a pochi prescelti - e allo stesso tempo, così distante dalla partecipazione massiva e allucinata agli improbabili sogni di felicità propagati dal misticismo new age.
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«La mistica è l'esperienza integrale della realtà». È questo il primo sutra di Panikkar. Esperienza che si potrebbe definire in molti altri modi (completa, olistica, pleromatica, e via dicendo), ma Panikkar, attento alla lingua, non si lascia sedurre dall'idea di trovare una «parola giusta», dal significato univoco e stabilito una volta per tutte, e sceglie l'aggettivo intregrale come via polisemica per indicare un'esperienza diretta, non mediata, in comunione con la realtà intesa come un «tutto». Esperienza libera da pensieri (gedankenfreie Erlebnis), vicino alle cose di sempre, nella disposizione etica «dell'infinitamente accanto».

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Leggendo il testo si ha l'impressione che l'atmosfera generata dalla Zwitscher Maschine messa in moto da Barone abbia molto in comune con l'aria che si respira nell'ultimo scritto di Deleuze, il cui titolo L'immanence: une vie... reca in sé qualcosa di simile a un motivo in cui le forze convergono e si agitano, e la vita diviene pura contemplazione senza oggetto né soggetto della conoscenza, contemplazione vivente che produce quella tonalità emotiva che il filosofo francese era solito chiamare (come ha fatto notare Agamben) self-enjoyment.

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Per il contemplativo, che sperimenta la tempiternità nel quotidiano, oltre la nostalgia per un bene perduto o per ciò che è passato nei momenti temporali di questa vita, così intesa, per quanto goffa, cagionevole, di costituzione debole, fragile, claudicante essa sia, ogni giorno è una vita, e dunque basta a se stesso - e basta a Panikkar - per rivelare la pienezza di tutto ciò che è. Ecco perché Paulo Barone ha tutte le ragioni per affermare che «non si può guardare al mistico senza invidia». Essere ben bilanciato, inter-essere, sempre tra le cose, come la Pantera rosa o, parafrasando Burroughs, il gatto che è in noi (il gatto, nel baule degli animali di Panikkar, ha una certa rilevanza), nella società attuale, il mistico, scrive Panikkar ne La nuova innocenza (Servitium, 2003), è il solo che può sopravvivere «senza diventare terrorista (violento) o cinico (menefreghista)», proprio in virtù del suo grado di coscienza o, con Barone, di una macchina per cinguettare, che potrebbe costituire il motore di una nuova Achsenzeit o «età assiale» finalmente spensierata.

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Paul Klee, Cat and Bird, 1928. Museum of Modern Art New York City.


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Dedicato al vecchio della montagna, che nella mia blogosfera è maestro di spiritualità, amante dei gatti e della gattità.


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Aggiornamento delle 13:10.



Il Dalai Lama alla comunità internazionale
"Aiutateci a risolvere la crisi del Tibet"


New Delhi - "Per favore, aiutate il mio popolo a risolvere la crisi del Tibet. Per favore, abbiamo bisogno dell'aiuto di tutto il mondo".


In ginocchio, le mani giunte sopra la testa, con la voce spezzata dalla tensione e dal dolore, la guida spirituale del buddismo lancia un nuovo, accorato appello alla comunità internazionale. La scena è drammatica e le parole del Dalai Lama rendono l'atmosfera ancora più densa di emozioni. (continua qui)


mercoledì 26 marzo 2008

 

TIBET DIRITTI UMANI STORIA


News - Inside Tibet_Religion plays an important role in Tibet_BBCNews_


Scopi di questo post, e degli altri simili, è la conservazione e la diffusione di informazioni che per me sono importanti. Questi articoli sono reperibili anche in altri siti, ma aprire il mio spazio minimo mi sembra utile. Circolano le notizie più strane e contraddittorie perfino sulla storia di due Paesi, il Tibet e la Cina, riuniti con la violenza da uno dei massimi imperialisti del mondo, Mao Ze Dong. Circolano ragionamenti che distraggono e confondono anche le persone più avvertite. E' frequente sentir citare gli orrori della guerra in Iraq o la conquista americana del West o il famigerato colonialismo occidentale come se i crimini del passato storico e, sciaguratamente, del presente quotidiano potessero costituire una giustificazione per i crimini in Tibet, come in Darfur o in Somalia o in Birmania o in Cecenia o...o...o... . Non riesco a finire l'elenco. Ogni nazione oppressa e martoriata ha diritto a essere difesa. Nel mondo così com'è organizzato, però, non si riesce a tenere tutte le tragedie contemporaneamente nel cono di luce dell'informazione e della partecipazione planetaria. E' un limite tremendo con cui dobbiamo fare i conti. Ma ora che facciamo? Siccome altrove si consumano tragedie analoghe non ci interessiamo di quella che in questo momento è, provvidenzialmente, nel cono di luce, troppo piccolo per illuminare anche le altre? Questo è il momento del Tibet. Ed è anche il momento dei diritti umani in Cina, non dimentichiamolo. Possiamo e dobbiamo approfittarne per scalfire almeno un po' il potere dittatoriale cinese, ottuso e affetto da coazione a ripetere errori e crimini secolari, come tutti i poteri non democratici.


Tibet's unsettled borders_BBCNews


Una tragedia sul tetto del mondo: dove nasce la brutale repressione della Cina


di FEDERICO RAMPINI



Xizang, "la Dimora del Tesoro occidentale", è il nome cinese del Tibet. Una nazione che per il Dalai Lama subisce un «genocidio etnico». Per l´opinione pubblica dei paesi democratici è la vittima di sopraffazioni in cui si rivela il volto più brutale del regime cinese. La rivolta iniziata il 10 marzo a Lhasa è stata definita l´ultima battaglia anti coloniale, il sussulto di un popolo oppresso nell´impero multietnico dominato da Pechino. Per la maggioranza dei cinesi, invece, lo Xizang è sempre stato loro. Lo studiano nei manuali di storia fin dalle elementari. Per loro il coro di solidarietà internazionale verso i tibetani è la versione aggiornata del perfido imperialismo anti cinese, che portò l´Inghilterra, la Russia, il Giappone, a violentare l´integrità territoriale dell´Impero Celeste nel XIX e nel XX secolo.
La storia del Tibet è complicata, nell´arco di 1.500 anni si alternano periodi di indipendenza (perfino una fase in cui i tibetani alleati coi mongoli furono più forti dei cinesi) ed epoche in cui questo paese divenne un vassallo delle dinastie cinesi.
Per capire l´accanimento attuale di Pechino basta risalire indietro di un secolo. Nel 1903 il viceré dell´India Lord Curzon si lascia convincere dal suo colonnello Francis Younghusband che la Russia zarista ha in pugno il Dalai Lama, una pedina negli equilibri geopolitici dell´Asia centrale. Il colonnello britannico si mette alla testa di una piccola armata di mercenari indiani, oltrepassa il confine dal Sikkim, massacra tremila tibetani. Il suo exploit militare viene sconfessato da Londra che lo costringe alla retromarcia. Ma Younghusband ha messo in moto una catena di eventi. La dinastia cinese dei Qing, agonizzante e traumatizzata dalle umiliazioni subite a opera delle potenze straniere, teme una penetrazione inglese attraverso il Tibet, l´apertura di un nuovo varco per minacciare la Cina dal subcontinente indiano. Anche se gli inglesi sono partiti, nel 1909 le truppe dei Qing occupano Lhasa per "liberarla dall´invasore occidentale". Il tredicesimo Dalai Lama deve fuggire in esilio.
Da allora i termini della questione tibetana non sono mai cambiati. Sotto qualsiasi regime - imperiale, repubblicano, nazionalfascista, comunista - la Cina considera il Tibet come un cuscinetto strategico per proteggersi a Ovest. Pur di non mollare la presa Pechino inventa ogni sorta di legittimità, dalla lotta anti imperialista all´unità sino-tibetana che gli storici revisionisti del regime fanno risalire ai tempi di Marco Polo.
A Mao Zedong basta un anno dalla presa del potere a Pechino (1949) per lanciare il suo Esercito popolare di liberazione nell´invasione del Tibet. All´inizio l´occupazione militare cinese mostra una certa tolleranza verso le tradizioni locali, compresa la religione. Nel 1959 una prima svolta estremista di Mao Zedong porta all´imposizione dell´ateismo di Stato: divampa la prima ribellione in Tibet, viene sconfitta e l´attuale Dalai Lama è costretto all´esilio.
Dal 1966 al 1975 la Rivoluzione culturale intensifica le violenze contro la religione. Il Tibet è vittima della campagna più feroce: i comunisti cinesi vi uccidono probabilmente fino a 1,2 milioni di persone, un quinto dell´intera popolazione. Ma la tenacia dei tibetani inganna perfino il leader più lucido e astuto della Repubblica popolare, Deng Xiaoping.
Tre anni dopo la morte di Mao, nel 1979 insieme con la svolta politica moderata, la normalizzazione delle relazioni con l´Occidente e l´avvio delle riforme di mercato, Deng allunga un ramoscello d´ulivo al Dalai Lama invitandolo a mandare suo fratello in visita in Tibet per constatare che le condizioni di vita del suo popolo sono migliorate. Nei piani di Deng è il preludio per un negoziato con il Dalai Lama da posizioni di forza, per convincerlo a tornare in patria dopo essersi sottomesso all´autorità centrale di Pechino. Secondo le informazioni che Deng riceve dal partito comunista locale, i tibetani ormai sono assuefatti alla dominazione cinese, i progressi nel benessere materiale appagano la popolazione.
L´errore è clamoroso. La visita del fratello del Dalai Lama scatena l´entusiasmo popolare, le manifestazioni di gioia degenerano in cortei nazionalisti al grido di "Tibet indipendente". Ogni dialogo con il Dalai Lama è troncato. In compenso la pratica del buddismo è tornata a fiorire, sia pure con un "numero chiuso" che contingenta il reclutamento dei nuovi monaci. Questo non impedisce che oggi nei monasteri di Lhasa molti di loro siano giovanissimi, segno che nessuna secolarizzazione è riuscita a inaridire le vocazioni. Il regime tenta di sradicare il carisma del Dalai Lama imponendo un controllo ideologico e poliziesco nei monasteri, con sedute di indottrinamento politico obbligatorie. Un fallimento: il Tibet continua a essere il teatro di periodiche insurrezioni contro i cinesi.
Nel 1989 una di queste rivolte viene stroncata con la legge marziale da Hu Jintao, allora plenipotenziario del partito comunista a Lhasa, oggi numero uno del regime a Pechino. Dal 1989 Hu Jintao credeva di aver fatto molto per sopire le tensioni. Sul fronte economico Pechino ha accelerato gli investimenti per dotare il Tibet di infrastrutture efficienti, dagli aeroporti alle autostrade, e per agganciarlo al boom economico cinese.
La più gigantesca e la più contestata di queste grandi opere è la linea ferroviaria Pechino-Lhasa inaugurata da due anni. Lunga 1.142 chilometri, di cui 960 a un´altitudine superiore ai quattromila metri e con tratti a cinquemila metri su terreni eternamente ghiacciati, è un´ardita testimonianza delle capacità tecnologiche della Cina. Per ammissione del Dalai Lama la ferrovia contribuisce a uno sviluppo economico benefico per la popolazione locale. Ma il nuovo treno è anche sotto accusa per l´offesa a un ecosistema naturale fragile e prezioso. Ed è il simbolo di quella "conquista del West" con cui l´etnia dominante dei cinesi han schiaccia il Tibet sotto il peso della sua immigrazione: i militari di stanza a Lhasa sono quasi tutti han, come i dirigenti del partito comunista locale. Senza ironia il regime comunista si arroga ormai perfino il diritto di consacrare i "veri" Lama reincarnati.
Dietro le rivolte di questo marzo 2008 c´è anche l´effetto di un privilegio reale di cui godono i tibetani. Come tutte le minoranze etniche sono esentati dalla regola del figlio unico. L´alta natalità tibetana ha prodotto un sovrappiù di giovani. Metà della popolazione tibetana ha meno di 21 anni, una composizione demografica molto più giovane della Repubblica popolare. I giovani tibetani sono più istruiti dei loro genitori ma sul mercato del lavoro continuano a essere discriminati rispetto ai cinesi han. In tutte le epoche un eccesso di popolazione giovanile è un carburante per le rivolte; i ventenni e gli adolescenti protagonisti degli scontri a Lhasa confermano la regola.
L´Occidente finge di avere a cuore i tibetani, in realtà non muove un dito. La storia dei tradimenti va da Lord Curzon a Clinton e Bush, passando per Roosevelt e Nixon, tutti amici del Tibet a parole, a patto di non disturbare la realpolitik con Pechino. Ad alimentare quest´ultima rivolta ha contribuito la grande cerimonia dell´anno scorso a Washington dove il Dalai Lama è stato premiato dal Congresso con la Gold Medal, e un bel discorso di George Bush. Per i tibetani quelle immagini del loro leader spirituale osannato dal presidente potevano significare una cosa sola: l´America stavolta li avrebbe protetti.


Tibet - Wikipedia_Foto satellitare presa sopra l'altopiano del Tibet


TIBET/sillabario - FOSCO MARAINI


I cinesi continuano a sostenere d´aver maturato diritti politici quasi millenari sull´altipiano e sulle genti che vi abitano, e numerosi occidentali, nella loro generale ignoranza d´una storia tanto esotica, si lasciano impressionare o restano frastornati e indecisi
L´occupazione del Tibet da parte della Cina fa parte d´un quadro superato della storia mondiale - quello delle conquiste imperialiste e dei domini coloniali, perciò può mantenersi soltanto con la cruda forza, priva di qualsiasi legittimità. E il comportamento bestiale dei cinesi nei riguardi dei tibetani, fa talvolta addirittura supporre ch´essi avvertano oscuramente il male sostanziale dell´occupazione nel profondo delle loro coscienze.
Il punto essenziale da considerarsi oggi è un altro: sono cinesi e tibetani due semplici varietà provinciali d´un medesimo popolo, o sono sostanzialmente due popoli diversi? (La Repubblica, 25 marzo 2008, pag. 45) 




Link: Estremo Occidente blog di Federico Rampini -  Fosco Maraini, Segreto Tibet


lunedì 24 marzo 2008



"Il governo lasci entrare l'Onu in Tibet"


Scrittori, professori, giornalisti chiedono trasparenza e inchieste credibili

Dodici idee sulla situazione in Tibet


Al momento, la propaganda che i media ufficiali cinesi stanno diffondendo, senza lasciare spazio a niente altro, sta facendo avvampare sempre più le fiamme dell’odio interetnico e aggravando una situazione già molto tesa. Questo ha effetti estremamente deleteri per la salvaguardia a lungo termine dell’unità nazionale, e noi sottoscritti lanciamo un appello affinché questo tipo di propaganda cessi. Appoggiamo l’appello alla pace del Dalai Lama, e speriamo che il conflitto interetnico possa essere affrontato seguendo i principi della pace e della non violenza.


Condanniamo ogni tipo di azione violenta contro cittadini innocenti, e chiediamo con urgenza al governo cinese di sospendere la violenta repressione in Tibet e lanciamo un appello anche al popolo tibetano perché non si lasci andare ad azioni violente.


Il governo cinese ha affermato che “vi sono chiare prove che quest’incidente è stato organizzato, complottato e meticolosamente portato avanti dalla cricca del Dalai Lama”. Speriamo che il governo possa mostrare prove di quest’affermazione, e, per modificare l’atteggiamento di sfiducia e la visione negativa degli attuali incidenti che vi è nella Comunità internazionale, suggeriamo al governo cinese di invitare in Tibet la Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite, affinché possa portare avanti un’inchiesta indipendente delle prove menzionate dal governo, del modo in cui gli incidenti si sono svolti, del numero dei morti e feriti, eccetera. Nella nostra opinione, il linguaggio da Rivoluzione Culturale del tipo “il Dalai Lama è un lupo travestito da monaco buddista, e uno spirito maligno con volto umano e cuore di bestia”, utilizzato dalle autorità del Partito comunista cinese nella Regione Autonoma del Tibet non è di nessun aiuto nel risolvere la situazione, e non è nemmeno d’aiuto all’immagine del governo cinese.


Dal momento che il governo cinese è intenzionato ad integrarsi alla Comunità internazionale, siamo dell’opinione che dovrebbe dunque cercare di mostrare uno stile di governo che si conformi agli standard della civiltà moderna. Notiamo che il giorno stesso in cui le violenze sono scoppiate a Lhasa (il 14 marzo), le autorità della Regione Autonoma del Tibet hanno dichiarato che “ci sono chiare prove che mostrano che quest’incidente è stato organizzato, complottato e meticolosamente portato avanti dalla cricca del Dalai Lama”. Questo mostrerebbe che le autorità del Tibet sapevano con anticipo che ci sarebbero stati disordini violenti, e non hanno fatto nulla per prevenirlo. Se vi sono state inadempienze da parte delle autorità, è necessario portare avanti una severa inchiesta, in modo che i responsabili possano essere puniti di conseguenza. Ma se non può essere provato che questi incidenti siano stati “organizzati, premeditati e meticolosamente portati avanti”, ma che si tratta invece di una “rivolta popolare” causata dall’evolversi degli eventi, le autorità dovrebbero lanciare un’inchiesta per determinare chi sia responsabile nell’aver incitato la popolazione alla rivolta e per aver diffuso informazioni false volte a ingannare il governo centrale ed il popolo, e dovrebbero anche riflettere con attenzione su che cosa si possa apprendere da quest’evento in modo da non intraprendere nel futuro lo stesso tipo di azioni.


Chiediamo con la massima forza al governo cinese di non sottomettere ora ogni tibetano all’inquisizione e vendetta politica. I processi delle persone che sono state arrestate devono essere portati avanti seguendo procedure giudiziarie aperte, giuste e trasparenti, in modo da assicurarsi un risultato giusto ed imparziale.


Richiediamo che il governo cinese autorizzi i media nazionali e internazionali a recarsi liberamente in Tibet in modo da poter portare avanti in modo indipendente interviste e inchieste per poter informare il pubblico. Siamo dell’opinione che l’attuale blocco dell’informazione non può servire a far acquistare credibilità alla popolazione cinese e con la comunità internazionale, e che sia dannoso per la credibilità del governo cinese. Se il governo ha davvero una buona comprensione della situazione, non può aver timore della presenza dei giornalisti. Solo adottando un atteggiamento di apertura possiamo sperare di modificare la mancanza di fiducia della Comunità internazionale nei confronti del nostro governo.


Lanciamo un accorato appello al popolo cinese e al popolo cinese all’estero affinché si mantenga calmo e tollerante, e perché sappia riflettere con profondità su quanto sta avvenendo. Adottare atteggiamenti di aggressivo nazionalismo non può fare altro che suscitare l’antipatia della Comunità internazionale, e danneggiare l’immagine internazionale della Cina. Negli anni Ottanta, gli incidenti in Tibet si erano limitati alla città di Lhasa, mentre in quest’occasione notiamo che si estendono a molte aree tibetane. Questo deteriorarsi delle cose mostra che sbagli severi sono stati fatti rispetto al Tibet.


I dipartimenti governativi responsabili devono riflettere coscienziosamente su questa questione, esaminare il loro fallimento, e modificare in modo fondamentale le politiche nei confronti delle minoranze etniche nazionali. Per impedire che simili incidenti possano aver luogo nuovamente in futuro, il governo deve rispettare i principi di libertà religiosa e di libertà di parola esplicitamente garantiti dalla Costituzione cinese, garantendo ai tibetani la piena libertà di esprimere le loro speranze e la loro insoddisfazione, e permettendo ai cittadini di tutte le etnie di criticare e apportare liberamente le loro idee rispetto alle politiche nazionali nei confronti delle minoranze etniche. Siamo dell’opinione che si debba eliminare l’animosità e lavorare per la riconciliazione nazionale, non continuare a rendere più profonda la divisione fra diversi gruppi etnici. Per questo, lanciamo un accorato appello ai leader del nostro paese affinché aprano un dialogo con il Dalai Lama. Ci auguriamo che cinesi e tibetani possano eliminare le incomprensioni che li separano, e sviluppare un tipo di interazione positiva che aiuti a creare maggiore unità. I vari dipartimenti governativi, così come le organizzazioni popolari e i leader religiosi dovrebbero impegnare tutte le loro forze verso quest’obiettivo.


Wang Lixiong (Beijing, scrittore), Liu Xiaobo (Beijing, scrittore indipendente), Zhang Zuhua (Beijing, studioso costituzionalista), Sha Yexin (Shanghai, scrittore, appartenente al gruppo etnico Hui, musulmano), Yu Haocheng (Beijing, giurista), Ding Zilin (Beijing, professoressa), Jiang Peiku(Beijing, professore), Yu Jie (Beijing, scrittore), Sun Wenguang (Shangdong, professore), Ran Yunfei(Sichuan, editore, etnia Tujia), Pu Zhiqiang (Beijing, avvocato), Teng Biao (Beijing, avvocato e studioso), Liao Yiwu (Sichuan, scrittore), Wang Qisheng (Beijing, studioso), Zhang Xianling (Beijing, ingegnere), Xu Jue (Beijing, ricercatore), Li Jun (Gansu, fotografo), Gao Yu (Beijing, giornalista), Wang Debang (Beijing, scrittore freelance), Zhao Dagong (Shenzhen, scrittore freelance), Jiang Danwen (Shanghai, scrittore), Liu Yi (Gansu, pittore), Xu Hui (Beijing, scrittore), Wang Tiancheng (Beijing, studioso), Wen Kejian (Hangzhou, freelance), Li Hai (Beijing, scrittore freelance), Tian Yongde (Mongolia Interna, attivista dei diritti umani delle minoranze), Zan Aizong (Hangzhou, giornalista), Liu Yiming (Hubei, scrittore freelance).


Il Foglio. 24 marzo 2008. Adriano Sofri cede la sua Piccola posta a una lettera di professionisti cinesi alle autorità di Pechino (le sottolineature sono mie)

Tibetans pray for the souls of those who died during protests in China as they urge the Chinese government to resist the use of brute force against Tibetan protesters, in Katmandu, Nepal, Saturday March 22, 2008.


 Petizione al Presidente cinese Hu Jintao:

Come cittadini del mondo le chiediamo di esercitare moderazione e rispetto nell'affrontare le proteste in Tibet e di dialogare in modo costruttivo con il Dalai Lama per risolvere la questione Tibetana. Soltanto dialogo e riforme porteranno a una stabilità duratura. Il futuro della Cina e le sue relazioni con il resto del mondo dipendono da uno sviluppo armonioso, dal dialogo e dal rispetto.


domenica 23 marzo 2008

Pasqua di Resurrezione


Giotto di Bondone_Maria di Magdala_ Noli me tangere_1320_Assisi_Basilica Inferiore_Cappella della Maddalena 


1Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!". 3Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, 7e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. 10I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.


11Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: "Donna, perché piangi?". Rispose loro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto". 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. 15Le disse Gesù: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?". Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo". 16Gesù le disse: "Maria!". Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: "Rabbunì!", che significa: Maestro! 17Gesù le disse: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro". 18Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: "Ho visto il Signore" e anche ciò che le aveva detto.


19La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". 20Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". 22Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; 23a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi".


24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò".


26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". 27Poi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!". 28Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". 29Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!". (Vangelo di Giovanni)


Giotto di Bondone_Resurrezione_Noli me tangere_ Scrovegni_Padova


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Tibetans light up thousands of oil lamps to pray for the souls of those who died during protests in China as they urge the Chinese government to resist from using brute force against Tibetan protesters, in Katmandu, Nepal, Saturday March 22, 2008.

venerdì 21 marzo 2008

Cina: Tibet e Diritti Umani


AP Photo: Chinese paramilitary police unload equipment on a road on the outskirts of Hutiaoxia, southeast of...


By GREG BAKER, Associated Press Writer 16 minutes ago (9:25)


ZHONGDIAN, China - Migliaia di soldati  sono avviati a piedi, in camion ed elicotteri verso le aree tibetane della Cina occidentale questo venerdì, mentre il governo ha aumentato la sua caccia ai dimostranti nelle rivolte antigovernative dell'ultima settimana nella capitale del Tibet.


La violenza a Lhasa - una straordinaria manifestazione di sfida contro 57 anni di dominio cinese - ha scatenato dimostrazioni di simpatia nelle province vicine, inducendo Pechino a coprire una vasta area con truppe e ad avvertire turisti e giornalisti stranieri parché stiano lontano. [ ... ]


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Tibetan spiritual leader in-exile, His Holiness the Dalai Lama (L) shows US House of Representatives Speaker Nancy Pelosi the palace temple in Dharamsala, on March 21.


Pelosi denounces China's Tibet crackdown. AP 



DHARMSALA, India. Fri Mar 21, 4:47 AM ET - House speaker Nancy Pelosi ha chiesto al mondo, venerdì, di denunciare l'attacco della Cina contro le proteste antigovernative in Tibet, definendo la crisi "una sfida alla coscienza del mondo."


Pelosi, una dei più fieri critici Congressional della Cina, è stata accolta da tibetani acclamanti quando è arrivata per incontrare il Dalai Lama. Pelosi è il primo major official a fare visita al leader della comunità del Tibet in esilio da quando le proteste sono diventate violente la scorsa settimana nella regione Chinese-ruled.


"Se If freedom loving people throughout the world do not speak out against China's oppression in China and Tibet, we have lost all moral authority to speak on behalf of human rights anywhere in the world," Pelosi ha detto prima di un incontro con centinaia di tibetani, inclusi monaci e scolari. [ ... ]


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 qualche informazione da Amnesty International


Human Rights for China - conto alla rovescia per le Olimpiadi"



" ... autorizzando Beijing a ospitare i Giochi noi vogliamo aiutare lo sviluppo dei diritti umani "  Liu Jingmin, then Vice President of the Beijing 2008 Olympic Games Bid Committee - April 2001


 



Human rights for China logo


In linea con le promesse fatta dalle autorità cinesi e dei Principi Fondamentali dell'Olimpismo, che includono "la tutela della dignità umana", stiamo sollecitando le autorità cinesi ad andare avanti con le riforme all'avvicinarsi delle Olimpiadi di Beijing, specialmente nell'area di:



  • Pena di morte

  • Processi giusti e prevenzione della tortura e dei maltrattamenti

  • Protezione dei difensori dei diritti umani

  • Libertà di espressione e informazione


Questo è essenziale se la Cina  è all'altezza delle sue promesse di migliorare i diritti umani. Quando arriverà l'agosto 2008, Amnesty vuole che il popolo cinese sia orgoglioso riguardo a tutto ciò che il loro Paese ha da offrire al mondo.  


 Tensione in Tibet


La polizia cinese sta invadendo le case dei  residenti nella capitale tibetana Lhasa in cerca di persone coinvolte nelle recenti proteste in città. Amnesty International abbiamo sollecitato le autorità cinesi a evitare l'uso di forza eccessiva nel ristabilire l'ordine.



Stato dei diritti umani in Cina


A man stands alone to block a line of tanks heading towards Tiananmen Square in the crackdown on the pro-democracy movement, 5 June 1989 © APCritici del governo mandati ai campi di lavoro, grande diffusione della tortura e sindacati al bando - soltanto alcuni degli argomenti che  riguardano la Cina nella corsa di avvicinamento ai Giochi.
Find out more about China's human rights record


Act now


Hanging rope at execution gallows, Baghdad, Iraq © APGraphicsBank


Stop executions in China China has expanded their lethal injection programme. Urge the Chinese government to reduce the use of the death penalty as a step towards full abolition. Take action now  - More actions


Human rights activist Hu Jia


Urgent action iconChina: Free human rights activist Hu Jia Hu Jia is the latest activist to be charged with 'inciting subversion'.


Take action now



New report


China: Il conto alla rovescia per le Olimpiadi - un anno rimasto per mantenere le promesse di miglioramento dei diritti umani. Questo rapporto evidenzia il crescente attacco contro i giornalisti, la censura pervasiva di internete, e le preoccupazioni continue riguardo all'altamente segreto e diffuso uso della pena di morte.



Che cosa puoi fare


  • Sign up for updates on the China campaign

  • Promote the campaign on your blog or website

  • Take action for Chinese human rights defenders

  • Read the blog Countdown for China

  • Listen to exiled student Shao Jiang's interview

  • giovedì 20 marzo 2008

    Difendi il Tibet - Sostieni il Dalai Lama



    Dopo decenni di repressioni, i tibetani chiedono al mondo un cambiamento reale. In questo momento i leader cinesi stanno decidendo se intensificare la violenza o tentare il dialogo.

    Tutti noi possiamo influenzare questa decisione critica, che potrebbe determinare il futuro del Tibet e della Cina. La Cina ha a cuore la sua reputazione internazionale, ma è necessario mobilitare il maggior numero di persone in tutto il mondo per ottenere l'attenzione del governo. Il Dalai Lama, leader spirituale tibetano, ha fatto appello alla moderazione e al dialogo: ha bisogno del nostro sostegno.Compila i campi qui sotto per firmare la petizione e spargere la voce.



    Petizione al Presidente cinese Hu Jintao:

    Come cittadini del mondo le chiediamo di esercitare moderazione e rispetto nell'affrontare le proteste in Tibet e di dialogare in modo costruttivo con il Dalai Lama per risolvere la questione Tibetana. Soltanto dialogo e riforme porteranno a una stabilità duratura. Il futuro della Cina e le sue relazioni con il resto del mondo dipendono da uno sviluppo armonioso, dal dialogo e dal rispetto.

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    "Il Tibet, bod come lo chiamano i tibetani, è diverso. Il Tibet è unico. Anche se privato non solo del suo futuro ma anche del suo passato, anche se rischia di essere inghiottito pericolosamente dal «Paese delle nevi», un sogno disegnato genialmente dal mistico pittore russo Nicholas Roerich e costruito con infinita quanto involontaria perizia dalle geniali spedizioni di Giuseppe Tucci nello Zhang Zhung e da una miriade di film, documentari, spedizioni, scalate, viaggi, libri ed estasi pacifiche e feroci, bod sopravviverà.

    La sua malìa incanterà anche i cinesi quando l’ansia di forza e di potenza passerà la mano perché il mutamento è la legge dell’esistenza. Questo insegnamento è probabilmente il primo che sia stato dato dal Buddha, nel Parco dei Daini di Kashi, in riva al Gange, insieme alla constatazione che la vita è dolore. Questo piccolo seme di infinita potenza, trasportato negli infiniti deserti tibetani traversati solo da cumuli di nuvole bianche, ha trasformato il Tibet più di qualsiasi altro paese in cui questo insegnamento sia giunto e abbia attecchito." ( Ugo Leonzio. L'articolo completo
    qui )

    mercoledì 19 marzo 2008

    Da Dharamsala parla la Guida spirituale
    "Agenti cinesi hanno provocato gli scontri"


    Il Dalai Lama: "Pronto a dimettermi
    se il mio popolo diventa violento"


    Appello ai "duri": "La gazzella non batte la tigre, scegliete il dialogo"
    di Raimondo Bultrini



    <B>Il Dalai Lama: "Pronto a dimettermi<br>se il mio popolo diventa violento"</B>


    Il Dalai Lama


    DHARAMSALA - Il Dalai Lama dice senza mezzi termini che è pronto a "dimettersi" se la situazione in Tibet dovesse finire "fuori controllo". Lo fa davanti a una piccolo gruppo di giornalisti internazionali venuti qui con noi nella sua residenza circondata da una folla di fedeli in preghiera. Una frase ad effetto che ha fatto presto il giro del mondo, anche se il suo significato è stato da molti interpretato come una rinuncia al ruolo "divino" di Dalai Lama, una carica - almeno finora - non certo elettiva. Da almeno sei secoli infatti, per i buddisti tibetani la sua mente è capace di tornare nella forma umana del leader spirituale dopo ogni morte fisica. Per chiarire meglio questo e altri aspetti emersi nella conferenza stampa, il Dalai Lama ci ha concesso un colloquio esclusivo nel suo ufficio privato.

    In che senso ha parlato di dimissioni, Santità?
    "A quanti mi hanno accusato di non volere fermare le proteste in corso, ho semplicemente spiegato che io non sono un dittatore, che dice alla sua gente: fai questo, non fare quello. Ho precisato che sono semmai un portavoce del mio popolo. Ma se la maggioranza dei tibetani dovesse prendere la strada della violenza, allora la mia risposta sarebbe quella che ho già dato dopo gli incidenti dell'88: complete dimissioni dal mio ruolo di loro rappresentante".

    I cinesi continuano però ad accusare lei di aver istigato le rivolte.
    "Sì, dicono che i miei seguaci bruciano i negozi, uccidono innocenti... Ho già detto molte volte: non usate violenza. Bruciare è violenza, uccidere è violenza. Per esempio, in tv ho visto la foto di un khampa (etnia tibetana dell'est, ndr) con una spada. Non è buono, come non è buono l'uso della violenza da parte di chiunque, siano Usa, Cina o Tibet".





    Ma i tibetani sembrano stanchi di aspettare e molti dicono di non vedere altre vie d'uscita.
    "Certe volte alcuni di questi giovani che vogliono l'indipendenza, esasperati per le ingiustizie, vengono da me con le lacrime agli occhi, vogliono combattere. Allora gli dico: ok, servono un fucile, dieci fucili, un sacco di munizioni. Dove li prendete? Mi rispondono: in Pakistan, Afghanistan. E allora come li spedite? Dal Nepal, impossibile, dall'India, impossibile, dal Pakistan, impossibile. Esprimere le proprie emozioni è facile, ma dobbiamo essere pratici. Può la gazzella lottare con la tigre? L'unica arma, l'unica forza è la giustizia, la Verità. Le spiego con un esempio perché la violenza, oltre che sbagliata, diventa controproducente. Anche durante le proteste degli anni '80 furono accusati i tibetani di certe stragi che - solo dopo - si è scoperto vennero messe in atto da agenti cinesi mandati a provocare tra i rivoltosi. Impossibile fare un controllo indipendente. Altro esempio, nei giorni scorsi a Katmandu ci sono state vetrine rotte e violenze: abbiamo avuto prove che di nuovo sono stati agenti cinesi per creare tensioni tra comunità locale e tibetani. Lo stesso era successo qui a Dharamsala due anni fa, quando fu bruciato il negozio di un indiano".

    Anche la sua richiesta di autonomia è rimasta però inascoltata.
    "Tra i cinesi più educati grazie all'approccio non violento e non separatista raccogliamo un genuino supporto. Se poi cerchiamo l'aiuto del mondo esterno, dell'India, degli Stati Uniti, dell'Europa, è molto difficile ottenere qualcosa con una richiesta di indipendenza. Certo ci vuole tempo. Con le armi forse si risolvono le cose più rapidamente, ma i problemi si ripresenteranno sempre più gravi. Con la collaborazione e la comprensione si eliminano alla radice. Anche nei regimi totalitari le cose cambiano, la leadership cambia, la politica cambia. La situazione cinese di oggi è diversa da quella passata. Se i cinesi diventassero realistici, in poche ore si risolverebbe ogni controversia. So che diffidano di me, ma potrebbero venire qui a Dharamsala, non c'è niente da nascondere, non potranno vedere i miei polmoni, ma possono vedere il mio portafoglio, le mie urine, le mie feci".

    Le sembra realistica un'indagine indipendente?
    "Ho scritto una lettera ai nostri amici indiani, americani: per favore, ho detto, aiutateci a raffreddare questo clima terribile. Qualcuno vada a indagare, presto, sul posto, per capire i veri motivi delle tensioni ed evitare che si ripresentino. Per esempio, riceviamo continue informazioni secondo le quali molti tibetani feriti non ricevono assistenza negli ospedali cinesi. Era già successo dopo le manifestazioni dell'87 e dell'88. Ecco come il risentimento riaffiora anche a distanza di venti anni. Certi comportamenti contro la nostra gente hanno segnato le generazioni che oggi hanno 40, 50, 60 anni, ora è una nuova leva a essere trattata allo stesso modo e a ribellarsi: come si pensa di interrompere questo ciclo?".

    Domani (oggi ndr) lei incontra i gruppi che hanno organizzato qui in India la marcia verso il Tibet. Che cosa gli dirà?
    "Gli chiederò: che cosa andate a fare al confine? Otterrete così l'indipendenza? Come primo risultato mettete il governo indiano in grande difficoltà. L'India ha davvero fatto cose meravigliose per noi, ci ospita da sessant'anni, ha finanziato scuole, assistenza per la comunità tibetana. Al confine inoltre si scontreranno con i soldati cinesi: a quale fine? Il caso Tibet è difficile, delicato, irrisolvibile con decisioni emotive. E in questo clima di tensione è difficile prendere decisioni razionali".

    Secondo i cinesi il suo popolo è felice sotto il governo comunista, e che è solo lei a creare problemi.
    "Certo, dicono che l'unico problema è il Dalai Lama. Ma vede, io qui sono molto felice, non mi manca niente. In realtà il problema è il Tibet: ogni tibetano che vive all'estero, se viaggia nella nostra terra esce con l'impressione di una situazione terribile, quasi ogni famiglia dagli anni '50, '60, ha subito un lutto, trentamila tibetani sono venuti qui negli ultimi anni. E poi ci sono diverse opinioni tra gli stessi cinesi: alcuni pensano che se il Dalai non ci fosse più le cose sarebbero più facili, altri ritengono che sarebbero invece più difficili. Qual è la verità? In ogni caso non ho intenzione di morire presto...".
    Guarda in alto e ride. 

    La Repubblica, 19 marzo 2008.QUI.



    20 marzo 2008. 0:08


    Sangue e compassione l’illusione tibetana


    Ugo Leonzio




    Che il Tibet sia un paese immaginario inventato dagli occidentali un paio di secoli fa come rifugio dagli illuminismi e poi dalla metastasi della tecnologia dei consumi e dei viaggi «avventura» lo si può vedere dalla falsa coscienza con cui si manifesta con candeline accese e scritte Free Tibet in paesi che per cinquant’anni non hanno mai riconosciuto il Dalai Lama come capo di un governo in esilio. Il Premio Nobel per la Pace, offerto molti anni fa a Tenzin Gyatso, Oceano di Saggezza, è la prova di questa dimensione irreale in cui lo abbiamo collocato.

    Per chi compra un viaggio «avventura» Lhasa-Kailash-Samye, il Paese delle Nevi è popolato solo da lama persi in meditazioni profonde tra cime di cristallo traversate da mantra accompagnati dai suoni delle trombe sistemate in cima ai gompa. Chi non è lama o almeno un naljorpa itinerante abituato a meditare in «luoghi di potere», sacre caverne o cimiteri, non suscita alcun interesse nel viaggiatore sprofondato nel suo sonno mistico, motivato da un paesaggio di una bellezza profonda e struggente.

    Chi va a Dharamsala per ricevere insegnamenti da Sua Santità o iniziazioni di Kalachakra nelle varie parti del mondo in cui questo monaco forte, saggio e ironico cerca di tener viva l’immagine del suo paese, non si chiede che cosa sia veramente il Tibet, i suoi luoghi, la sua storia, affascinante e contraddittoria come tutte. Alimenta esclusivamente la sua ansia di spiritualità e di «compassione», dimenticando un famoso e sostanziale avvertimento del Budda Sakyamuni: «la via della spiritualità è quella che porta più velocemente all’inferno». Chogyam Trungpa, il più intenso e affascinante lama che provò per primo a spiegare il tantrismo tibetano in America, definì i suoi primi allievi, ansiosi di penetrare nei segreti insegnamenti del tantrismo Vajrayana allacciando proficui legami con divinità Pacifiche e Feroci, «pescecani spirituali». Non era un complimento.

    È probabile che qualcosa sia cambiato da allora, il buddismo si è diffuso ovunque e in modo imprevedibile, l’immagine di pace interiore che diffonde è un richiamo troppo forte, un antidoto contro la demoniaca avidità che trasforma la nostra mente in un cannibale afflitto da bulimia anoressica. I lama tibetani che oggi danno insegnamenti, conoscono molto meglio i loro allievi e le loro ansie di «altrove», la sete insaziabile di contemplazione & compassione.

    Associazioni non governative come Asia, fondata dal grande lama e insegnante dzog chen Namkhai Norbu, costruiscono in Tibet ospedali e scuole dove si insegna la lingua tibetana e mantengono viva, in centri di studio e di meditazione sparsi in tutte le parti del mondo, la tradizione spirituale e le profonde pratiche del tantrismo tibetano che nel Paese delle Nevi rischiano di scomparire.

    Eppure, cinquant’anni dopo la drammatica fuga in India del Dalai Lama e i tragici, sanguinosi fatti di questi giorni a Lhasa, il Tibet è rimasto com’era, un paese che continua a essere un sogno, un’utopia mistica ben radicata nelle mente dei suoi sostenitori e che per questo sembrerebbe possedere meno speranze di ritrovare la sua identità della Birmania, che non è un mito ma un territorio buddista con infinite pagode, monaci con tonache suggestive, stupa d’oro, un regime repressivo, eroina, turisti ecc.

    Il Tibet, bod come lo chiamano i tibetani, è diverso. Il Tibet è unico. Anche se privato non solo del suo futuro ma anche del suo passato, anche se rischia di essere inghiottito pericolosamente dal «Paese delle nevi», un sogno disegnato genialmente dal mistico pittore russo Nicholas Roerich e costruito con infinita quanto involontaria perizia dalle geniali spedizioni di Giuseppe Tucci nello Zhang Zhung e da una miriade di film, documentari, spedizioni, scalate, viaggi, libri ed estasi pacifiche e feroci, bod sopravviverà.

    La sua malìa incanterà anche i cinesi quando l’ansia di forza e di potenza passerà la mano perché il mutamento è la legge dell’esistenza. Questo insegnamento è probabilmente il primo che sia stato dato dal Buddha, nel Parco dei Daini di Kashi, in riva al Gange, insieme alla constatazione che la vita è dolore. Questo piccolo seme di infinita potenza, trasportato negli infiniti deserti tibetani traversati solo da cumuli di nuvole bianche, ha trasformato il Tibet più di qualsiasi altro paese in cui questo insegnamento sia giunto e abbia attecchito.

    Ma non sono stati i selvaggi tibetani, di cui si diceva che fossero predoni, assassini e perfino cannibali (sebbene uno dei primi re ricordati dalle cronache antiche, Podekungyal, vivesse all’epoca dell’imperatore cinese della dinastia Han Wu­ti, un paio di secoli prima di Cristo) a svilupparlo. È stato il paesaggio, la profondità dell’orizzonte, l’altitudine che affila l’ossigeno fino a farlo sparire, a creare le Divinità pacifiche e feroci che dominano l’immaginario delle pratiche tantriche rendendolo diverso da tutte le altre forme buddiste di «pianura».

    Le religioni nascono nei deserti ma, si sa, niente è più diverso dei deserti. Solo il silenzio li apparenta. Il silenzio è il luogo privilegiato delle apparizioni. Nessuna pratica mistica è più ricca di apparizione del buddismo tibetano. È un’apparizione incessante di divinità pacifiche e ostili, consolanti o persecutorie, assetate di sangue e di sciroppi di lunga vita, quasi tutte descritte scrupolosamente nel classico Oracles and Demons of Tibet da Réne De Nebesky-Wojkowitz (Tiwari’s Pilgrim Book House). Divinità che cavalcano eventi naturali, furori della natura, venti travolgenti, valanghe, instabili abissi e immobili cime, laghi parlanti e salati. Erano queste apparizioni che davano forma alle pratiche e agli insegnamenti esoterici e non il contrario.

    Così l’aspetto e la forma di queste apparizioni hanno finito per dividere in tre gruppi (e svariate scuole) l’insegnamento buddista, anche se la leggenda vuole che il monaco Sakyamuni fin dall’inizio desse insegnamenti semplici ad alcuni ed altri, più segreti, esoterici, occulti a quelli che erano in grado di capirli.

    Tutti, comunque, conducevano sul sentiero della liberazione. La differenza consisteva nel tempo e nel numero delle rinascite necessarie per il risveglio. Gli insegnamenti segreti permettevano un risveglio istantaneo, nel corso di una sola vita. Per quelli comuni, bisognava armarsi di pazienza. Decine se non centinaia di nascite e rinascite, di transiti tra vita e morte e tra morte e vita (secondo la legge del karma, cioè di causa ed effetto) erano appena sufficienti per sbirciare fuori dai confini del samsara, il regno della sofferenza in cui ci troviamo adesso (di questo, pochi credo possano dubitare e anche chi dubita, perché baciato dalla fortuna, da un lifting ben riuscito o da una fortunata avventura nel regno dei trapianti svizzeri) farebbe meglio ad aspettare le sorprese immancabili e per nulla consolanti del post mortem. Le pratiche che riguardano questo avvenimento cruciale è il cuore dell’insegnamento del tantrismo tibetano e non appartiene ad alcuna altra scuola buddista.

    Per i tibetani e soprattutto per il loro celebre Bardo Thos grol, meglio conosciuto come Libro dei morti tibetano, quando il nostro corpo smette di funzionare e si dissolve, noi non andiamo «a far terra per ceci», ma per la durata di sette settimane viaggiamo in un territorio incredibilmente frustrante, crudele e ingannatore. Il nostro grasso inconscio. Tutto il rimosso, il non detto, il negato ci appare interpretato dalla figure sardoniche, irridenti, affamate del coloratissimo pantheon che soggiorna nei regni oltremondani della nostra mente che scomparirà solo alla fine di questo viaggio estremo.


    Il libro dei morti tibetano
    dà a tutti le istruzioni per uscire senza danni da questa imbarazzante situazione e in modo più o meno onorevole. Se riconosciamo che quelle spaventose visioni che ci inseguono, ci minacciano e ci terrorizzano mettendo davanti ai nostri occhi la vera identità di chi siamo stati da vivi, sono il prodotto (illusorio) della nostra mente, istantaneamente l’incubo sparisce e in un raggio glorioso di arcobaleno torniamo ad essere quello che siamo sempre stati, senza mai saperlo. Saggezza, luce, onnipotente vuoto da cui ogni forma, ogni pensiero, ogni pensiero deriva in una instancabile gioco d’illusione. I tibetani, lama, monaci, gente comune hanno questa certezza che potrebbero condividere con molti dei fisici quantistici che studiano la «teoria delle stringhe». Tutta la realtà è il riflesso iridescente, ma vuoto, del nulla. Niente ha consistenza, niente è «reale». Il dolore, la sofferenza nascono quando non si riconosce questo stato che imprigiona la nostra mente, privandola della sua perfezione felice.

    Allora perché ribellarsi a Lhasa? Perché provocare un bagno di sangue e moltiplicare il dolore se tutto è illusione?

    Attaccarsi alla propria casa, al proprio paese non solo è inutile ma può essere una forma di avidità che ci proietterà, dopo morti, in uno dei Sei Loka, i regni della sofferenza che costituiscono il samsara, gravido delle nostre passioni.

    C’è qualcosa che divide profondamente l’insegnamento buddista e le sue scuole principali, Hinayana, Mahayana e Vajrayana. La compassione.

    Nell’Hinayana si persegue il risveglio da soli. La pratica è etica, morale, devozionale. Ciascuno percorre da solo il Sentiero, essenziale è liberarsi. Mahayana e Vajrayana, invece, mettono al centro degli insegnamenti la Compassione, che vuol dire non uscire dal samsara finché anche il più piccolo, il più insignificante degli insetti non sia stato liberato. Il risveglio di tutti gli esseri è il punto essenziale. È la compassione a condurre, prima delle preziose pratiche occulte, sul sentiero irreversibile del Risveglio. Irreversibile, perché anche se l’illusione ci trascina nel sangue, non ci permette mai di scordare l’irrealtà di quello che stiamo vivendo.

    C’è un insegnamento più prezioso di questo?



    Pubblicato il: 19.03.08. L'Unità: qui .