giovedì 28 febbraio 2008


DEMOCRAZIA [2]


   La società civile


Quando parliamo di "società civile" abbiamo in mente organizzazioni di persone che mettono energie e tempo per raggiungere obiettivi comuni, centri di ricerca e associazioni nazionali e internazionali, che si impegnano concretamente nello sviluppo economico e sociale, promuovendo informazione e interventi attivi su temi ispirati alla tutela dei "diritti umani" e, in particolare, alla pace, al superamento di disuguaglianze inique, come la povertà insostenibile, al benessere individuale e sociale. Paul Ginsborg a questo proposito scrive:


"L'espressione società civile è usata oggi più frequentemente in senso lato, a indicare tanto uno spazio analitico quanto una prassi associazionistica. Nella prima accezione (spazio analitico), la società civile è spesso descritta come una vasta area intermedia tra la sfera privata, l'economia e lo stato. Si pone in relazione con il governo, le imprese, la vita familiare, restandone però distinta. Nella seconda accezione (prassi associazionistica), la società civile è caratterizzata da una miriade di organizzazioni spontanee che si formano e si sciolgono autonomamente - circoli, club, reti di base, movimenti e iniziative analoghe."


Ma accanto a questa visione favorevole Ginsborg non manca di accennare a una "visione più disincantata", che tiene conto del fatto che "costruire la società civile richiede particolari doti di pazienza e tenacia nonché un'innata cultura della democrazia. Spesso una o più di queste qualità sono assenti." Conosciamo bene i difetti e i limiti che possono inficiare le organizzazioni della società civile, dai problemi della rappresentanza alla chiarezza degli intenti e degli interessi, tuttavia il ruolo e i contributi della società civile sono fecondi e positivi. E' importantissimo che gli individui si sottraggano "almeno per una parte piccola ma significativa del loro tempo, a vite eccessivamente privatizzate" e si dedichino a "creare cerchie più ampie di cittadini, di diverse convinzioni politich, critici, informati e partecipi che dialoghino con i politici su una determinata base di parità e di mutuo rispetto. Cercano, in altre parole, di dar vita a un sistema di connessioni."





Paul Ginsborg, La democrazia che non c'è, Einaudi, pagg. 61-62; 69-70.  -  Democrazia [1]


lunedì 25 febbraio 2008

VALORI E DIRITTI [3]



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      La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la sua mancata realizzazione



LA SFERA DEI PRINCIPI TRADITA DALL’OCCIDENTE


di Roberto Esposito


 


 


   Che rapporto passa tra diritto e valore? Possono, i diritti, i  quanto prodotti storici, incarnare un valore universale, oppure sono destinati a restare in un ambito, appunto giuridico, diverso e distante da quello dell’etica e, tanto più, della teologia?


   Il diritto è interno, confinante o esterno, alla sfera della giustizia? Domande, queste, cui l’intera tradizione filosofica da sempre cerca di rispondere, senza mai pervenire a una conclusione univoca. Se la scuola giusnaturalista - nata nella prima età moderna, ma ripresa da autori anche contemporanei come Leo Strauss - ha individuato nella natura la fonte di diritti universali forniti di valore eterno, la concezione positivistica ha ricondotto la creazione del diritto alla sola legislazione statale. E tuttavia, nonostante questa profonda differenza di principio, le due linee interpretative hanno conosciuto più di un punto di intreccio e di sovrapposizione - a dimostrazione del fatto che la questione del valore permanente della norma giuridica non poteva essere risolta nel flusso del processo storico. Anzi si può dire che il diritto positivo, come ancora lo concepiamo, recepisca al suo interno – secolarizzandole - le esigenze di universalismo implicite nella tradizione giusnaturalistica.


   La Dichiarazione del 1789, estendendo a ogni cittadino i diritti politici, traduce sul piano reale i principi di libertà e uguaglianza presupposti dai teorici del diritto naturale. Successivamente, già dalla metà del XIX secolo, vengono proclamati altri diritti fondamentali indisponibili, cioè vincolanti per lo stesso Stato che li pone in essere.


   Ultima tappa di questo processo di universalizzazione giuridica è segnata dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, formulata alla fine della seconda guerra mondiale, che assegna a ogni persona, a prezia scindere da ogni altra qualificazione, diritti non soltanto civili e politici, ma anche sociali, includendo all’interno della sfera protetta tutte le minoranze prima discriminate. Il concetto, sempre più esteso e ormai accettato in tutti i paesi democratici, di “diritti umani” sembra concludere questo lungo percorso, portando il diritto positivo allo stesso obiettivo etico presupposto dal giusnaturalismo: quelle medesime prerogative che lì erano desunte da un ordine naturale non soggetto a mutamento storico appaiono adesso prodotte da una storia che ha cancellato ogni differenza pregiudiziale, di tipo etico, sessuale, religioso, tra tutti gli esseri umani. La saggezza della storia ha così eguagliato le promesse della natura. Il diritto può finalmente ambire a farsi giusti- prezia, a realizzare il più universale dei valori - quello dell’uguaglianza tra tutti gli uomini della terra.


   Questo, almeno, è il racconto autolegittimante ampiamente diffuso in tutto il mondo occidentale.  Basta uno sguardo al quadrante internazionale per accorgersi che le cose non stanno affatto così. Che il diritto umano primario - quello alla vita - è continuamente smentito da infinite morti per fame, malattia, guerra. Per non parlare di libertà e di uguaglianza.


   Da dove origina questo scarto scandaloso tra dichiarazioni e realtà, tra proclami umanitari e violenza omicida, tra ricchezze senza pudore e povertà senza fondo? La prima risposta a tale domanda fa capo alla inesistenza di un’istituzione internazionale dotata di capacità coattiva – cioè in grado di imporre attraverso la forza il rispetto dei diritti umani laddove vengano violati. Ma una contraddizione ancora più cospicua, perché interna allo stesso dispositivo giuridico moderno, risiede proprio nella astrattezza di termini come “soggetto” o “persona” - incapaci di dare forma e voce alla realtà materiale, corporea, di individui inassimilabili nella identità di uno stesso genere, irriducibili a una categoria generale.


   Perché, al contrario di quanto si poteva pensare, con la crisi profonda degli Stati nazionali - che hanno funzionato da involucri immunitari almeno per larghe fasce di popolazione - le dinamiche di globalizzazione hanno reso ancora più sensibili quelle differenze di carattere biologico che l’universalizzazione del diritto ha immaginato di ingabbiare nelle sue paratie formali.


   Una ulteriore scossa all’edificio giuridico moderno è venuta dallo sviluppo incontenibile della tecnica, ormai penetrata profondamente nella vita umana, capace di influire potentemente sui processi della nascita, della morte e della salute, e dunque incontenibile nelle griglie necessariamente generali della legge. Da qui il conflitto frequente tra soggetti di diritto contrapposti come possono essere madri e figli, giovani e anziani, uomini e donne. Rispetto ai quali è difficile - e forse controproducente - immaginare una legislazione senza falle, capace di risolvere, in nome di una legge naturale, rivelata o anche positiva, casi drammatici o altamente problematici, sui quali non esistono criteri validi per sempre, prontuari di etica, convinzioni inconcusse. In questo orizzonte complesso - in cui la sofferenza dell’uno, o dell’una, può doversi misurare con quella dell’altro - l’unico atteggiamento possibile è quello dell’attenzione e della comprensione, come ha scritto con grande sensibilità Francesco Merlo su questo giornale.    


   Probabilmente il diritto può accostarsi al valore, può approssimarsi alla Giustizia, solo sapendo di non poterlo fare mai del tutto. Ammettendo, e accettando, la propria imperfezione etica – manifestando il proprio limite e il proprio punto cieco. Anche questa - diceva Max Weber - è una scelta. La più difficile delle scelte. [ La Repubblica, venerdì 22 febbraio 2008 ]

domenica 24 febbraio 2008


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VALORI E DIRITTI [2]


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     Valori e diritti di Norberto Bobbio


 


Presso gli antichi gran parte dell’etica si risolveva in una trattazione delle virtù. Basti ricordare l’Etica nicomachea di Aristotele, che ha fatto testo per secoli. Nel nostro tempo un simile tipo di trattazione è quasi del tutto scomparso. I filosofi morali oggi discutono, sia sul piano analitico sia su quello propositivo, di valori e di scelte, e della loro maggiore o minore razionalità, nonché di regole o norme, e, conseguentemente, di diritti e doveri


Il tema delle virtù e quello delle leggi sono continuamente intrecciati, anche nell’etica antica. Alle radici della nostra tradizione morale, e come fondamento della nostra educazione civile, ci sono tanto l’ostensione delle virtù come tipi o modelli di azioni buone, quanto la predicazione dei Dieci Comandamenti, in cui l’azione buona non è additata ma prescritta


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È destino dell’epoca nostra che proprio i valori supremi e sublimi sian divenuti estranei al grande pubblico per rifugiarsi nel regno extramondano della vita mistica.  Max Weber. Il lavoro intellettuale come professione 1919



Chi dice valore, vuole far valere e imporre. Le virtù vengono praticate; le norme applicate; i comandi eseguiti; ma i valori vengono posti e imposti. Carl Schmitt. La tirannia dei valori 1967



Trasformare i diritti fondamentali in valori fondamentali significa mascherare teleologicamente i diritti, fino al punto di mistificare il ruolo diverso. Jurgen Habermas. Fatti e norme 1992



La dignità umana e i diritti umani devono essere presentati come valori che precedono qualsiasi giurisdizione statale. Joseph Ratzinger. Senza radici 2004



[ La Repubblica, venerdì 22 febbraio 2008 ]


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Continuo a postare parti della sezione dedicata dalla Repubblica alla distinzione tra valori, principi e diritti, e virtù. Bobbio dice il vero quando afferma che la trattazione delle virtù, oggi, è quasi scomparsa. Non del tutto, appunto. Nella sezione "virtù" di questo blog ho indicato due trattati sulle virtù, secondo me pregevoli: qui .

sabato 23 febbraio 2008


VALORI E DIRITTI [1]


   


   Valori e diritti nei conflitti della politica


 di Gustavo Zagrebelsky




Non si parla mai tanto di valori, quanto nei tempi di cinismo. Questo, a mio parere è uno di quelli. Le discussioni e i conflitti sulle questioni che si dicono “eticamente sensibili” (come se le questioni, non gli esseri umani, fossero sensibili) sono un’ostentazione di valori. Tanto più perentoriamente li si mette in campo, tanto più ci si sente moralmente a posto. Che cosa sono i valori? Li si confronti con i principi. Principi e valori si usano, per lo più, indifferentemente, mentre sono cose profondamente diverse. Possono riguardare gli setssi beni: la pace, la vita, la salute, la sicurezza, la libertà, il benessere, eccetera, ma cambia il modo di porsi di fronte a questi beni. Mettendoli a confronto, possiamo cercare di comprendere i rispettivi concetti e, da questo confronto, possiamo renderci conto che essi corrispondono a due atteggiamenti morali diversi, addirittura, sotto certi aspetti, opposti.


Il valore, nella sfera morale, è qualcosa che deve valere, cioè un bene finale che chiede di essere realizzato attraverso attività a ciò orientate. E un fine, che contiene l’autorizzazione a qualuneu azione, in quanto funzionale al suo raggiungimento. In breve, vale il motto: il fine giustifica i mezzi. Tra l’inizio e la conclusione dell’agire “per valori” può esserci di tutto, perché il valore copre di sé, legittimandola, qualsiasi azione che sia motivata dal fine di farlo valere. Il più nobile dei valori può giustificare la più ignobile delle azioni: la pace può giustificare la guerra, la vita, la morte, eccetera. Perciò chi molto sbandiera i valori, spesso è un imbroglione. La massima dell’etica dei valori, infatti, è: agisci come ti pare, in vista dei valori che affermi. Che poi il fine sia raggiunto, a quale prezzo, è un’altra questione e, comunque, la si potrà esaminare solo a cose fatte.


Se, ad esempio, una guerra preventiva promuove pace, e non alimenta altra guerra, lo si potrà stabilire solo ex post. I valori, infine sono “tirannici”, cioè contengono una propensione totalitaria che annulla ogni ragione contraria. Anzi, i valori stessi si combattono reciprocamente, fino a che uno e uno solo prevale su tutti gli altri. In caso di concorrenza tra più valori, uno di essi dovrà sconfiggere gli altri poiché ogni valore, dovendo valere, non ammetterà di essere limitato o condizionato da altri. Le limitazioni e i condizionamenti sono un almeno parziale tradimento del valore limitato o condizionato. Per questo, si è parlato di “tirannia dei valori” e, ancora per questo, chi integralmente si ispira all’etica del valore è spesso un intollerante, un dogmatico.


Il principio, invece, è qualcosa che deve principiare, cioè un bene iniziale che chiede di realizzarsi attraverso attività che prendono da esso avvio e si sviluppano di conseguenza. Il principio, a differenza del valore che autorizza ogni cosa, è normativo rispetto all’azione. La massima dell’etica dei principi è: agisci in ogni situazione particolare in modo che nella tua azione si trovi il riflesso del principio. Per usare un’immagine: il principio è come un blocco di ghiaccio che, a contatto con le circostanze della vita, si spezza in molti frammenti, in ciascuno dei quali si trova la stessa sostanza del blocco originario. Tra il principio e l’azione c’è un vincolo di coerenza (non di efficacia, come nel valore) che rende la seconda prevedibile. Infine, i principi non contengono una necessaria propensione totalitaria perché, quando occorre, quando cioè una stessa questione ne coinvolge più d’uno, essi possono combinarsi in maniera tale che ci sia un posto per tutti. I principi, si dice, possono bilanciarsi. Chi agisce “per principi” si trova nella condizione di colui che è sospinto da forze morali che gli stanno alle spalle e queste forze, spesso, sono più d’una. Ciascuno di noi aderisce, in quanto principi, alla libertà ma anche alla giustizia, alla democrazia ma anche all’autorità, alla clemenza e alla pietà ma anche alla fermezza nei confronti dei delinquenti: principi in sé opposti, ma che si prestano a combinazioni e devono combinarsi. Chi si ispira all’etica dei principi sa di dover essere tollerante e aperto alla ricerca non della giustizia assoluta, ma della giustizia possibile, quella giustizia che spesso è solo la minimizzazione delle ingiustizie.


Passando ora da queste premesse in generale alle loro conseguenze circa il modo di legiferare sulle questioni “eticamente sensibili” di cui si diceva all’inizio, avvicinandoci così alle discussioni odierne sul tema dell’aborto, qui prese a esempio (ma ci si potrebbe riferire anche ad altro, come l’eutanasia, la fecondazione assistita, ecc.), si può stabilire un’altra differenza a seconda che si adotti l’etica dei valori o quella dei principi. Nel primo caso (il caso del valore), saranno appaganti le norme giuridiche che proteggono in assoluto il bene assunto come valore prevalente, e inappaganti le norme giuridiche che danno rilievo, cercando di conciliarli relativizzandoli l’uno rispetto all’altro, a beni diversi. Possiamo parlare, per gli uni, di assolutismo etico-giuridico; per i secondi, di pluralismo (non certo, evidentemente, di relativismo etico, equivalente a indifferenza morale).


Nell’assolutismo, si trovano a casa propria tanto coloro che parlano dell’aborto, né più né meno, come di un assassinio (oggi si dice “feticidio”), quanto coloro che ne parlano come diritto incondizionato. Assassinio e diritto sono due modi per dire il riconoscimento assoluto, come valori, della vita o della libertà. I primi, in nome del valore prevalente della vita del concepito, si disinteressano di tutto il resto: la salute e la vita stessa della donna, messa in pericolo dagli aborti illegali e clandestini; i secondi, in nome dell’autodeterminazione della donna come valore prevalente, si disinteressano della sorte del concepito. Costoro, pur su fronti avversi, si muovono sullo stesso terreno e possono farsi la guerra. Ma, tutti, si troveranno insieme, alleati contro coloro che, ragionando diversamente, non accettano il loro assolutismo.


Questo ragionar diversamente, cioè ragionar per principi, è certo assai più difficile, ma è ciò che la Costituzione impone di fare: la Costituzione, ciò che ci siamo dati nel momento in cui eravamo sobri, a valere per i momenti in cui siamo sbronzi. Orbene, la Costituzione, attraverso l’interpretazione della Corte costituzionale, dice che nella questione dell’aborto ci sono due aspetti rilevanti, due esigenze di tutela, due principi: l’uno, a favore  del concepito la cui situazione giuridica è da collocarsi, “con le particolari caratteristiche sue proprie”, tra i diritti inviolabili della persona umana, il  diritto alla vita; l’altro, a favore dei diritti alla vita e alla salute, fisica e psichica, della madre, che può essere anch’essa “soggetto debole”. Quando entrambe le posizioni siano in pericolo, occorre operare in modo di salvaguardare sia la vita e la salute della madre, sia la vita del concepito, quando ciò sia possibile. Quando non è possibile, cioè quando i due diritti entrano in collisione, deve prevalere la salvaguardia della vita e della salute della donna, “che è già persona”, rispetto al diritto alla vita del concepito, “che persona non è ancora”. Dunque: si parla di diritti della donna e del concepito, ma non si parla mai di aborto come (dicono i giuristi) “diritto potestativo” della donna, né, al contrario, di dovere di condurre a termine la gravidanza. Ci si deve districare tra le difficoltà e non ci sono soluzioni a un solo lato. Non interessa, ora, se la legge 194 bene abbia svolto il suo compito. Interessa il modo di ragionare e di porsi di fronte a questo “problema grave”, un modo non intollerante, carico di tutte le possibili preoccupazioni morali, aperto alla considerazione di tutti i principi coinvolti. Se nel dibattito pubblico, si usano quelli che si sono detti “esangui fantasmi in lotta per diventare i tiranni unici delle coscienze”, cioè i valori, la legge che ne verrà sarà solo sopraffazione.


C’è poi un altro aspetto della distinzione valore-principi, importante per il legislatore. Il ragionare per valori è compatibile, anzi esige leggi tassative: tutto o niente, bianco o nero, lecito o illecito, vietato o permesso. Il ragionar per principi spesso induce la legge a fermarsi prima, rinunciare alle regole generali e astratte e a rimettere la decisione ultima alla decisione responsabile di chi opera nel caso concreto. Prendiamo la discussione odierna circa la sorte degli “immaturi”, i nati diverse settimane prima del tempo, portatori di deficienze nello sviluppo di organi e funzioni destinate a pesare più o meno pesantemente sull’esistenza futura, sempre che ci sia. C’è un qualunque legislatore che possa ragionevolmente imporre una regola assoluta circa il che fare? Per esempio, la rianimazione sempre e a ogni costo, senza considerare nient’altro? Solo la cieca assunzione della vita come valore assoluto, della vita come mera materia vivente, potrebbe giustificarla. Ma sarebbe, in molti casi, un arbitrio. Ogni caso è diverso dall’altro e i rigidi automatismi legali, quando si tratta di principi da far valere in situazioni morali di conflitto, si trasformano in sopraffazione.


C’è un dialogo classico tra Alcibiade e Pericle, riferito da Senofonte, che ci fa pensare. Il discepolo chiede al maestro, semplicemente: che cosa è la legge? Pericle risponde: ciò che l’assemblea ha deciso e messo per iscritto. Anche la sopraffazione, decisa e messa per iscritto? No, questa non sarebbe legge. È legge solo quella che riesce a “persuadere” tutti quanti, il resto è solo violenza in forma legale. Chi professa valori assoluti non si propone di persuadere ma di imporre. Chi ragiona per principi può sperare, districandosi nella difficoltà delle situazioni complicate, di essere persuasivo; naturalmente a condizione che si sia ragionevoli, non fanatici. [ La Repubblica, venerdì 22 febbraio 2008 ]


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Sono fra coloro che usano quasi indifferentemente le parole "valori" e "principi", per questo ho riconosciuto immediatamente l'utilità teorica e pratica delle argomentazioni di Zagrebelsky. Non lo farò più, tanto più che spesso la scarsa precisione è dovuta a una forma di pigrizia intellettuale. La chiarezza delle idee e l'accordo sui significati da assegnare alle parole, soprattutto a parole chiave, sono un onesto rimedio alla confusione e alla conflittualità del periodo che stiamo vivendo.

giovedì 21 febbraio 2008

LAICITA'  [6]


En Italie, la science humilie le pape

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Robert Maggiori professeur de philosophie, journaliste à Libération.


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Il y a mille raisons, ... ci sono mille ragioni, politiche, morali, perfino psicologiche, per stabilire un legame tra Silvio Berlusconi et Nicolas Sarkozy. Stesso populismo, stesso "autocratismo", stesso istrionismo, stesso gusto immoderato per la scena, stesso modo di trattare in piccolo personale collaboratori e alleati, stessa incultura letteraria e filosofica - lo si immagina con un libro in mano? -, stessa abilità retorica, stesso modo di esibire la ricchezza... Ma un punto in comune merita di essere sottolineato in special modo: entrambi divorziati e padri di bambini nati da madri diverse - situazione che la Santa Chiesa romana approva pochissimo -, mettono il medesimo ardore nell’affermare le virtù della religione e nello squalificare la laicità.



In Francia - «République indivisible, laïque, démocratique et sociale»,  non si sono avuti milioni di persone nelle strade dopo che il loro presidente ha dichiarato che l'educatore non potrà mai sostituire il pastore o il curato, indicando con ciò che non c'è morale se non religiosa. In Italia, si sono avuti dei manifestanti, un vero baccano, con petizioni, dibattiti burrascosi in televisione, interventi in Parlamento, centinaia di articoli, migliaia di post sui blog... Per difendere la licità? No. Per garantire la libertà di parola del... papa, terribilmente minacciato! In Francia, ci sono ragioni per preoccuparsi delle parole del Presidente. In Italia, ci si domanda se dichiararsi atei o laici non sarà piuttosto passibile di sanzioni penali. [ ... continua QUI ]

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Avevo voglia di parlare di Sarkozy da un po' di tempo. Non mi piace il suo modo di fare politica. La Francia non è l'Italia, certo, ma è legittimo che i cittadini/e dell'Unione Europea si interessino alle diverse politiche nazionali. In particolar modo di Sarkozy non mi è piaciuto il discorso tenuto a San Giovanni in Laterano in occasione della sua visita al Papa di Roma nel lontano dicembre 2007. Il testo integrale lo offre, meritoriamente, Papa Ratzinger blog:

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Dalla lettura diretta ognuno/a potrà farsi un'idea personale. Io sono preoccupata, perché non vorrei che la chiarissima iperbole del giornalista di Libération diventase meno iperbole e più realtà. Tempi duri per la separazione tra Stato e Chiesa, ahimè!


Aggiornamento 22 febbraio 2008. Ma c'è dell'altro sul novello Enrico IV, o Napoleone (a scelta), e sul suo modo di fare le leggi, peraltro sottoscritte dal Parlamento francese. Non so, giudichi ognuno, dopo attenta lettura.

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Parigi. Una legge copiata dalla Germania di Hitler prolunga le pene all'infinito e retroattivamente. Oggi il Consiglio costituzionale decide


Anna Maria Merlo - Il Manifesto, 21 febbraio 2008


Il Consiglio costituzionale bloccherà la promulgazione, nella Francia di Sarkozy, di una legge copiata dalla Germania di Hitler? Oggi, il Consiglio costituzionale esamina la nuova legge - votata dal parlamento il 6 febbraio scorso - sulla «pena dopo la pena».
I condannati ad almeno quindici anni di carcere per reati considerati particolarmente feroci, come la pedofilia, dopo aver scontato la pena non saranno più rimessi in libertà, ma «per ragioni di sicurezza» rinchiusi in centri «socio-medico-giudiziari». La ministra della giustizia, Rachida Dati, vuole che questa legge sia reatroattiva, cioè venga applicata a persone che stanno scontando adesso pene di più di quindici anni. Sarà questo aspetto della legge di cui l'alta corte esaminerà la costituzionalità. [...]

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Le Conseil constitutionnel a partiellement validé la loi sur la rétention de sûreté [La Corte Costituzionale ha parzialmente convalidato la legge sulla ritenzione di sicurezza]


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Les "Sages" ont validé le principe de l'enfermement pour une durée indéterminée de criminels dangereux après l'exécution de leur peine. Il ont aussi écarté le principe de non rétroactivité. Néanmoins, il ont réduit le champ d'application de la loi. 22.02 à 08h51 - Nouvel Observateur


La décision du Conseil constitutionnel (format pdf) Le texte de loi (pdf) Une référence hasardeuse du député Fenech Edition spéciale "La justice sous pression(s)"


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Rétention de sûreté : une référence hasardeuse [Ritenzione di sicurezza: una referenza azzardata]


Extrait du Journal Officiel allemand daté du 27 novembre 1933. La loi "contre les récidivistes dangereux, et sur les mesures disciplinaires pour améliorer la sécurisation" est paraphée par Adolf Hitler

Le Canard Enchaîné égratigne le député UMP et rapporteur de la commission des lois, Georges Fenech, à propos du texte adopté le 6 février au Parlement. Fenech avait évoqué une loi allemande comparable, paraphée en 1933 par... Adolf Hitler. 20.02 à 17:16


3 questions à... Georges Fenech : "Pourquoi devrais-je regretter ?" Le texte de loi (pdf) Les socialistes saisissent le Conseil constitutionnel


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La psychiatrisation de la justice une bonne chose ? [La psichiatrizzazione della giustizia è una buona cosa?]


(AFP)<br/>

De la loi sur la rétention de sûreté à la volonté de Rachida Dati qu'il y ait un psychologue dans le jury de sélection au concours d'entrée de l'Ecole nationale de la magistrature, la psychiatrie prend une place de plus en plus grande dans le domaine judiciaire. Est-ce une bonne chose ? Nouvelobs.com a interrogé des personnalités de tous bords sur le sujet. 17.02 à 11:12



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Clericalismo in Spagna


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Spagna L'offensiva della destra clericale in vista del voto del 9 marzo



Madrid. La chiesa all'attacco di tutto quello che il governo socialista ha fatto in quattro anni. È una crociata dai toni tardo-franchisti, un assordante «frusciare di sottane» che invade la scena politica


Maurizio Matteuzzi - Il Manifesto, 21 febbraio 2008




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Madrid. L'emittente radiofonica della Conferenza episcopale spagnola, la seconda del paese per ascolti, guida la strategia dei cattolici oltranzisti contro gay e «rossi». E Zapatero? È il diavolo in persona. Ora le intemperanze verbali di Jiménez de Losantos, star dell'etere, fanno arrabbiare anche il re Juan Carlos

Oscar Guisoni - Il Manifesto, 21 febbraio 2008

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Ci sono campagne elettorali più o meno odiose di altre. Non penso che i toni violenti e ingiuriosi diventino accettabili in virtù della libertà di parola, che non è ipso facto libertà di offendere e vilipendere chicchessia, ancor meno sotto l'ombrello protettivo di una religione (che in casi del genere, ovviamente, è usata come strumento improprio di battaglia politica).

martedì 19 febbraio 2008

DEMOCRAZIA


"La democrazia è un sistema politico mutevole e insieme vulnerabile. Per rivitalizzarla oggi è indispensabile connettere rappresentanza e partecipazione, economia e politica, famiglia e istituzioni."


Paul Gingsborg, docente di Storia dell'Europa contemporanea a Firenze, ha scritto un paio d'anni fa "La democrazia che non c'è", un librino smilzo in cui ragiona intorno alla necessità di adeguare la democrazia ai problemi posti dall'attuale momento storico e di proteggerne i valori più preziosi. Dopo aver analizzato la "democrazia come sistema politico", Gingsborg individua le cause  non esclusivamente politiche della crisi di questo periodo.


"Uno dei fattori più importanti è l'economia.  Gran parte parte della letteratura sulla democrazia, in particolare quella di stampo liberale, condivide la tesi che le evidenti disparità di ricchezza e potere tra i singoli cittadini nelle moderne democrazie abbiano scarso peso sulla qualità di queste ultime. E' vero esattamente l'opposto. Se i cittadini godono di pari diritti nella sfera politica ma vivono manifeste sproporzioni in quella economica, la democrazia rischia di uscirne profondamente incrinata. Spesso le democrazie di più lunga data vengono definite "mature". Ma se, come nel caso americano, sono caratterizzate da drastiche diseguaglianze economiche che si ripercuotono direttamente e incisivamente sulla democrazia politica attraverso meccanismi quali i finanziamenti elettorali e le lobby imprenditoriali, meglio forse allora definirle "troppo mature". [ pag. 97-98]


"Democrazia e genere. Oggi 'L'asservimento delle donne' è uno dei testi di John Stuart Mill più ampiamente tradotti, discussi e studiati. Dietro questo rinnovato interesse s cela il pressante interrogativo circa il rapporto tra genere e democrazia. L'atto di reinventare e, si potrebbe dire, rianimare la democrazia è ad esso intimamente connesso. [...] Il genere non si limita a permeare la sfera politica ed economica, ma sotto molti aspetti ne determina la specifica forma e configurazione." [pag. 115]


Un paio di citazioni, con tutti i difetti delle citazioni staccate dal contesto, solo per riflettere su due fattori che limitano la cultura democratica. Un altro fattore di crescente complessità è l'attenzione che le singole persone riservano ai temi di pubblico interesse, e la possibilità concreta di partecipare. La tecnologia della rete, con i suoi rischi e i suoi vantaggi, può essere uno strumento efficace per superare le difficoltà oggettive di una rappresentanza che la vastità delle nostre società rende necessariamente indiretta. Rappesentanza particolarmente indiretta in queste elezioni italiane che stanno sancendo una distanza tra cittadini e loro rappresentanti tanto abissale quanto incolmabile.


 A proposito di Internet


Life must go on in Gaza and Sderot


JERUSALEM (Reuters) - "Peace man" is from the Gaza Strip. "Hope man" lives across the Israeli border in Sderot.




Both yearn for an end to violence and have grand dreams of nurturing Palestinian-Israeli friendship and promoting peace.

But since Hamas Islamists seized control of Gaza in June and Israel shut its frontier, the two have been unable to meet, let alone work on plans for a Gaza-Sderot children's summer camp. So they decided to keep their friendship alive in cyberspace by creating a joint blog in English that explores daily life on both sides of Israel's conflict with Hamas and pushes for an end to the violence.


"We wanted to open our lives and suffering to the world and show this isn't just a political issue, there are real people involved," Hope man, a 42-year-old father of three, told Reuters by telephone.


"We wanted to show there are ordinary people who are looking for alternatives to violence."


Both bloggers keep their identities secret for fear of harassment or perhaps worse in Gaza, where dialogue might be viewed as collaboration. They use the "Peace man" and "Hope man" nicknames on their site, www.gaza-sderot.blogspot.com. [...]


( Editing by Robert Woodward - QUI - La Stampa, 19 febbraio 2008: Un blog dove i confini non contano - QUI )


martedì 12 febbraio 2008

LAICITA'  [5]



La vignetta di Giannelli - Dal Corriere della Sera di martedì 12 febbraio


Quando si dice la sintesi!


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Primissimo pomeriggio



L'Inferno visto da Sandro Botticelli (ca. 14801495).


Una notizia per la Sapienza di Roma. Ben gli sta. Così imparano quei professoracci terribili. Chiedo scusa, ma mi viene da ridere, perché sto pensando a Dante Alighieri e alla considerazione in cui teneva Bonifacio VIII. Me lo vedo perplesso e col sopracciglio alzato.


Lo principe d'i novi Farisei,                         85
avendo guerra presso a Laterano,
e non con Saracin né con Giudei,                87
ché ciascun suo nimico era cristiano,
e nessun era stato a vincer Acri
né mercatante in terra di Soldano;               90
né sommo officio né ordini sacri
guardò in sé, né in me quel capestro
che solea fare i suoi cinti più macri.              93


Dante Alighieri, Inferno, XXVII, 85 segg. (ottavo cerchio, ottava bolgia: consiglieri fraudolenti)


Papa: Alla Sapienza Sara' Revocato Premio Bonifacio VIII


(AGI) - CdV, 12 feb. - A seguito delle contestazioni al Pontefice che hanno portato all'annullamento della prevista visita dello scorso gennaio, l'Universita' La Sapienza dovra' presto restituire il premio Internazionale "Bonifacio VIII", un riconoscimento prestigioso intitolato proprio al Papa che fondo' l'ateneo. Lo afferma una nota dell' Accademia Bonifaciana di Anagni, che definisce "culturalmente inaccettabile e pretestuoso l'atteggiamento di coloro che dall'autorita' della cattedra, hanno esercitato il pur legittimo diritto di critica con tempi e modalita' assolutamente discutibili, manifestando ostilita' preconcette verso un intervento non ancora pronunciato, ed in tal modo istigando una faziosa e minoritaria ma prepotente assemblea ad annunciare condotte imprevedibili". "Nei confronti dell'Universita' La Sapienza di Roma - spiega il presidente Sante De Angelis in un'intervista al sito 'papanews.it' - e' stato emanato il provvedimento ufficiale di biasimo". Ci sono dunque "gli estremi per una eventuale revoca del Premio Internazionale 'Bonifacio VIII' assegnato all'Universita', nella persona del magnifico rettore Renato Guarini, nella edizione 2005, per decadimento della motivazione stilata". [ qui ]

domenica 10 febbraio 2008


LAICITA'  [4]



Ancora un articolo che per me ha lo scopo di presentare fatti e problemi su cui occorre fare il massimo di chiarezza per "metterci in cammino insieme verso il territorio del rispetto laico, dove credere non vuol dire prevalere, dove non essere credenti o cattolici non diminuisce i diritti di nessuno, mai."


Il giorno delle svastiche


di Furio Colombo


Nel giorno in cui ci avvertono che i nomi di docenti ebrei o ritenuti ebrei vengono indicati in un elenco su un misterioso sito antisemita, presumibilmente a cura del vasto rigurgito di destra che è rimasto tra le rovine del passato e i tentativi - sempre incompleti, a volte disastrati - di costruire una vera civiltà democratica, in un giorno così minaccioso abbiamo il dovere di allargare la brutta scena che stiamo osservando. Cercare tra i fascisti è un esercizio ovvio e però marginale, se si considera che solo pochi giorni fa abbiamo dovuto difendere gli scrittori israeliani che saranno onorati a maggio al Salone del Libro di Torino, dalla minaccia di boicottaggio (ovvero di un atto di disprezzo verso lo Stato di Israele, che di tutto ciò è simbolo, imperfetto ma pieno), e se si tiene conto che quelle minacce venivano da alcuni che sono o ritengono davvero di essere di sinistra, cioè dalla parte che ha combattuto e pagato con la vita per ridare la libertà e la dignità all’Europa senza il fascismo.

Non c’è bisogno di conferme: l’antisemitismo è vivo, sa come nascondersi, spostarsi e rinascere. E questo spiega perché alcuni di noi si sono battuti perché ci fosse un “Giorno della Memoria”; per ripensare a uno dei momenti più spaventosi di quel male, che è stato sul punto di riuscire nel progetto di sterminio di un popolo e di una cultura. Propongo che sia necessario notare un fatto che aiuta non tanto le grida di scandalo quanto la riflessione. Fatti del genere accadono in coincidenza con un espandersi, niente affatto mistico, ma esclusivamente terreno, della Chiesa cattolica come potere politico, capace di dare regole, di dettare leggi, di impartire ordini, di punire e premiare, per esempio con il voto. Qui importa notare l’intreccio fra l’allargarsi - nei fatti - di un potere temporale della Chiesa, che torna a parlare con una volontà di controllo su tutto, pensieri inclusi. E il ritorno di un atteggiamento di potenza, di intervento, di arbitrio, di coloro che colgono - nel loro modo distorto però già noto nella storia - il messaggio: si può dare la caccia, cominciando con il disprezzo, a chi non è nella Chiesa.

Dopotutto veniamo a sapere che chi non è nella Chiesa è portatore di una cultura di morte. Ripeto: si intende che il messaggio è distorto e non è la prosecuzione, ma la deformazione di un clima. Però quel clima di dominio del religioso (un unico “religioso”, il cattolico, il resto è “relativismo”) esiste davvero. E davvero sfiora i confini dell’area oscura che stiamo descrivendo quando avverte, in una nuova preghiera, che gli ebrei è bene che siano convertiti. È una preghiera terribile, perché stabilisce un’unica classe di esseri umani accettabili, i battezzati. Per gli altri c’è chi avrà pazienza come la Chiesa (che - nei secoli - non eseguiva la condanna a morte di un condannato ebreo prima di averlo convertito) e c’è chi, tra i battezzati, coglierà il senso del privilegio di essere dalla parte giusta, dunque la superiorità, dunque il diritto di purificare gli ambienti (università o saloni del libro) da presenze nemiche e pericolose.

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Io credo che gli amici credenti, che forse sentiranno queste parole come una offesa (invece è, io credo, una descrizione dei fatti), coglieranno il punto politico che riguarda questa campagna elettorale e che è la difesa piena e totale dello Stato laico, per ricostruire una comunità che si fondi su quella naturale amicizia, volontà di comprensione e di collaborazione reciproca che è tipica di chi, con onestà e buona fede, crede davvero e di chi chiede solo che sia rispettata la sua rispettabile dichiarazione di non credente.

Ecco perché mi dispiace che i Radicali italiani, che hanno dato nei decenni della rinata e imperfetta democrazia italiana un contributo molto grande alla costruzione del rispetto (opponendosi, per esempio, alle continue messe in scena dei finti credenti, che ricostruiscono in politica le più colorite processioni del Sud italiano) non siano parte del dibattito nella politica italiana che ha come programma di ridare un futuro all’Italia. Non mi sognerei mai di immaginare che la presenza di tanti credenti dichiarati e, come dire, professionali, nel Partito democratico siano una sorta di freno a mano tirato. Ci sono e ne hanno diritto. Ed è naturale che almeno i più “professionali” fra i credenti di cui stiamo parlando (quelli, cioè che non escono mai senza divisa) siano irritati da Bonino e Pannella, quando propongono di tracciare chiare linee di reciproco rispetto fra ambiti e responsabilità diverse. Ma non credo che quella irritazione ci debba riguardare tutti al punto da rifiutare un rapporto attivo di lavoro politico con i Radicali nel timore di offendere qualcuno.

Sono sicuro che possiamo porre fine al carnevale dei finti credenti (che, un giorno si ammetterà, sta facendo non poco danno alla religiosità, al sentimento di fede) e al carnevale degli atei devoti (rispetto al quale una giornata di Gay Pride non è che un pacato corteo). Soltanto unendo le forze di persone che si rispettano e rispettano il diritto di credere e non credere, e di ottenere certi servizi indipendentemente dalle prescrizioni religiose, si possono ottenere certi servizi indipendentemente dalle prescrizioni religiose da parte delle istituzioni a favore dei cittadini. Sono sicuro anche che soltanto insieme credenti e non credenti potranno fare muro - come nella Resistenza - per impedire l’espandersi di gruppi che credono di trovare conforto nel nuovo piglio autoritario della Chiesa e provano di nuovo a tracciare i confini fra terra benedetta e terra sconsacrata. Nella terra sconsacrata sono ammesse, più o meno in nome di Dio, le scorrerie punitive, le umiliazioni, le prove di caccia, i tentativi di negazione.

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Sto parlando al Partito democratico, che ha deciso di giocare con coraggio le due carte più rischiose e più importanti nella vita e nel futuro di questa Repubblica: la carta del «correre da soli», un ricominciare da capo con tutte le persone di buona volontà, affinché si diradi almeno un poco l’aria velenosa che tanti in Italia sono costretti a respirare. E infatti questa decisione ha creato un bel tumulto nella ex Casa delle Libertà. E la reale possibilità di governare bene un Paese nel quale ci si è abituati a promettere tutto e a non rendere conto di nulla. È ciò che è stato in questi mesi il tentativo di Romano Prodi. Intorno a quel tentativo si è stretta, durante due anni, senza alcuna pausa o interruzione e senza alcun riguardo per gli interessi del Paese, la garrota di un pesante ostruzionismo che ha preso il posto della normale opposizione democratica. Sappiamo anche che in quei mesi la continuità di buon lavoro dei Radicali dentro quel governo ha evitato teatro, dispute ed esibizioni, e portato risultati.

Il più importante è una ragione di orgoglio per tutto il Paese: la “moratoria contro la pena di morte”, accettata come appello a tutto il mondo dalle Nazioni Unite. Come si ricorderà, la “moratoria” radicale è stata copiata, in modo un po’ penoso, usando la stessa parola in senso rovesciato, non come liberazione ma come divieto assoluto di decidere per le donne.

È interessante che questa copiatura a destra di un’idea originale che appartiene al mondo che non concepisce divieti religiosi, corrisponda alla copiatura della sfida di «correre da soli» lanciata da Veltroni per il Partito democratico e subito adottata (ma di nuovo male e rovesciandone il senso: correre da soli non per chiarezza ma per sottomettere almeno uno dei riottosi alleati) da quella nuova cosa detta orwellianamente “Popolo della libertà”. La coincidenza dovrebbe richiamare una naturale affinità di questa nuova avventura con chi ci aiuterebbe a tenere ben vivo il senso laico della politica e dello Stato, senza porre alcun problema di rispetto, attenzione e lavoro insieme con le persone che sono credenti in politica, e non politici del credere.

Tutto ciò è giusto e utile ripeterlo nel “giorno delle svastiche” e degli elenchi di docenti ebrei. Diciamo che c’è qualcuno che più o meno deliberatamente capisce male il messaggio di egemonia della Chiesa. Ma quella pretesa di egemonia c’è, dunque il pericolo. Dirlo significa rispettare la Chiesa quanto lo Stato. Chi ha fiducia in quello che sarà e riuscirà a fare, anche in queste elezioni, il Partito democratico di Veltroni vorrebbe porre qui, adesso, le basi quella ariosa civiltà laica in cui vivono i nostri concittadini dell’Unione Europea e quelli americani a cui abbiamo chiesto di prestarci le parole «si può».

Sì, è vero, «si può». Cominciando con il metterci in cammino insieme verso il territorio del rispetto laico, dove credere non vuol dire prevalere, dove non essere credenti o cattolici non diminuisce i diritti di nessuno, mai.

furiocolombo@unita.it
Pubblicato il: 10.02.08-Modificato il: 10.02.08 alle ore 8.02


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Documenti nel blog Papa Ratzinger blog :


1. Il Papa modifica la Preghiera per gli Ebrei, della Liturgia del Venerdì Santo, contenuta nel Missale Romanum del 1962 (Radio Vaticana) - 2. SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM" -

giovedì 7 febbraio 2008

"Stop Blair for president":
la petizione corre sul web


 


Dodgy dossier: Blair was accused of using false information to bounce parliament into Bush's Iraq war



Tony Blair presidente dell'Unione Europea? No grazie. E' il messaggio di una petizione lanciata su Internet contro la candidatura dell'ex premier britannico alla presidenza stabile dell'Unione europea, una carica introdotta dal nuovo Trattato di Lisbona, che dovrebbe entrare in vigore a partire dal 1 gennaio 2009[... La Stampa, 6 febbraio 2008. qui ]



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Stop Blair !


Petizione contro la nomina di Tony Blair come "Presidente dell'Unione Europea"



Noi, cittadini europei di ogni origine e appartenenza politica, desideriamo esprimere la nostra totale opposizione alla candidatura di Tony Blair alla presidenza dell'Unione europea.


Il Trattato di Lisbona istituisce una nuova figura istituzionale: il presidente del consiglio dell'Unione europea eletto dal Consiglio con mandato di due anni e mezzo rinnovabile una sola volta. In base al trattato, il presidente "presiede e anima i lavori del Consiglio europeo;" e "assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo. Inoltre, "Il presidente del Consiglio europeo assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune."¹


Il futuro presidente avrà dunque un ruolo chiave nel determinare la politica dell'Unione e nei rapporti con il resto del mondo. La prima investitura avrà un peso simbolico maggiore, sia per i cittadini dell'Unione europea sia per l'immagine dell'Unione nel mondo. In tale prospettiva, crediamo che sia essenziale che il primo presidente incarni lo spirito e i valori del progetto europeo.


Da tempo voci insistenti esprimono il volere, in certi ambienti, di vedere Tony Blair scelto come primo presidente dell'Unione europea. Tale elezione, qualora dovesse accadere, sarebbe in totale contrasto con i valori professati nel progetto europeo.


In violazione della legge internazionale, Tony Blair ha impegnato il suo paese nella guerra in Iraq, una guerra osteggiata dalla stragrande maggioranza dei cittadini europei. La guerra ha mietuto centinaia di migliaia di vittime e ha creato milioni di rifugiati. La guerra è stata una dei fattori principali della destabilizzazione del Medio Oriente e ha compromesso la sicurezza mondiale. Per portare il suo paese in guerra, Tony Blair ha fatto un uso sistematico di prove artefatte e della manipolazione dell'informazione. Il suo ruolo nella guerra in Iraq peserebbe negativamente sull'immagine dell'Unione nel mondo qualora fosse nominato presidente.




I passi presi dal governo di Tony Blair e la sua complicità con l'amministrazione Bush nel programma illegale delle "extraordinary renditions" (consegne straordinarie), ha portato a un declino senza precedenti delle libertà e dei diritti civili, palesemente in contrasto con le norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che è parte integrante del trattato.


La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea formalizza i valori fondanti del progetto europeo ed è uno dei pilastri del nuovo trattato. Tony Blair ha osteggiato la sua inclusione nel Trattato di Lisbona e ha strappato un'esenzione per il Regno Unito.


Invece di promuovere l'integrazione europea, l'ex primo ministro ha posto dei pesanti paletti durante le trattative a Lisbona², con l'intento di bloccare qualsiasi progresso su temi sociali e sull'armonizzazione fiscale nonché sulla difesa comune e la politica estera.


Inoltre appare insensato che il primo presidente dell'Unione europea sia stato in precedenza il capo di un governo che ha tenuto il suo paese fuori da due pilastri fondamentali della costruzione europea: la zona Schengen che regola il movimento libero dei popoli e l'Eurozone.


In un momento storico in cui una delle priorità delle istituzioni europee è di rinsaldare il contatto con i propri cittadini, ci pare essenziale che il presidente debba essere una personalità nella quale la maggioranza dei cittadini possa identificarsi, piuttosto che qualcuno inviso alla maggioranza degli europei³. Per tanto, dichiariamo la nostra netta opposizione a questa nomina.





  1. Trattato di Lisbona, modifiche del trattato sull'Unione europea Articolo 1, comma 16: è inserito articolo 9B, paragrafi 5 e 6. (2007/C 306/17, 18)

  2. Blair sets out EU treaty demands, BBC, giugno 2007

  3. Tavola 6 del sondaggio FT/Harris, giugno 2007



Firmate la petizione!


Non dico di portarlo da un giudice in Europa. Ma premiarlo è davvero troppo!



martedì 5 febbraio 2008

domenica 3 febbraio 2008

MEMENTO MORI



"Modi di morire" di Iona Heat, medico di base inglese.
Bollati Boringhieri. Recensione di
Umberto Galimberti
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La morte, il destino, la scienza


   Siamo ancora capaci di morire? O abbiamo a tal punto rimosso il concetto di morte da non essere più in grado di affrontare l'evento con quello sguardo sereno di cui forse erano capaci gli uomini di altre culture, non ancora educati dalla cultura cristiana in cui noi occidentali siamo cresciuti, dai progressi della scienza medica che riduce il nostro corpo a semplice organismo, e infine dall'enfasi giornalistica che annuncia promesse che il sapere medico non è ancora in grado di garantire?


   Per effetto della cultura cristiana, infatti, si è affievolita la persuasione interiore, ben radicata nella cultura greca, secondo la quale l'uomo è "mortale", e perciò non muore perché si ammala, ma si ammala perché fondamentalmente deve morire. L'affievolirsi della promessa di una vita ultraterrena, per effetto della secolarizzazione del cristianesimo, ha fatto del prolungamento della vita ad opera della scienza medica il supremo valore a cui tutti tendono, per cui la morte non appare più come un "destino", ma come un "fallimento" del sapere e della pratica medica.


   I medici, a loro volta, avendo a che fare con la "salute", che è una sottospecie della categoria religiosa della "salvezza", sono stati investiti da un alone di sacralità, quando invece sono dei semplici funzionari di un sapere limitato, in grado non di salvare chiunque in qualsiasi circostanza, ma, come diceva Ippocrate: "di evitare la morte evitabile", o come a più riprese ribadisce Aristotele: "di aiutare la natura a risanarsi da sé". I limiti della scienza non sono noti ai pazienti, che tendono ad attribuire al sapere medico quell'onnipotenza che in ambito religioso viene attribuito a Dio o ai santi che fnno i miracoli.


   A tutto ciò si aggiunge il fatto che il medico, nel corso della sua preparazione universitaria e specialistica, non è mai a contatto con l'"uomo ", ma sempre e soltanto con il suo "organismo", per cui se è capace di cogliere il "male" che è un elemento oggettivo, può faticare a capire il "dolore" che è un tratto soggettivo, e ancor più l'angoscia di menomazione o di morte che è il nucleo più profondo della soggettività di ciascuno di noi. Nell'Ottocento chi si laureava in medicina doveva aver seguito due corsi di filosofia per capire chi è un uomo al di là del suo organismo. Oggi non è più così.


   In Modi di morire, Iona Heat, medico di base con alle spalle oltre trent'anni di pratica in uno dei quartieri più poveri di londra, affronta in modo non consolatorio, ma incisivo e radicale questo problema, a partire dalla trasformazione  della figura del medico che, da intermediario tra noi e la morte, s'è fatto: o seguace della sfida teconologica che ha come suo scopo il prolungamento della vita e non la sua qualità, o sacerdote della prevenzione, come se il nostro rapporto con la morte fosse solo quello di prevenirla o di posticiparla. E allora: state a dieta, non fumate, fate jogging, pensate positivo, come se queste pratiche potessero cambiare l'incidenza o l'esito di buona parte delle nostre effettive disgrazie.


   Scienziati e medici, ma anche giornalisti e politici sono ampiamente responsabili di queste illusioni, che hanno come risultato quello di "colpevolizzare la vittima", come ben ci ha insegnato Susan Sontag in Malattia come metafora, o quello ben peggiore di distoglierci dal pensiero della morte, con il risultato di farci morire male, senza dignità, ridotti a puro materiale biologico nelle mani dei medici, che vivono la nostra morte come una sconfitta del loro sapere, a cui mancano le parole che nessuno ha loro insegnato per accompagnarci quando la vita si congeda. [da La Repubblica, sabato 2 febbraio 2008]


 




Venezia_Palazzo Grassi sul Canal Grande


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Aggiornamento di martedì 5 febbraio 2008


Tra informazione e disinformazione: un post aiuta


lunedì 4 febbraio 2008. Cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse (22-25 settimane)





Il documento sui prematuri redatto dai direttori delle cliniche ginecologiche delle facoltà di medicina delle università romane (Tor Vergata, La Sapienza, Cattolica e Campus Biomedico) ha scatenato l’ennesima polemica.


Il documento originale (ne ho fatto richiesta alla AGUI che cortesemente me lo ha inviato) è il seguente: La prematurità estrema: margini di gestione ostetrica e risvolti neonatologici. Convegno promosso dalle Facoltà di Medicina e Chirurgia delle Università Romane. Documento conclusivo: con il momento della nascita la legge attribuisce la pienezza del diritto alla vita e quindi all’assistenza sanitaria. Pertanto un neonato vitale va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio ed assistito adeguatamente. L’attività rianimatoria esercitata alla nascita dà quindi il tempo necessario per una migliore valutazione delle condizioni cliniche, della risposta alla terapia intensiva e della possibilità di sopravvivenza e permette di discutere il caso con il personale dell’Unità ed i genitori. Se ci si rendesse conto dell’inutilità degli sforzi terapeutici, bisogna evitare ad ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico.

continua nel blog Bioetica, qui .