giovedì 30 agosto 2007

ICI



galero


"Sgargiante cappello rosso per Papa Benedeto XVI. Il pontefice ha sfoggiato il nuovo copricapo arrivando a piazza S. Pietro per l'udienza generale settimanale."qui


Sostiene Pannella sui privilegi fiscali alla Chiesa: vere truffe, cambiare il trattato del '29...

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''Finalmente''. Marco Pannella e' soddisfatto che torni il confronto sui ''privilegi fiscali'' della Chiesa cattolica in Italia. Ma sottolinea che non si tratta di qualche ''agguato orchestrato da Emma Bonino'', piuttosto del risultato del ''lavoro ultradecennale, politico e parlamentare, europeo e italiano, condotto dal Partito radicale e dal suo movimento''. L'obiettivo polemico, sottolinea, non e' ''solo il Concordato ma piuttosto il Trattato'' che regola i rapporti tra Stato italiano e Chiesa, che non e' stato modificato nell'84, ma e' rimasto quello del 1929. E' grazie al Trattato, attacca Pannella - citando i numeri forniti dalla banca dati dell'Ue sulle esportazioni (Cats) - che ''lo Stato Citta' del Vaticano diventa una sorta di stazione di smistamento di quantita' inverosimili di merci, proteggendone un uso tecnicamente criminale''. E che ''lo Stato italiano si trasforma in braccio mondano per truffe costosissime contro la legalita' europea e la correttezza dei mercati internazionali'. I radicali - insieme a Pannella, l'eurodeputato Maurizio Turco - citano i numeri indicati nelle prime interrogazioni al Parlamento europeo, della primavera del 2003. ''Dai dati ufficiali in possesso dell'Unione - dice Turco - risulta ad esempio che dal 1998 e il 2001, con l'aiuto finanziario dell'Ue pari a 4 milioni di euro, sono state esportate verso il Vaticano dai paesi membri dell'Unione, ma in larga parte dall'Italia: 2.560 tonnellate di zucchero; 622 tonnellate di burro; 2.252 tonnellate di carne bovina. Quantita' ingentissime, soprattutto se rapportate alla popolazione dello Stato vaticano''. Non solo. Dai numeri emergono anche ''incongruenze'' che l'Unione non e' in grado di spiegare e che attribuisce alla responsabilita' dell'Italia che ha fornito i dati. ''Ad esempio - prosegue Turco - nel 2000 sono stati esportati, tra l'altro, dall'Italia 38,985 chili di carne bovina per una restituzione di 305.341,16 euro pari a un aiuto di 7.832,27 euro per chilo...''. Fatti che, dice Pannella, devono diventare ''consapevole scandalo'', grazie al riesplodere di un dibattito ''che fu centrale anche nel Concilio Vaticano II, oltre che nelle iniziative laiche che hanno mutato la societa' italiana negli anni '70 e '80, e che connota l'equivoco presente italiano in Europa''. Ma non bisogna discutere solo di Concordato. ''Altrimenti si continua a rimuovere il fatto (o meglio misfatto) che nei Patti Lateranensi Bettino Craxi modifico' male e peggiorandolo il Concordato, ma non tocco' la parte peggiore di quegli accordi: il Trattato. E' in base al Trattato, per limitarci al costume italiano, che per decenni ceto medio e borghesia romana si sono riforniti di alcol, tabacco, indumenti, farmaci, spesso non ancora a disposizione sul mercato italiano, nella Citta' del Vaticano. Dietro questo fatto di costume ci limitiamo oggi a fornire un esempio, un ulteriore campione, della realta' che, a partire dal Parlamento europeo, sin dal 1999 abbiamo fatto emergere anche a livello istituzionale dell'Ue''. Si tratta, aggiunge, di ''un altro aspetto eloquente'' dei rapporti tra Stato italiano e Vaticano, oltre a quello del trattamento fiscale degli immobili sul quale i radicali si augurano ''decisioni'' da Bruxelles entro dicembre. Pannella va giu' durissimo. ''Vicende come quelle dello Ior, di Marcinkus, di impegni in settori di produzione e traffico di armi - attacca - vanno probabilmente e d'urgenza riesplorati e portati alla luce della conoscenza e della condanna, quanto meno 'etica' che sta nominalmente cosi' a cuore al Vaticano o alla Chiesa che dir si voglia''. [ qui ]






camauro



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Sostiene Bonino: “quando si indica la luna lo stolto guarda il dito”


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“Trovo ridicolo che nella polemica sulla richiesta di informazioni da parte della Commissione europea sulle agevolazioni fiscali alla Chiesa vi sia chi se la prenda col dito, e cioè con noi radicali, perdendo di vista la luna. Così come è grottesco pensare che, da Ministro per le Politiche Europee, io stia aiutando la Commissione a vigilare sul rispetto della normativa comunitaria, ruolo che come tutti sanno la Commissione sa svolgere benissimo da sola e lo dimostra, ahimé, l’alto numero di procedure di infrazione aperte contro l’Italia”. Così il Ministro per le Politiche Europee, Emma Bonino risponde alle accuse di diversi esponenti politici riportate oggi dai giornali. [...]


“Come Governo aspetteremo la nuova richiesta della Commissione. Come Ministro radicale e della Rosa nel Pugno ribadisco il mio convincimento personale: la richiesta di maggiori informazioni della Commissione trova fondamento laddove, lungi dall’applicarsi solo a quei beni che abbiano un nesso immediato e diretto con i fini di religione e di culto, le esenzioni fiscali e le altre agevolazioni riguardino attività prettamente commerciali. Ricordo che la Commissione sta indagando su analoghe esenzioni fiscali in Spagna. Credo che non dovremmo aspettare, come al solito, l’imbeccata di Bruxelles”.  Roma, 29 agosto 2007 [ qui ]



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panama



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Sostiene Monsignor Kasteel Ministro vaticano della solidarietà e le dichiarazioni politiche




“La Chiesa pronta a riscrivere Concordato e regime fiscale”



Giacomo Galeazzi - 27 agosto, la Stampa


Nessuna chiusura da parte nostra. La Santa Sede è pronta a sedersi al tavolo con il governo per aggiornare il Concordato e per ritoccare la questione del fisco». Soppesa le parole monsignor Karel Kasteel, influente uomo di Curia olandese, segretario del Pontificio Consiglio «Cor Unum» (il ministero vaticano della solidarietà) e Osservatore della Santa Sede.[ ...] «E’ passata una generazione da quando fu sottoscritto il Concordato - apre -. Il testo del 1984 risente del tempo trascorso e quindi sono possibili ritocchi alle questioni del fisco come in quelle dell’educazione cattolica e dello status giuridico delle istituzioni ecclesiali.


Monsignor Kasteel, al sottosegretario all’Economia, Paolo Cento, che protestava per le agevolazioni ecclesiali nella tassazione, Andreotti ha replicato: «Il fisco non è un dogma e la Chiesa non fa barricate a difesa dei privilegi fiscali». Condivide l’impostazione di Andreotti?


«Sì. La Chiesa è il principale ente di aiuto umanitario: “produce” solidarietà ed apostolato, nessuno fa altrettanto da venti secoli. Gli Atti degli Apostoli lo testimoniano e già Sant’Ignazio d’Antiochia descrive il Papa “presiedere l’assemblea della carità”. In Italia non è come in Germania, qui si è liberi di dare il proprio contributo a chi si vuole eppure il 96% dei contribuenti sceglie la Chiesa. Dove c’è un’emergenza, la Caritas corre ai ripari e ogni euro dato alla Chiesa arriva a destinazione. Nel governo qualcuno sembra dimenticarlo».


Ma l’Unione Europea contesta all’Italia le esenzioni fiscali alla Chiesa….


«Non ci sono preclusioni da parte nostra nel distinguere meglio le realtà ecclesiali fra compiti pastorali e attività commerciali. E’ materia da regolare bilateralmente. Però, in nessun paese la Chiesa, cioè un ente d’utilità pubblica, paga tasse come le aziende che fanno profitti. In Italia erano tutte di utilità pubbliche le strutture sottratte alla Chiesa in passato: scuole, confraternite, ospedali. In Francia c’è assoluta separazione tra Chiesa e Stato, ma la Chiesa non ha gli oneri fiscali che ha in Italia e tutte le chiese vengono mantenute dallo Stato. Quindi, va bene adeguare il Concordato, ma in qualche modo va mantenuta l’ “aequa distributio” raccomandata da San Tommaso d’Aquino». ... continua qui .



galero


 Non sono in grado di controllare queste notizie che per me hanno dell'inverosimile tanto mi sembrano enormi. L'intervista fa trapelare delle possibilità di cambiamento, ma non sono queste le dichiarazioni che vengono diffuse, in genere sono preferiti Bagnasco e Betori. Le tasse mi sembrano diventate un'ossessione che rimuove l'attenzione dai problemi più urgenti. Per esempio, come far funzionare meglio i "servizi" che con le tasse vengono pagati.



scarpe Prada ( ma come si fa a capire la marca? )


PS. Immagini dal web: Omnia munda mundis ( con rispetto solo un po' birichino, chiedendo venia e attenuanti specifiche )


martedì 28 agosto 2007

   Alberto Gonzales si è dimesso.


Bush e Gonzalesamici dai tempi in cui lui era governatore del Texas. Gonzales allora era l'avvocato di Bush. Poi è stato consigliere legale della Casa Bianca. Infine è stato chiamato, primo ispanico nella storia, a fare il ministro della Giustizia. Questa è una fotografia storica con quel presiedente sfocato in secondo piano che guarda il suo pupillo, l'ultimo del suo giro di amici a dimettersi, dopo il ministro della difesa Donald Rumsfeld e il cervello consigliere Karl Rove. Il nome di Alberto Gonzales, al di là degli altri scandali, sarà per sempre collegato alla vergogna di Guantanamo . Peccato per un uomo che ha detto: "Ho vissuto il sogno americano". E sarebbe stato bello se l'avesse vissuto senza trasformarlo in incubo con le sue idee nefaste sulla giustizia, sui diritti umani e sul trattamento dei prigionieri.


"Mr. Gonzales has been a controversial figure in Washington since shortly after the terrorist attacks on Sept. 11, 2001, when, as White House counsel, he supported legal policies that broadly expanded the powers of the executive branch and allowed for the imprisonment and interrogation of terrorism suspects in conditions that human rights groups said amounted to torture. He became attorney general in February 2005, succeeding John Ashcroft." (The New York Times )



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Voglio segnare nel mio diario questo giorno che finalmente è arrivato. Nell'attesa che altri ne arrivino per cambiare rotta e riprenderci la nostra civiltà che non può prescindere dai diritti umani. Ma giustizia vuole che non si dimentichi il ruolo dei paesi europei in questa tragedia, in primis della Gran Bretagna e dell'Italia a guida berlusconiana. E, ancora, è obbligatorio porsi domande sulle lotte degli integralisti islamici tra loro e contro gli altri gruppi religiosi. Giustizia vuole che si dica che i capi religiosi, forti dello strumento "divino", hanno responsabilità non minori dei politici.



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Fotografie: The New York Times - BBC

domenica 26 agosto 2007

   Ciao, Enzo! Sono passati tre anni. Tre sorrisi a te e a Ghareeb.


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Post scriptum. Ho letto sui giornali di ieri che Vittorio Feltri è stato insignito dal Circolo Mario Pannunzio di Torino del premio, intitolato appunto a Pannunzio. Come vecchio collaboratore del Mondo sono molto stupito: Vittorio Feltri è senza dubbio un buon giornalista ma non ha niente a che vedere con la figura professionale morale e politica di Mario Pannunzio e del Mondo. Anzi è quanto di più lontano possa mai immaginarsi rispetto al premio dato in nome del fondatore di quell'ormai epico settimanale.


Eugenio Scalfari, La Repubblica, 26 agosto 2007 >>> qui <<<


Scusate l'autocitazione, ma oggi il premio a Feltri m'indigna come gli articoli suoi e di Renato Farina (il BETULLA di Pio Pompa) m'indignarono al tempo del rapimento e dell'assassinio di Enzo Baldoni, sorridente uomo di pace e di allegria. Che cosa viene premiato del giornalista Feltri? 




da un post del 25 agosto 2004: Dico no al cinismo



Ieri il direttore del quotidiano Libero, Vittorio Feltri, durante il telegiornale di Rete4, quello delle 19 con Emilio Fede, ha detto che Enzo Baldoni "avrebbe potuto scegliere un altro posto per andare in vacanza", per esempio "avrebbe potuto fare le vacanze a Rimini". (sentito con le mie orecchie, incredule).


Oggi Libero è venuto fuori con un articolo del suo vicedirettore, Renato Farina, incollato qui sotto.


VACANZE INTELLIGENTI di Renato Farina (il Betulla, di cui avremmo saputo dopo)


Alle 16 di ieri, come quarta notizia di Al Jazeera, è stata mostrata la faccia barbuta di un uomo. In inglese ha detto: «Sono Enzo Baldoni». Aveva una polo grigia e l'aria tranquilla. Forse un po' troppo. Pareva un turista per caso. Il comunicato dell'"Esercito islamico in Iraq" (Al-Jeish Al- Islami-si-Iraq) ha posto un ultimatum a Berlusconi: o ritira entro 48 ore le sue truppe, e lo fa in modo chiaro, con un decreto firmato, o «non garantiamo la sicurezza di Baldoni ». Vuol dire che lo ammazzano. Il gruppo ha un simbolo molto simile a quello di Al Zarqawi, il decapitatore professionista per conto di Osama Bin Laden. Si deve questo simpatico esercito l'uccisione di un ingegnere e di un autista pachistani il 28 luglio scorso in Iraq. Al Jazeera non ha trasmesso le immagini dei pachistani perché «sconvolgenti". Abbiamo capito cosa gli hanno fatto. Eppure Baldoni appare straordinariamente rilassato. Come se avesse un asso nella manica.


Lo sappiamo su che cosa conta: sulle proprie idee. In fondo, è un loro simpatizzante. Perché dovrebbero fargli del male? È un giocherellone della rivoluzione.


Repubblica ha pubblicato un suo decisivo reportage: «Le mie vacanze col brivido». Dopo le ferie intelligenti, proviamo a fare quelle sconvolgenti. Ecco il ritratto che dedica sui Linus" al Chapas: «Marcos: culo e carisma». E questo sarebbe giornalismo di sinistra? Vogliamo dirlo: è un simpatico pirlacchione. Lo scriviamo tremando. Sappiamo che ci sono moglie, genitori e fratelli in lacrime. Desideriamo gli sia restituito vivo e vegeto. Evitiamoci le tirate patetiche però. Signori di Al Qaeda, proprio dal vostro punto di vista, non vale la pena di ammazzarlo. continua... (grassetto e colore sono miei per evidenziare ciò che mi ha maggiormente colpito, del tutto soggettivamente). - Libero, 25 Agosto 2004 http://213.145.29.108/libero/LF_main.jsp


Ognuno/a è libero di esprimere le proprie opinioni e convinzioni.
Pertanto esprimo la mia sulle opinioni di Feltri e Farina: sono ciniche e disumane. Sono anche incomprensibili, perché c'è del livore in ciò che dicono, un livore di cui non capisco la causa.
Mi chiedo come sia possibile attaccare con tanto sarcasmo un uomo in pericolo, facendo balenare con chiarezza oscure accuse di connivenza con dei terroristi.
(ricopiato per comodità dal mio post di mercoledì 25 Agosto 2004)
Mi sembra rivoltante trattare con tale irridente superficialità una vicenda in cui un altro uomo, l'autista-interprete di Baldoni è stato ucciso in un agguato.
Si chiamava Ghareeb.



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Link ai post di quei giorni con pezzi da Libero copiati e incollati:  >>> QUI <<<   - >>> QUI <<< - >>> QUI <<<e un articolo di Nando Dalla Chiesa  Quando il morto è di sinistra - >>> QUI <<<  (titolo poco azzeccato per un articolo impeccabile, da rileggere)


sabato 25 agosto 2007

LA PENA DI MORTE e NOI



Due giorni fa, anniversario dell'esecuzione barbara di  Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, in Texas è stata eseguita la condanna a morte di Jhonny Conner e in Giappone di tre persone (chi?). La fotografia l' ho presa dal blog "laicisticamente". Dal Manifesto "prendo" un articolo che io ovviamente non avrei potuto scrivere, quindi eccolo qua :


Esecuzione in Texas scontro con l'Europa


A. D'Arg. - Bruxelles


«La morte non è giustizia e non lo sarà mai», arriva dal Consiglio d'Europa, l'organizzazione che raccoglie 47 stati del vecchio continente e che non ha nulla a che fare con la Ue, la più dura reazione all'esecuzione di Jhonny Conner, fatto fuori ieri notte in Texas con il poco inviabile titolo del 400esimo giustiziato dal 1976, anno della reintroduzione della pena capitale in questo stato nordamericano. La cifra tonda è una «macabra pietra miliare», insiste l'organizzazione. Poco dopo altri tre detenuti venivano giustiziati in Giappone.
«La pena di morte non è una punizione giusta ed appropriata
, come dice il governatore del Texas Rick Perry», afferma René Van der Linden, presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Parole che hanno come chiaro obiettivo il governatore repubblicano, lo stesso che alla vigilia dell'esecuzione di Conner ha rigettato una richiesta di moratoria avanzata dall'Unione europea. E lo ha fatto con un certo sarcasmo. «230 anni fa i nostri antenati hanno lottato per liberarsi dal giogo di un monarca europeo e per guadagnare il diritto all'autodeterminazione - ha detto il portavoce di Perry - Rispettiamo i nostri amici europei, accogliamo volentieri i loro investimenti e apprezziamo il loro interesse per le nostre leggi, ma il Texas si arrangia molto bene a governare il Texas. I texani hanno deciso da tempo che la pena di morte è un castigo giusto ed appropriato per i delitti più orribili».
Di fronte a una reazione tanto sprezzante, la Ue preferisce mantenere un basso profilo, assai più basso di quello del Consiglio d'Europa. «Confermiamo la dichiarazione fatta prima dell'esecuzione: la Ue è incondizionatamente contro la pena di morte», dice Manuel Carvalho, portavoce della Presidenza portoghese. Nessun commento sull'esecuzione statunitense: «Lamentiamo tutte le esecuzioni nel mondo, non dobbiamo dare più importanza a casi specifici». Poca cosa per chi aveva avanzato una richiesta specifica al Texas e si è poi visto rimandare indietro l'invito senza alcun complimento.
Non è inoltre da escludere che l'atteggiamento di sfida del repubblicano Perry potrebbe puntare a increspare il fronte europeo in vista del dibattito all'Onu sulla proposta di moratoria avanzata ancora l'anno scorso dall'Italia e poi fatta propria da tutta la Ue. A giugno i ministri degli esteri dei 27 hanno deciso di chiedere il voto alla prossima Assemblea generale che inizia a fine settembre. Il problema è che la sessione dura nove mesi e l'Europa non ha ancora chiaro quando presentare il dibattito, divisa com'è tra due partiti: quello dell'Italia che vuole il voto il prima possibile affermando che ormai ci sono i numeri per vincere (in realtà siamo a 93 adesioni e la maggioranza è a 97) e quello di Regno unito, Olanda, Polonia e Ungheria che preferiscono andare con i piedi di piombo, ufficialmente per essere sicuri di farcela, in realtà per non innervosire Washington. La Presidenza portoghese conferma che non è ancora stata fissata un'agenda precisa.



Salviamo Pegah dalla lapidazione



«Cara signora ministra degli interni Jacqui Smith, le scriviamo per pregarla di concedere alla signora Pegah Emambakhsh un permesso di soggiorno che impedisca la sua deportazione in Iran, fissata per lunedì prossimo, e consenta ai suoi avvocati di portare nuovi elementi a conferma della sua necessità di ricevere asilo nel Regno unito».


Dopo il tam tam sul web gli attivisti inglesi e di mezzo mondo si mobilitano ora inondando di fax e email gli uffici della ministra degli interni britannica, Jacqui Smith. Il deputato di Sheffield (dove la donna abitava), Richard Caborn sta cercando di rendere definitiva la sospensione della deportazione, ma non è una cosa facile, visto che per l'Home Office la donna se rimpatriata non rischia persecuzioni. continua su Il Manifesto <<<qui>>>


Quando siamo responsabili "noi" ( mi scuso per la semplificazione "noi e loro" che generalmente respingo ), penso che il giudizio possa, anzi debba essere più deciso e più duro. Ci vantiamo di essere delle democrazie, e abbiamo il privilegio di esserlo, un privilegio costato prezzi altissimi nel corso di una storia millenaria. Per questo la responsabilità è maggiore e la condanna non ha bisogno di attenuazioni o distinguo.


venerdì 24 agosto 2007

    Salviamo Pegah dalla lapidazione


LAPIDARE un uomo o una donna fino a farli morire può richiedere molto tempo, specialmente se coloro che scagliano le pietre desiderano di proposito prolungarne l'agonia. Il colpo di grazia alla testa, in grado di portare a uno stato di incoscienza o alla morte, può farsi attendere anche un'ora, mentre le pietre di piccole dimensioni che provocano contusioni sono rimpiazzate poco alla volta da pietre di dimensioni maggiori in grado di frantumare gli arti. Soltanto quando il corpo è in agonia in ogni sua parte può sopraggiungere la morte.

Questa è la sorte che potrebbe attendere Pegah Emambakhsh, una donna iraniana di quaranta anni, il cui crimine è quello di essere lesbica. Pegah Emambakhsh ha trovato rifugio nel Regno Unito nel 2005, in seguito all'arresto, alla tortura e alla condanna a morte per lapidazione della sua partner sessuale (non è chiaro, ad ogni buon conto, se la sentenza è stata eseguita o lo sarà in futuro). La sua domanda di asilo però è stata respinta: secondo l'Asylum Seeker Support Initiative di Sheffield, dove Pegah si trova rinchiusa in un centro di detenzione, quando le è stato chiesto di fornire le prove della sua omosessualità e lei non ha potuto farlo, le è stato riferito che doveva essere deportata. L'estradizione, che doveva avvenire oggi, all'ultimo momento è stata rinviata al 28 agosto: alla fine del mese potrebbe essere già morta.

La Repubblica Islamica Iraniana, si legge in un recente rapporto, è "più omofobica di qualsiasi altro paese al mondo o quasi. La tortura e la condanna a morte di lesbiche, gay e bisessuali, caldeggiate dal governo e contemplate dalla religione, fanno sì che l'Iran sembri agire in barba a tutte le convenzioni sottoscritte a livello internazionale in tema di diritti umani". Leggere il rapporto, redatto da Simon Forbes dell'organizzazione londinese Outrage, è terribile: vi si leggono storie di giovani uomini e giovani donne perseguitati, arrestati, picchiati, torturati e giustiziati - spesso con soffocamento lento - per avere avuto rapporti omosessuali.

Il brutale giro di vite nei confronti dei gay iraniani - gruppo che non ha mai goduto di grande supporto nel suo stesso paese - è iniziato dopo il 1979 e l'arrivo al potere del regime religioso ispirato dall'Ayatollah Khomeini. All'epoca gli omosessuali colti in flagranza o sospettati di essere gay erano impiccati agli alberi sulla pubblica piazza. In linea di massima si trattava di uomini, ma non mancavano le donne. A quei tempi i diritti degli omosessuali non erano una causa granché popolare da nessuna parte e il nuovo regime, ispirato da un genere di fondamentalismo islamico che non poneva limiti al proprio radicalismo e che addossava a Stati Uniti e Occidente la responsabilità di tutti i suoi mali, non vedeva necessità alcuna di dissimulare le proprie azioni. Tutto ciò è andato avanti fino alla fine degli anni Ottanta, quando i diritti dei gay hanno riscosso ovunque maggiore comprensione: le proteste internazionali hanno iniziato a moltiplicarsi e il regime, preoccupato in maggior misura per la propria immagine a livello internazionale, è diventato meno radicale e ha posto fine a queste dimostrazioni.

Ciò non significa che le esecuzioni fossero cessate. Il 19 luglio 2005 due adolescenti gay della città iraniana di Mashhad sono stati impiccati in pubblico, giustiziati con un lento strozzamento. Sono stati condannati a morte per il fatto di essere gay. Le autorità li avevano accusati di aver rapito e stuprato un minore, ma a loro carico non è mai stata prodotta alcuna prova. La comunità gay iraniana e i gruppi di difesa dei diritti umani non hanno mai creduto alle accuse ufficiali. La loro condanna a morte è servita a rammentare a tutti che l'omosessualità, nell'Iran di Ahmadinejad, è tuttora considerata un reato punibile con la condanna a morte. Per gli uomini o le donne sposate la condanna a morte è eseguita tramite lapidazione, perché nel loro caso il reato è considerato più grave. (Pergah, che ha due figli, ha dovuto contrarre un matrimonio organizzato).

Quantunque negli ambienti della middle-class di Teheran una certa discreta attività gay sia ancora possibile, il rischio - estremo, di morte - lo si corre sempre. Il rapporto di Outrage così commenta: "Affermare che per gli omosessuali del 2006 alcune zone dell'Iran sono più sicure di altre equivale ad affermare che per gli ebrei del 1935 alcune zone della Germania erano più sicure di altre".

Deportare una donna sulla quale incombe una morte tramite lenta agonia per il fatto di esercitare le proprie preferenze sessuali non è azione degna di uno Stato civile: non possiamo che augurarci che le autorità britanniche facciano dietrofront. Una speranza ancora c'è: uno dei membri del Parlamento dell'area di Sheffield dove vive oggi Pegah, Richard Carbon, Ministro dello Sport, alcuni giorni fa ne aveva bloccato la deportazione e le autorità l'hanno rinviata a domani sera. Le associazioni gay hanno diffuso la notizia in tutto il mondo e i media di molti paesi, Italia inclusa, hanno sollevato il caso.

Per la Gran Bretagna in tutto ciò vi è un triste paradosso: essa è stata e rimane il rifugio di molti musulmani che professano apertamente di odiarla, in parte proprio per le sue opinioni relativamente liberali in fatto di omosessualità, e per le sue leggi sui diritti umani. Alcuni musulmani, accusati di istigare al terrorismo, sono stati deportati, la stragrande maggioranza no. Eppure, adesso una donna che in Gran Bretagna ha trovato salvezza da una pena efferata e che ha fatto appello alle autorità perché le considerava tolleranti, potrebbe essere rispedita indietro e, di fatto, mandata a morire. Deportare Pegah Emambakhsh non sarebbe semplicemente un'ingiustizia: sarebbe indegno di uno Stato civile.


John Lloyd  ( Traduzione di Anna Bissanti , 23 agosto 2007 - Fonte: La Repubblica  )


La priorità assoluta spetta a tutto ciò che si può fare per salvare questa persona, senza sottilizzare sull'entità del pericolo, perché il solo spettro di un pericolo del genere è terrificante di per sé. Se poi lo stato sovrano è l'Iran, c'è poco da sottilizzare, come sta facendo la Gran Bretagna, membro dell'Uniuone Europea e stato di tradizione liberale e democratica.


Non ho trovato appelli da firmare in rete, appelli al nostro Stato, che almeno in questo campo è affidabile. Qualcuno degli altri/e viandanti del web ci è riuscito?


Non è il tempo di fare polemiche, ma qualche rilievo devo farlo:


1. La Gran Bretagna continua nei suoi comportamenti incomprensibili, dalla guerra in Iraq in poi. Ora pare che l'Italia si stia attivando per offrire asilo politico a Pegah.


2. La notizia di un orrore simile che sta per essere perpetrato in Europa, prima che in Iran, non gode di grande interesse nei "nostri" mezzi di informazione.


3. L'Iran è uno stato sovrano, lo so. Le condanne a morte sono frequentissime ed eseguite spesso con metodi cruenti di crudeltà inaudita. La tortura sembra essere legale in quelle lande: le fustigazioni, gli strozzamenti lenti, le lapidazioni avvengono in pubblico e sono ampiamente documentate, perciò non voglio pensare a ciò che accade nel chiuso delle prigioni. Ultimo documento: Iran, frustato in piazza per aver bevuto alcol.Tutto questo viene fatto in nome di Allah (nome proprio arabo per indicare Dio). E mi tremano le mani mentre scrivo, nonostante la mia distanza siderale dalla blasfemia di questi pseudoreligiosi.


4. Mi si sta creando un problema sempre più grave con l'Islam. Come si può rispettare una religione in nome della quale, senza che i vari seguaci muovano ciglio, si applica la legge della sharia? La non violenza, l'in-nocenza, l'ahimsa, in cui mi riconosco come essere umano, mi spingono a ribellarmi, a oppormi, a gridare.


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Ringrazio Masso57 e Pling per la collaborazione ampia e generosa. Bisogna fare scrivere ora tutte le mail possibili a tutti gli indirizzi indicati, ma poi bisognerà mantenersi vigili, perché nessuno approfitti del silenzio che seguirà inesorabilmente.




  • Sit In di fronte all’Ambasciata Britannica a Roma
    in via XX settembre 80
    lunedì 27 agosto 2007 dalle ore 18,30.  
    Per adesioni inviare una mail a: presidente@arcigay.it



  • Questo il testo dell’appello in italiano del Gruppo Everyone, per sottoscrivelo, inviare una mail con nome e cognome e con oggetto "Adesione appello caso Pegah Emambakhsh" a o matteo.pegoraro@infinito.itroberto.malini@annesdoor.com



  • Per ulteriori approfondimwenti: www.rowzane.com

    IRanian Queer Organization: 
    www.imgpress.it 



  • Un modo per scongiurare che questo avvenga occorre mandare una mail all'indirizzo: savepegah@gmail.com - la mail dovrà avere come oggetto "Save Pegah" e servirà per sottoscrivere l'appello lanciato dall'associazione del Gruppo EveryOne, che lotta affinché non ci siano ancora tragedie assurde come questa.



  • Possiamo inoltre scrivere al nostro governo mandando una mail all'indirizzo relazioni.pubblico@esteri.it , affinché il ministero italiano degli esteri faccia pressioni alla Gran Bretagna per scongiurare l'estradizione.




  • Invece, in UK: (da http://www.ukgaynews.org.uk/Archive/07/Aug/2301.htm)

    Letters of support of for Pegah Emambakhsh should be sent to: Rt. Hon. Jacqui Smith MP, Home Secretary, 2, Marsham St, London, SW1P 4DF. Because of the urgency and the holiday weekend, faxing the letter is suggested. The fax numbers are: + 44 (0) 207 035 3262 or +44 (0) 207 035 2362.
    In either case the letter (envelope or fax) should be clearly marked for ‘The personal attention of The Home Secretary’. The Home Secretary’s email address is homesecretary.submissions(at)homeoffice.gsi.gov.uk – replace “(at)” with “@”.
    “So we can keep a record of what has been written please send a brief email to: pegahletters(at)mac.com to let the campaign group know who you have written to and by what form (letters, fax, email),” the Assist spokesperson requested.






  • Ecco alcune e-mail dove inoltrare una, dieci, cento, mille mail (civili) di protesta, per la vita di Pegah:

    Home secretary, Jaqui Smith at the link below http://www.upmystreet.com/commons/email/l/37.html
    Pegah's own MP richard Caborn is here
    http://www.upmystreet.com/commons/email/l/582.html

    the Prime Minister, Gordon Brown is here
    http://www.upmystreet.com/commons/email/l/850.html

    Home Offices ministers:

    Vernon Coaker 
    http://www.upmystreet.com/commons/email/l/528.html

    Tony McNulty 
    http://www.upmystreet.com/commons/email/l/393.html

    Liam.Byrne@homeoffice.gsi.gov.uk





martedì 21 agosto 2007

VIRTU'


(2)



"Ogni virtù è un culmine fra due vizi, un crinale fra due abissi: così il coraggio, fra viltà e temerità,la dignità fra compiacenza ed egoismo, o la mitezza fra collera e apatia...[*]Ma chi può vivere sempre in vetta? Riflettere sulle virtù è commisurare la distanza che ce ne separa. Riflettere sulla loro eccellenza è pensare alle nostre carenze o alla nostra miseria."


"La riflessione sulle virtù non rende più virtuosi, e in ogni caso non può evidentemente bastare. Una virtù, tuttavia la si sviluppa: l'umiltà, sia intellettuale, di fronte alla ricchezza della materia e della tradizione, sia propriamente morale, di fronte all'evidenza che queste virtù ci fanno difetto, quasi tutte, quasi sempre, e che nondimeno non ci si può rassegnare alla loro assenza o esentare dalla loro debolezza, che è la nostra." 


[*] Qui l'autore rimanda a una nota: Cfr. naturalmente Aristotele, Etica Nicomachea ed Etica Eudemia. E' ciò che si chiama talora il giusto mezzo o la medietà, che non è una mediocrità ma il suo contrario: "Perciò secondo la sua sostanza e la definizione che ne esprime l'essenza la virtù è una medietà, ma secondo l'eccellenza e la perfezione è un estremo" (Etica Nicomachea)


Qualsiasi discorso sulle virtù può essere scivoloso, perché contiene in sé il rischio dell'assertività e anche di una dose più o meno letale di radicalismo. Penso, per esempio, agli orrori cui può indurre l'idea di imporre a qualcuno le virtù con la forza o con la paura. Per i comportamenti socialmente accettabili bastano le leggi dello Stato.


L'argomento mi attrae molto, è evidente, ma ancor di più mi sembra utile, almeno come antidoto alle molte tristezze che ci circondano. Il libro di Comte-Sponville lo ebbi in regalo dieci anni fa e da allora l'ho letto e consultato più volte. Mi è ricapitato in mano in questi giorni e ora penso che farò spesso riferimento alle virtù elencate ed esaminate dall'autore. Ma vorrei citare anche un filosofo italiano, Salvatore Natoli, che alla fine della prefazione del suo "Dizionario dei vizi e delle virtù" ha scritto:


"Le voci qui raccolte parlano di vizi e virtù: è anche un modo per prendere distanza da sé, per perdere peso, per guardarsi da fuori, oggettivandosi nel mondo, per relativizzarsi. Vizi e virtù: è anche un modo per avere cura di sé, per prendersi a cuore, per dare elaganza, stile morale alla propria vita.Questo non basta per renderci liberi. Meno che mai è sufficiente per essere felici. Può essere, però, d'ausilio per vincere noi stessi, per sciogliere quel che più ci lega, per instaurare rapporti più giusti con gli altri. Per vivere meglio."



1.  da André Comte-Sponville, Piccolo trattato delle grandi virtù, Corbaccio, pagg.  11-12; 2. da Salvatore Natoli, Dizionario dei vizi e delle virtù, Universale Economica Feltrinelli, pag. 10

mercoledì 15 agosto 2007

 VIRTU'


Correggio, Allegoria delle Virtù, Paris, Louvre


 


"Come Spinoza, ritengo poco utile denunciare i vizi, il male, il peccato. Perché accusare sempre, denunciare sempre? E' la morale dei tristi, e una triste morale. Quanto al bene, esiste solo nella pluralità irriducibile delle buone azioni, che vanno al di là di tutti i libri, e delle buone disposizioni, anch'esse plurali ma senza dubbio meno numerose, designate dalla tradizione con il nome di virtù, vale a dire ( tale il senso, in greco, della parola aretè, tradotta dai Latini con virtus ) di eccellenze."


"La virtù, si continua a ripetere da Aristotele in poi, è una disposizione acquisita a fare il bene. Ma occorre dire di più: essa è il bene stesso, in spirito e verità. Non c'è Bene assoluto, non c'è Bene in sé che basti conoscere o applicare. Il bene non va contemplato; va fatto. Tale è la virtù: è lo sforzo di comportarsi bene, che definisce il bene in quello stesso sforzo."


"La virtù, o meglio le virtù ( poiché ce ne sono parecchie, poiché non si potrebbe ricondurle tutte a una sola, né ci si potrebbe accontentare di una soltanto di esse ) sono i nostri valori morali, se si vuole, ma incarnati, nei limiti del possibile, vissuti, in atto: sempre singolari, come ciascuno di noi, sempre plurali, come le debolezze che essi combattono o correggono."


 da André Comte-Sponville, Piccolo trattato delle grandi virtù, Corbaccio, pagg. 7, 9.


Faccio autocritica, da una parte, e buoni propositi, dall'altra, in questa giornata di mezzo agosto che mi ha regalato dolcezze, silenzio e musica, e bellezza. 

martedì 14 agosto 2007


 


I nostri 5000 anni di eredità


Per 5000 anni, il popolo e la cultura conosciuti nel mondo come Inuit hanno occupato il vasto territorio che si stende dalle coste della Penisola dei Chukchi in Russia, east across Alaska and Canada, alle coste sudorientali della Groenlandia. E' qui che, basata sulla nostra abilità diutilizzare l'ambiente fisico e di vivere delle risorse della regione geografica conosciuta come l'Artico, si è sviluppata la nostra cultura e si è svolta la nostra storia.


Gli Inuit sono una popolazione originaria della terra conosciuta come Canada, e la nostra storia è una importante e affascinante storia. Non è appunto una storia che riguardi un primo capitolo della storia canadese. In verità è un racconto epico nella storia degli insediamenti umani e della resistenza della cultura. Ogni capitolo della nostra storia offre valide lezioni e idee riguardo ad argomenti che hanno importanza per le culture di qualsisi luogo. La nostra storia riguarda una popolazione e della sua relazione con l'ambiente e ogni altra cosa, about dealing with change as well as the causes and consequences of change forced on us through colonialism; riguarda come noi abbiamo ristabilito il controllo sul nostro destino culturale, economico e politico per mezzo di rivendicazioni territoriali e autogoverno. Soprattutto la storia degli Inuit riguarda come noi e la nostra cultura siamo in grado di vivere in equilibrio con il mondo naturale. continua >>>QUI<<<



Il Quebec concede l'autogoverno alle popolazioni eschimesi Inuit [ La Stampa, 13 agosto 2007 ]


Un terzo del Quebec, una regione ricchissima di risorse minerarie, sta per passare all'autonomia: sarà affidata agli abitanti orginari, circa 10 mila eschimesi inuit. Il Governo regionale di Nunavik avrà un'assemblea, in rappresentanza delle 14 comunità inuit, e servizi amministrativi, sociali ed edeucativi autonomi.  www.theglobeandmail.com/








Quebec Inuit to sign historic self-governance agreement





To be called the Regional Government of Nunavik, it will have its own elected assembly representing Quebec's 14 remote Inuit communities and a public service responsible for services normally delivered by provinces, such as education and health. [...]


The Nunavik government would be unlike any other resolved aboriginal land claim in Canada, both because of the region's massive size and because the system of government so closely resembles the British-inspired parliamentary systems found in Ottawa and provincial capitals.


The Regional Government of Nunavik will have an elected assembly representing Inuit communities. Dean Tweed/The Globe and Mail


 


The Regional Government of Nunavik will have an elected assembly representing Inuit communities.


Also, unlike native self-governments such as B.C.'s Nisga'a, the agreement is not based on ethnicity, even though the vast majority of the region's residents are Inuit.


Jean-François Arteau, the head legal adviser for the Quebec Inuit, said he would expect all future maps of Canada to include the Nunavik region, which uses the 55th parallel as a southern border and makes up one-third of Quebec.


“This is going to be a special territory that I think we should see on any map of Canada,” he said. “It's something new. A regional government. That doesn't exist anywhere.”


The historic agreement is the result of decades of negotiations that have had many setbacks, including court rulings and two referendums on Quebec sovereignty, that have complicated the lengthy process toward self-government. continua >>>QUI<<<


E' raro vedere una carta geografica che abbia come centro non l'Europa, ma un'altra parte del mondo. E come può essere una carta PoloArticocentrica se non circolare? E le terre a noi più note, la nostra compresa, tutte intorno a quel centro senza dimensione da cui possiamo immaginare l'asse terrestre su su fino alla Stella Polare del Piccolo Carro? Ma come è accaduto che i popoli autoctoni abbiano perso tutto e ora debbano lottare per riconquistare il diritto a vivere sul proprio territorio?

domenica 12 agosto 2007

VENEZIA



lavori in corso


Quarto ponte sul Canal Grande. Penso che sia una novità utile. Ma sarà anche un bel ponte in armonia con lo spirito della città?



da Rainews24:


Venezia, Italia | 11 Agosto 2007

Venezia, il ponte di Calatrava a destinazione tra proteste e polemiche

L'operazione di montaggio del quarto ponte sul Canal Grande e' iniziata questa mattina. La chiatta ''Susanna'', che ha trasportato da Marghera in due viaggi i tre conci del ponte, si e' mossa per posizionare l'arcata centrale in acciaio di 55 metri. 


L'evento viene trasmesso in diretta sul sito internet del Comune di Venezia: www.comune.venezia.it


(I lavori di cantiere di sabato 11 agosto, che potrai seguire in diretta streaming video dalle ore 8.00 (grazie all'Associazione Radioamatori Italiani)


IV ponte sul Canal Grande_Venezia


17 agosto 2007


sabato 11 agosto 2007

Voglia di lentezza alla maniera del bradipo


bradipo


Per assorbire ogni minima preziosa particella del tempo presente. Per giocare con i pensieri e le fantasie o per sprofondare nell'estasi della meditazione. Per concedersi il buono e il bello di ascoltare la vita che pulsa dentro l'essere e intorno all'essere. Il "mio" bradipo è un'icona estrema, ma non è forse adorabilmente esemplare? E delle piccole nuvole che in una giornata senza vento cambiano forma impercettibilmente?



 

giovedì 9 agosto 2007

indigenous art

Giornata Internazionale dei Popoli Indigeni

9 Agosto 2007


Se oggi si celebra questa XIV Giornata dei Popoli Indigeni, la prima fu indetta dalle Nazioni Unite nel 1994, evidentemente i problemi non sono stati risolti, a cominciare dalla firma della Dichiarazione dei Diritti Universali dei Popoli Indigeni. Non fa scandalo che questa Dichiarazione non ci sia ancora per l'opposizione di grandi ricchi civili paesi come il Canada, l'Australia, gli USA, la Nuova Zelanda, la Colombia (per dirne solo alcuni), mossi dalla preoccupazione per i loro interessi nazionali?

I Popoli Indigeni sono composti da più di 370 milioni di individui che vivono in più di 70 paesi distribuiti in tutte le regioni del mondo. Ci sono almeno 5000 gruppi indigeni che rappresentano differenti culture originarie testimoni della diversità che fa ricco il nostro pianeta.

Questa Giornata, come le innumerevoli altre Giornate dedicate ai problemi mondiali, è un'opportunità in più per rinfrescare la consapevolezza dei grandi insegnamenti che ci vengono dalle culture indigene. Sono popoli che da migliaia di anni vivono in armonia con il loro ambiente e oggi svolgono il compito importante di difendere le porzioni di Terra da loro abitate contro l'irrazionalità delle sfruttamento totale e cieco delle risorse naturali da parte delle società "progredite" (le nostre).

Discriminazione, povertà, esclusione e perfino espulsione violenta sono ancora oggi i problemi che i paesi "sviluppati" procurano ai popoli indigeni in nome del mercato e del profitto a ogni costo.

"Nel febbraio 2007 è stato presentato dal relatore speciale delle nazioni unite Rodolfo Stavenhaugen, in applicazione della risoluzione 60/251 dell’Assemblea generale dell’ONU, il rapporto sulla situazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei popoli indigeni.

Nel rapporto veniva sottolineato che: “Nonostante i progressi nell’adozione di norme che riconoscono i diritti dei popoli indigeni, esse continuano ad essere pressoché inapplicate. Per dare visibilità alle rivendicazioni dei propri diritti e delle proprie legittime necessità, i popoli originari hanno fatto ricorso a differenti forme di organizzazione e mobilitazione sociale, che risultano essere frequentemente l’unica strada per rendere pubbliche le denunce indigene. Tuttavia, in troppi casi tale forma di protesta sociale viene criminalizzata dai governi, dando luogo alcune volte a gravi violazioni dei diritti Umani”.

Secondo il rapporto “La tendenza alla diminuzione delle risorse naturali destinate ai popoli indigeni è rimasta invariata. I territori delle popolazioni ancestrali sono diminuiti, così come anche il controllo dei popoli sulle proprie risorse naturali ed in particolare sulle foreste. Particolarmente colpiti risultano i popoli che vivono in isolamento, come ad esempio nella zona amazzonica o nelle zone aride o semi-aride delle Ande”." continua >>> QUI <<<

Dove siamo noi in queste vicende? Dov'è l'Unione Europea? Non sono riuscita a trovare informazioni, spero perché non ho cercato bene.

martedì 7 agosto 2007

Arborea Saggezza


Arboreal Wisdom 



Lenta, paziente, forte, imperturbabile. Emerge e si consolida turgida di linfa la saggezza degli alberi, con i meandri profondi delle radici scavati nella terra e  i mirabili ghirigori dei rami verdi di foglie spinti verso il cielo. Indicibile, misteriosa, bramata saggezza.



 to O' Shanter with LOVE.

lunedì 6 agosto 2007


  Don Piero Gelmini, 82 anni (Foto: La Repubblica)


Se ritorna il fantasma del complotto anticlericale


di Michele Serra  



E' fortemente probabile che don Pierino Gelmini sia vittima del malanimo di alcuni suoi discepoli frustrati e vendicativi. Malanimo maturato in  quel faticoso viluppo di sentimenti, di dipendenza e di potere che è tipico delle comunità di recupero fondate sul carismo assoluto del Capo e del Padre. Già Vincenzo Muccioli, soccorrevole despota di San Patrignano, si trovò impigliato in quello stesso viluppo di carne e di sangue, con accuse anche più pesanti (omicidio). E ne uscì salvo. E' fortemente probabile, dunque, che don Pierino possa uscire indenne da ogni accusa. Che sia innocente per la legge degli uomini. Ma diventa molto difficile, e perfino illogico, sentirsi solidali con un uomo "che porta la Croce" (sono parole sue), se la sua autodifesa passa per il vero e proprio delirio dietrologico (e ahimè razzista) sfuggitogli di bocca.


Passi per la denuncia di un "complotto politico" nei suoi confronti: è oramai un riflesso pavloviano, un ritornello rituale, acqua fresca da quando l´intera frittata giudiziaria italiana è stata rivoltata da Silvio Berlusconi e dal suo ricco apparato di avvocati, ideologi e adepti a vario titolo. Ma le dichiarazioni sulla "lobby ebraica" che lo odia (poi smentita il giorno dopo secondo un´abitudine ben nota), sulla congiura dei "radical-chic", sui "giudici mascalzoni" che sarebbero il braccio armato di una lobby anticlericale mondiale, segnano una specie di punto apicale del lungo delirio anti-legalitario e sedizioso che ormai da parecchi anni rischia di rendere impraticabile, in questo Paese, perfino il sano esercizio della solidarietà per un imputato presunto innocente.


Di "lobby ebraiche" che manovrano la magistratura italiana, francamente, non era ancora pervenuta notizia. Né nelle passate disavventure giudiziarie del don Gelmini prima maniera (imputato per truffa, assegni a vuoto, bancarotta fraudolenta, e diffidato dalla sua stessa Chiesa, non certo dalle sinagoghe), risulta manifestarsi l´ombra infida di una discriminazione anti-cattolica. Bisognerebbe, dunque, che le persone che consigliano don Gelmini, e lo assistono anche legalmente in questa dura prova, lo aiutassero a ritrovare misura e buon senso, perché un conto è rivendicare la propria innocenza (specie se il contesto sembra suggerire l´ipotesi della vendetta postuma di pecorelle molto smarrite), un altro conto è sparare a zero contro il già corpulento fantasma della "lobby ebraico-radical-chic", uno spauracchio gonfio di paranoia e di pregiudizio.


A sentir ragionare certi innocenti odierni viene una paradossale nostalgia del caso Tortora, quando un innocente coraggioso e combattivo (un innocente d´altri tempi, verrebbe da dire) seppe difendersi mettendo a nudo l´insipienza e la sciatteria deplorevole dei suoi giudici senza mai alimentare a sua volta pregiudizi "politici": politica, per Tortora, voleva dire fare giustizia, illuminare la verità, non occultarla nelle vaghe nebbie del sospetto. Fare luce, non agitare ombre.


Giorni fa, nel ricostruire (molto tendenziosamente) le spinose vicende del rapporto tra politica e giustizia, Angelo Panebianco ha rispolverato, sul "Corriere", la tesi di un "partito dei giudici" sfuggito di mano, come il mostro di Frankenstein, alla sinistra sua creatrice. Punto e basta. Rubando il lavoro al "Corriere", e dunque esercitando un po´ di sano terzismo (visto che i terzisti non lo fanno), va aggiunto che se esiste un partito dei giudici esiste anche un cospicuo e agguerritissimo contro-partito degli imputati, i cui potenti agganci politici e mediatici non costituiscono certo una lobby o una setta, né muovono da una "congiura internazionale", come direbbe don Pierino. Ma che è riuscito a imporre, in molti e disparati settori di questo Paese, una vulgata antigiudiziaria che è almeno tanto facilona, tanto faziosa, tanto ideologica quanto il famoso "giustizialismo".


Dal fotografo Corona a molti inquisiti eccellenti, fino a quest´ultima imbarazzante sparata di Gelmini contro la lobby ebraica che lo vuole incastrare, oramai non c´è imputato che non legga nell´azione della magistratura come minimo un´inimicizia personale, come massimo una trama perversa di imprecisati e misteriosi "poteri forti".


A imperitura memoria di questo progressivo slittamento nella delegittimazione della legge e delle leggi, è perfino spassoso ricordare l´indimenticabile sortita dell´avvocato Taormina, nei giorni di Cogne, contro i "periti comunisti". In attesa che qualcuno, per difendere don Gelmini, tiri in ballo le malefatte dei periti ebrei, o degli uscieri di tribunale atei, viene spontaneo accostare la linea difensiva di molti imputati di grido, specie se ben piazzati socialmente, a quella degli anarco-insurrezionalisti: l´esercizio della legge diventa solo l´esercizio di un arbitrio di classe. Non il travagliato rapporto tra uno Stato e i suoi cittadini, ma la mano pesante delle multinazionali oppure della plutocrazia ebraica avrebbe in mano le chiavi delle galere.


I rivoluzionari e i reazionari sono, almeno in questo, affratellati. I primi con prevalente ingenuità, ma i secondi?


da La Repubblica, 6 agosto 2007


Aggiornamento del pomeriggio


Gelmini e la colpa della Lobby Ebraica


Furio Colombo



Don Pierino Gelmini l’ha detto, e quando certe cose si dicono tradiscono una convinzione profonda, perciò sono dette per sempre. Smentire non serve, perché non c’è niente di accidentale in quello che ha detto, anche se il pover uomo è sballottato e disorientato da brutte accuse di cui non sappiamo niente. Sono accuse che gli fanno paura ed è tragico e umano che l’uomo perda equilibrio. Fa un affannato elenco dei suoi nemici, dei possibili mandanti della imputazione di abusi sessuali su ragazzi ospiti del suo rifugio anti-droga, sulle ragioni della improvvisa rivelazione pubblica delle accuse che lo colpiscono.

E così dice: «Forse perché sono schierato col centrodestra. Forse perché i magistrati sono anti-clericali. Forse perché c’è una lobby ebraica radical chic che sta dietro questa storia».

Poiché sto scrivendo su un giornale di sinistra carico di storia come l’Unità, devo sgombrare il campo da un equivoco che è bene non coltivare. La frase shock che sta al centro di questa vicenda e che dà una coloritura a tutto ciò che d’ora in poi penseremo, diremo, scriveremo della vicenda di Don Pierino Gelmini, non è una frase di destra. O meglio non identifica chi la dice come qualcuno schierato a destra. Attraverso un complicato gioco di rimbalzi (avversione contro Israele, accettazione e uso delle parole d’ordine di coloro che combattono contro Israele, diffusione del negazionismo, confusione più o meno involontaria fra azioni militari di Israele e comportamenti degli ebrei nel mondo) l’odiosa espressione «lobby ebraica» è passata a sinistra ed è passata persino - a volte - nel linguaggio giornalistico ritenuto «indipendente». Vuol dire immaginare un particolare centro di potenza che irradia i propri interessi nel mondo attraverso i media e le banche, piega le volontà, deforma le storie e - se necessario - influenza e condiziona le decisioni che contano.

Che la fonte di tutto ciò siano le cose dette e imposte come verità dal dottor Goebbels e dalla propaganda fascista e nazista è storia lontana e in gran parte perduta. Che, prima ancora, ci sia il celebre documento forgiato dalla polizia nazista oltre un secolo fa e noto come «i Protocolli dei Savi di Sion» è nozione perduta, anche se il documento circola intatto nelle retrovie culturali del mondo arabo e ispira quasi tutta la propaganda che giura d’essere antisionista, dunque anti-israeliana ma non anti-ebrea.

Però c’è sempre un momento in cui tutte le scorie di questo materiale di scarto della storia improvvisamente si raccolgono e si raggruppano, come in una strana combinazione chimica, e formano il solido pregiudizio della «lobby ebraica» (ebraica, non sionista, non israeliana). Descrive il punto in cui tutto il male comincia.

Me lo hanno detto con rabbia, sventolando documenti, alcuni giovani molto ostili, poche sere fa in una festa dell’Unità dell’Umbria (mi ha difeso con generosità il resto della folla, anche quelli non convinti dalle tesi del mio libro in difesa di Israele). Ma il pregiudizio era là, intatto, al centro della cultura che nasce dalla Resistenza.

Ora lo dice un prete duramente accusato, forse ingiustamente e forse no, come naturale ragione di difesa. E la affermazione - netta, inequivocabile, non ritrattabile, perché non è una parolaccia ma un concetto complesso con lunghe radici nella storia - si colora dell’altro significato, quello cristiano, che non è quello dell’antifascismo deragliato.

Tanti storici - e fra essi molti autorevoli protestanti e cattolici - si sono occupati della lama di pregiudizio cristiano che ha attraversato e ispirato il paganesimo razzista, il dio della razza pura del nazismo-fascismo. Anche oggi dobbiamo renderci conto che il ritorno della messa in latino proposta da Papa Ratzinger, reintroduce - pur senza intenzione o forse senza attenzione - parole e preghiere di quell’antico pregiudizio cristiano. Ma ecco ciò che accade: il prete accusato, nel momento del panico (che è comprensibile e umano) cerca fra i suoi materiali di soccorso e trova subito il più efficace: la lobby ebraica. Spiega meglio di ogni altro argomento la persecuzione di un prete.

Proprio il momento del panico tradisce la verità, che purtroppo è un dato della cultura italiana ai nostri giorni. Non a destra più che a sinistra, ma appena sotto la cenere (i molti sommersi, i pochi salvati) della storia italiana.

Don Gelmini offre un frammento non nobile ma vero di memoria condivisa. Don Gelmini dice, a ottant’anni, di avere passato qualcosa (lui, non Primo Levi) ai ragazzi che con rabbia contestavano, solo poche sere fa, a una festa dell’Unità, il diritto di Israele ad esistere. Perché Israele non è che uno dei tanti mali della lobby ebraica.

Don Pierino chiederà scusa, anche se continuerà a tenersi quel tormento («forse mi hanno rovinato gli ebrei radical chic perché sono un prete»). I ragazzi della festa dell’Unità dell’Umbria sono stati allontanati dagli organizzatori e dal Sindaco, ma ancora in lontananza ripetevano le accuse al nemico sionista («giustamente condannato dal Presidente iraniano», dicevano) e all’infaticabile agente del sionismo, la lobby ebraica.

Oggi, fra Don Gelmini e quei ragazzi, posso dire di sentire un penoso effetto stereo. Politicamente le due voci sono lontane e opposte, ma questo è il vero pericolo. È lo scandalo della cultura fallita.

I ragazzi che si credono militanti e i preti che si credono santi conoscono solo la storia del pregiudizio.

furiocolombo@unita.it - 06.08.07 - Modificato il: 06.08.07 alle ore 8.52



Avrei molto da dire sull'argomento che è vasto e inquietante. Lo farò quando non avrò articoli di questo peso da postare.


Aggiornamento 8 agosto 2007


Assedio alla Chiesa?

di Arrigo Levi, La Stampa, 7 agosto 2007


Premetto che non credo neanche per un istante alle accuse di molestie rivolte a Don Gelmini, che ho conosciuto e stimato per la sua opera di recupero dei drogati.

Ma ritengo giusto riflettere, e invitare in amicizia Don Pierino a riflettere ancora, sulle cose che ha detto, e poi ritrattato e corretto, a proposito della «lobby ebraico-radical chic» che, a suo dire, vorrebbe danneggiare o addirittura «svenare» la Chiesa di Roma. In qualche modo, sia la sua smentita, che alcune delle cose dette da suoi ammiratori per scusarlo, sono il classico «peggio il tacòn del buso».

Purtroppo non serve spiegare la frase malaugurata con le parole: «Se l’ho detto mi è sfuggito. Intendevo dire loggia massonica-radical chic». Caro Don Gelmini, come ci insegnavano a scuola, «voce dal sen fuggita più richiamar non vale». Non basta proprio dire: «Chiedo scusa agli ebrei, ho molta stima e considerazione per loro».

Grazie, ma non ne abbiamo bisogno. Non vedo perché Lei non dovrebbe stimarci, né più né meno dei non ebrei. E poi agli ebrei, non so perché, le dichiarazioni di particolare stima danno un certo brivido. Comunque, quel che è detto è detto. E mi pare che in un caso come questo - accetti il consiglio di un Suo estimatore - si imponga un bell’esame di coscienza, magari un ritiro dedicato a una riflessione profonda su una idea tanto antica e diffusa quanto ignobile, che evidentemente, povero Don Gelmini, Lei aveva dentro di sé, nel più profondo della coscienza.

Temo che anche la Sua idea della massoneria sia un’idea sciagurata, come lo è il giustificarsi dicendo: «Pensate a quello che è accaduto in America, alla strumentalizzazione sui preti pedofili americani. La Chiesa ha sbagliato a pagare, a indennizzare... Mi sembra ci sia in atto una strategia mondiale di questa lobby che partendo dalla Chiesa americana tende a indebolire la Chiesa tutta. Guardate che non ci sono solo i preti pedofili! I pedofili sono ovunque, anche tra i pastori protestanti». Scusi: ma che c’entrano i pastori protestanti? Ognuno si faccia gli affari suoi!

Mi ha fatto poi sorridere l’osservazione, che voleva essere rassicurante, di Carlo Giovanardi (concittadino e amico), che ci assicura che né lui, né Berlusconi, che pure hanno studiato per anni dai Salesiani, «sono mai stati molestati». Lo spero bene! Non vedo perché si dovrebbe pensare il contrario. Quanto a definire la frase di Don Gelmini, come ha detto l’onorevole Ronchi, «una gaffe», significa non capire affatto la gravità di ciò che è stato detto: quella frase non era una gaffe, ma un reato bello e buono, definito dalla legge «istigazione all’odio razziale».

Ma perdonare è una virtù, e perdonare fa bene a chi perdona come a chi viene perdonato. Rimanendo dunque in piena e fiduciosa attesa che i giudici riconoscano Don Pierino del tutto innocente dall’accusa rivoltagli di pedofilia, trovo però preoccupante l’idea dello stesso Don Pierino che sia in atto un’attività persecutoria della Chiesa. Come dice sempre l’onorevole Ronchi: «Relativismo culturale e clima anticlericale sono assodati». Ma il «relativismo culturale», in buon italiano, altro non è che la libertà di pensiero, che la nostra Costituzione (art. 21), grazie al cielo, riconosce a tutti.

Quanto al «clima anticlericale», e alla presunta persecuzione della Chiesa, faccio mio il commento di Monsignor Giovanni Nicolini, vicario episcopale di Bologna, che cito: «La Chiesa non è un fortino assediato. Se capitasse a me una cosa del genere, non aprirei più bocca, e soprattutto non griderei al complotto contro la Chiesa. A Don Gelmini, consiglio il silenzio di Cristo davanti ai suoi accusatori. Se si smette di urlare, poi si scopre che non esiste nessun accanimento anticlericale nella nostra società, anzi noi cattolici siamo molto stimati. La vera lacerazione non è tra la Chiesa e il mondo, ma dentro la Chiesa. Allargare alla Chiesa le vicende personali è la vera minaccia antiecclesiale».

Parole sante, che ci piacerebbe sentir ripetere dai più alti livelli della gerarchia. L’idea, un po’ grottesca, che i cattolici siano perseguitati (lasciatelo dire a un ebreo, che di persecuzioni ha una certa esperienza), non nasce, purtroppo, da Don Pierino. A cui rivolgo tutti i miei auguri di continuare, in serenità, l’opera buona a cui ha dedicato, meglio che poteva, la sua vita.