lunedì 31 gennaio 2005

Elezioni in Iraq



Voglio sperare in qualcosa di buono, o di meno peggio, per gli Iracheni.

sabato 29 gennaio 2005

Domenica 30 Gennaio 2005 


52° GIORNATA MONDIALE DEI MALATI DI LEBBRA


Malato di lebbra in cura con danni alla mano. Copyright - Who/P. Virot



Con l’amore nulla è impossibile


"La Giornata mondiale dei malati di lebbra (Gml) è la principale ricorrenza promossa dall’Aifo. Fu istituita nel gennaio 1954 da Raoul Follereau. Il giornalista e scrittore francese volle con questa celebrazione dare voce a coloro che più di altri al mondo soffrivano per le conseguenze della malattia e per quelle, non meno dolorose, dell’emarginazione, dell’abbandono, della riduzione ad una condizione meno che umana." ( Fonte: http://www.aifo.it/ )




...


Oggi è anche l'anniversario della morte del


Mahatma Gandhi


Cinquantasei anni fa, il 30 gennaio 1948, l'apostolo della non violenza che il poeta Tagore chiamo "Grande Anima", fu ucciso da un fanatico hindu, durante un incontro di preghiera. 




C'è un problema oggi a cui Gandhi si dedicò coraggiosamente, il problema dei "dalit", appartenenti alla casta dei diseredati nella società indiana, chiamati "intoccabili" o "fuoricasta". Gandhi li chiamò "harijan", "figli di Dio".


La tradizione imponeva ai dalit di vivere ai margini della società e di essere impiegati, di generazione in generazione, in lavori considerati degradanti, come becchini, ciabattini e lavandai. A tutt'oggi la maggior parte delle famiglie dalit continuano a trovarsi in questa condizione, anche se le caste sono state ufficialmente abolite nel 1947.


Proprio oggi, però, nei giorni della tragedia dello tsunami, il problema dei dalit si è di nuovo imposto alla nostra 'disattenzione'.


Gli “intoccabili” indiani raccolgono i morti dello tsunami


Ancora una volta l'ingiustiza delle caste


Il governo Indiano, all’indomani del disastro dello tsunami, ha dichiarato di avere mezzi e risorse sufficienti per affrontare l'emergenza. Dalle testimonianze appare invece evidente come il potere e la burocrazia indiana siano perfettamente in grado, come nel caso l'ingiustizia verso i dalit, di nascondere i problemi negandone l’esistenza. ... continua ( Fonte: QUI )


e ancora: India - 26.1.2005. Società crudele. India, i fuori casta sono lasciati senza aiuti. Intervista a un'operatrice umanitaria


Da un mese ormai si aggirano tra le macerie e i cadaveri senza guanti e maschere, completamente esposti al rischio di infezioni. Sono tra i dimenticati della tragedia del 26 dicembre: centinaia, forse migliaia di persone che per antiche credenze locali non meritano alcun soccorso. In India li chiamano Dalit, o anche ‘fuori casta’ e ‘intoccabili’, e rappresentano l’ultimo stadio di un sistema sociale fondato sulla discriminazione. Anche nella comune tragedia – nel Paese asiatico sono morte circa 11mila persone - sono stati esclusi da ogni tipo di aiuto e addirittura cacciati dai campi per sfollati. In mano hanno solo  bottiglie di alcool che gettano sulle rovine per combattere il puzzo acre.



vittima tsunami

 

Come schiavi. Il maremoto ha colpito soprattutto i piccoli villaggi del sud dell’India dove i Dalit sono al servizio dei pescatori. “Nelle zone rurali indiane c’è un villaggio principale abitato da pescatori e contadini e lì vicino un altro agglomerato più piccolo in cui vivono gli intoccabili”, ci spiega Lawrencia Kwark, capo missione in India dell’Ong francese Comité catholique contre la faim et pour le développement (CCFD), che da tempo si occupa dei Dalit. “Sono poverissimi. Non possiedono né un appezzamento di terra né una barca, ma sistemano le reti e puliscono le imbarcazioni. Dipendono quindi anche loro dall’economia della pesca che oggi è in crisi proprio a causa dello tsunami”.

 

Cacciati dai campi. Il 26 dicembre è iniziato un inferno. “Le loro fragili capanne – continua Kwark - sono state tutte distrutte dalla marea, anche se si trovavano a tre chilometri dalla costa. Non hanno resistito a un’onda tanto violenta. I sopravvissuti hanno cercato riparo nei campi profughi, ma i pescatori li hanno costretti ad andarsene quasi subito o addirittura non li hanno fatti entrare. Per paura di rappresaglie i Dalit non hanno opposto resistenza. Alcuni si sono rifugiati presso i parenti, mentre i meno fortunati vagano da settimane per le strade senza cibo e lavoro”. ... continua ( Fonte: http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idart=1125 )





Ho amici indiani che amo e rispetto, ho trovato nobilissime e altissime cose nell'Induismo, che comunque non ritengo responsabile di questa vergogna delle caste, perché nei testi sacri non ho trovato nulla a sostegno di questo orrore sociale.

Gandhi stesso definiva il problema delle caste una terribile macchia sull'Induismo, ma io penso che la macchia sia sulle solite interpretazioni di comodo dei potenti nel corso della storia, anche se non potrei giurarci (per la mia ignoranza).

In rete ho conosciuto un giovane appartenente a una famiglia di dalit che si è convertita al Buddhismo per sfuggire a questo destino sociale. Molti dalit si convertono al Cristianesimo per lo stesso motivo. I miei amici indiani parlano di deviazione dalla legge e di misinterpretazione dei testi sacri, e sono molto in imbarazzo di fronte all'argomento.  


venerdì 28 gennaio 2005

Il giorno della memoria: l'altro sterminio

a cura di PeaceReporter


Oggi ho trovato questo lungo documento che completa il quadro delle vittime dei campi di sterminio. Mi sembra giusto e utile consevarlo integralmente in questo diario in cui raccolgo alcune delle testimonianze che ritengo importante ricordare e poter rileggere in qualsiasi momento. Nelle celebrazioni ufficiali e anche nei normali testi di storia, per quello che ne so io ovviamente, "l'altro sterminio" è un argomento a cui si fa cenno senza molti approfondimenti. Certo è una mia mancanza, perciò ho approfittato del lavoro di PeaceReporter.


Nei campi di sterminio vennero uccisi anche cinque milioni di detenuti non-ebrei: antifascisti di tutta Europa, prigionieri di guerra, rom, omosessuali, testimoni di Geova, malati di mente, emigranti apolidi. Un altro sterminio di cui si parla poco o niente, nonostante le sue tragiche dimensioni. Chi si aggirava tra le baracche di un campo di sterminio nazista non si imbatteva solo nei detenuti ebrei, contraddistinti da una stella di Davide gialla puntata sulle loro divise grigie a righe nere. Era possibile scorgere decine di altri simboli: stelle e triangoli di vari colori, uno per ogni tipologia di internato. C’era il triangolo rosso per gli oppositori politici: socialisti, comunisti, anarchici, e democratici antifascisti di tutta Europa, italiani, tedeschi, francesi ma soprattutto polacchi e cecoslovacchi. La loro nazionalità era segnalata con l’aggiunta di una lettera nera sopra al triangolo.
Sempre rosso, ma con il vertice all’insù, era il triangolo per i prigionieri di guerra catturati dalla Wermacht, l’esercito tedesco. I prigionieri di guerra ‘speciali’ erano marchiati invece con un cerchio rosso dentro uno bianco.



 























 











Il triangolo marrone distingueva i detenuti rom, quello rosa gli omosessuali, quello blu gli emigranti apolidi, che in realtà erano per la maggior parte rifugiati politici spagnoli non riconosciuti dalla Germania hitleriana in quanto in fuga dal regime fascista dell’alleato Franco.

I testimoni di Geova, che furono tra i primi a promuovere l’obiezione di coscienza alla leva nell’esercito della Germania nazista, erano segnati con un triangolo viola.
Quello nero distingueva i cosiddetti ‘antisociali’, una vasta categoria comprendente malati di mente e disabili (già oggetto del tremendo progetto di ‘eutanasia’ T4), vagabondi, mendicanti, venditori ambulanti, prostitute e lesbiche.



Infine un triangolo verde per i criminali abituali e infine una fascia al braccio con la scritta ‘idiota’ per i ritardati mentali.
Se il prigioniero appartenente a una di queste categorie era anche ebreo, il suo triangolo si sovrapponeva alla stella di Davide gialla.

In tutto, secondo l’autorevole centro studi sull’olocausto Simon Wiesenthal, le vittime non ebree della follia hitleriana furono cinque milioni. Un altro sterminio di cui si parla poco o niente, nonostante le sue tragiche dimensioni.

Terese Pencak Schwartz, una ricercatrice di origini ebraiche, scrive sul sito
Olocausto dimenticato dedicato alle vittime non ebree: “Mentre non c’è dubbio che Hitler abbia perseguito le sue politiche di odio nei confronti degli ebrei causando la morte di sei milioni di persone, troppo spesso le vittime non ebree vengono dimenticate. In tutto furono undici milioni le vite preziose perse durante l’olocausto. Sarebbe molto triste dimenticare anche solo una vita. Sarebbe una tragedia dimenticarne cinque milioni”.


Il triangolo viola
Questo colore venne assegnato ai testimoni di Geova internati nei campi di sterminio

In Germania erano poco più di ventimila i Bibelforscher o Studenti Biblici, come erano allora chiamati i testimoni di Geova, quando i nazisti andarono al potere nel ’33.

Da subito furono presi di mira per il loro rifiuto di sostenere l’ideologia nazista. Quasi diecimila testimoni di Geova tedeschi furono internati nelle prigioni o nei campi nazisti, dove duemila di loro trovarono la morte. I testimoni non prendevano parte alla vita politica e soprattutto alle guerre. Dal loro credo religioso discendevano una serie di comportamenti quotidiani che si scontravano con l’ideologia totalizzante del nazismo: il rifiuto di imbracciare le armi e di lavorare per l’industria bellica, il rifiuto di idolatrare il führer (il saluto “Heil Hitler!”) o la svastica, il rifiuto di aderire al partito nazista, nonché l’imparzialità con cui diffondevano il messaggio evangelico non facendo distinzioni tra razze.

Quella dei testimoni fu la prima associazione religiosa ad essere proscritta nella Germania nazista già nella primavera del ’33.

Per uscire dai campi di concentramento o di prigionia ai testimoni internati sarebbe stato sufficiente firmare un’abiura, che recitava: “Ho lasciato completamente l’organizzazione degli Studenti Biblici o testimoni di [ Geova] e mi sono liberato nel modo più assoluto dei [suoi] insegnamenti . . . Con la presente assicuro che mai più prenderò parte all’attività . . . degli Studenti Biblici. Denuncerò immediatamente chiunque mi avvicini con l’insegnamento degli Studenti Biblici o riveli in qualche modo di farne parte. Consegnerò immediatamente al più vicino posto di polizia tutte le pubblicazioni degli Studenti Biblici che dovessero essere inviate al mio indirizzo. In futuro stimerò le leggi dello Stato, specie in caso di guerra difenderò, armi alla mano, la madrepatria e mi unirò in tutto e per tutto alla collettività”.

Dal 1933, bibbie e pubblicazioni bibliche vennero confiscate ai testimoni e date alle fiamme. Singoli testimoni furono picchiati e arrestati perché partecipavano a riunioni di culto. Si moltiplicarono i licenziamenti di coloro che lavoravano nella pubblica amministrazione, nella scuola o in altri impieghi pubblici. I loro figli vennero espulsi da scuola. Centinaia di genitori si videro privati della potestà e i figli furono avviati a centri di rieducazione nazista.

Nel 1936 la Gestapo formò un’unità speciale per dare la caccia ai testimoni che si ostinavano a sfidare il bando nazista e continuavano ad osservare clandestinamente i precetti della loro fede. Nel 1938 erano già circa seimila i testimoni imprigionati o internati per la loro fede, con la loro riconoscibile uniforme completata dal triangolo viola.
Il primo obiettore di coscienza tedesco della II guerra mondiale ad essere passato per le armi fu proprio un testimone di Geova: August Dickmann. Fu fucilato il 15 settembre 1939 nel campo di concentramento di Sachsenhausen, per ordine di Heinrich Himmler, capo delle SS.


Il triangolo blu
Il colore blu veniva assegnato agli apolidi. Tra di loro i repubblicani spagnoli

Nella storia della deportazione politica in Germania c’è una pagina poco conosciuta di cui sono stati vittime circa dodicimila spagnoli. Malgrado la posizione ambigua tenuta dalla Spagna durante la Seconda Guerra Mondiale, prima favorevole all’Asse Roma-Berlino, poi, quando il vento cambiò, favorevole agli Alleati, alcuni spagnoli pagarono un alto tributo di sangue alla causa della libertà. I deportati spagnoli erano una parte dei cinquecentomila repubblicani, anziani, donne, bambini e militari che tra il gennaio e il febbraio 1939 attraversarono la frontiera della Catalogna per sfuggire alla persecuzione dei franchisti, che uccidevano gli avversari politici compiendo quello che loro chiamavano "limpieza", pulizia. Scapparono per trovare rifugio in Francia.

Le autorità francesi, però, impreparate a fronteggiare un esodo di tali dimensioni, trattennero i profughi appena oltre il confine, sui Pirenei. Poi li trasferirono sulle spiagge del Sud-Est e li rinchiusero fra il mare e il filo spinato. Per giorni rimasero in umide buche scavate nella sabbia, con poco cibo e senza assistenza medica. Donne, bambini e feriti furono quindi trasferiti in strutture più adeguate mentre sulle spiagge del Roussillon furono costruite baracche di legno per dare agli uomini un rifugio meno precario.

Con l’aggravarsi della minaccia di guerra, il governo francese costituì le "Compagnies de Travailleurs Étrangers" (C.T.E.). Ognuna aveva duecentocinquanta internati agli ordini di un ufficiale della riserva, per lavorare alla costruzione delle infrastrutture pubbliche nei dipartimenti e al completamento della linea Maginot. Cinquemila di questi rifugiati, decisi a combattere contro i tedeschi, si arruolarono nei "Battallions de Marche" della Legione Straniera.

Entrambi i gruppi si trovarono coinvolti nella disfatta dell’esercito francese del giugno 1940 e molti caddero prigionieri dei tedeschi. Dietro sollecitazione di Ramon Serrano Suñer, Ministro degli Esteri spagnolo e cognato di Franco, fu loro negato lo status di prigionieri di guerra e furono definiti prigionieri politici.Furono inviati al campo di Mauthausen in Austria, all’epoca riservato agli antinazisti ed ai detenuti comuni tedeschi ed austriaci.

Ma i tedeschi negarono loro anche la qualifica di politici. Ai repubblicani spagnoli, infatti, non fu imposto il triangolo rosso con l’iniziale della nazionalità al centro. I Rotspainier o Spanischer Bolschewik furono messi tra gli apolidi e marchiati dal triangolo blu.

Il documento ufficiale del comando del campo, ora in possesso dell’ Amicale nationale des déportés et familles de disparus de Mauthausen et ses commandos di Parigi elenca 10.350 nominativi internati tra il 6 agosto 1940 ed il 20 dicembre 1941. Altre fonti stimano che gli internati di nazionalità spagnola furono tra i dodici e i quindicimila, per cui – tenuto conto dei 2.398 sopravvissuti - i decessi oscillerebbero tra l’80 e l’84 per cento.

Molti spagnoli furono destinati alla costruzione della recinzione del campo e delle ville per le SS, ma la maggior parte venne destinata al lavoro nella cava di pietra (la "cantera"), di proprietà delle SS.
Tra il ‘41 e il ‘42 ne furono uccisi circa 4.200. Le eliminazioni più feroci avvennero al sottocampo di Gusen, tra il dicembre 1941 ed il gennaio 1942, quando costituirono la maggioranza delle 1.628 persone eliminate con operazioni bagno o iniezioni al cuore.

La disciplina militare, la dura esperienza dei campi francesi e la giovane età media - ventisette anni - consentirono agli spagnoli di adattarsi alle condizioni di vita del campo di concentramento. Impararono un po’ di tedesco dai volontari germanici ed austriaci che avevano militato nelle Brigate Internazionali e organizzarono dei corsi di lingua. Era importante capire gli ordini urlati dai Kapò, era il solo modo per ottenere i lavori meno pesanti o per inserirsi nell’organizzazione amministrativa del campo. Molti di loro, infatti, divennero interpreti, segretari d’infermeria o dell’intendenza, altri fecero i barbieri o gli addetti alle cucine e alle pulizie.

Dal 24 giugno 1941 costituirono il Comitato Spagnolo di Resistenza, prima cellula dell’Apparato Militare Internazionale (A.m.i), organismo militare dei diversi gruppi nazionali, formatosi con l’intermediazione di ex soldati delle Brigate Internazionali. Fu questo Comitato a gestire il campo nel periodo tra la fuga delle SS e l’arrivo delle truppe alleate, accolte dagli spagnoli con un grande striscione: "Los españoles antifascistas saludan a las forzas de liberación".

Furono l’unico gruppo nazionale che immediatamente dopo la liberazione costituì un tribunale straordinario che condannò a morte e fece giustiziare diversi connazionali che erano diventati Kapò agli ordini delle SS.

Il 6 maggio 1962 fu eretta nel campo, a cura del Governo della Repubblica Spagnola in esilio, una stele a ricordo del loro sacrificio, recante la semplice scritta: "Homenaje a los 7.000 Republicanos Españoles muertos por la Libertad".


Il triangolo rosa
Gli omosessuali durante il nazifascismo

Soltanto un mese dopo l'ascesa al potere di Hitler il nuovo governo nazista proibì tutti i periodici della comunità omosessuale e ne mise fuori legge tutte le organizzazioni. Il vice di Hirschfeld, Kurt Hiller, venne arrestato e inviato nove mesi nel campo di concentramento di Oranienburg. Il 6 maggio 1933 la sede dell'Istituto di Sessuologia veniva devastata e i libri della biblioteca sequestrati e bruciati. Hirschfeld - che era impegnato in un ciclo di conferenze all'estero - sfuggì all'arresto ma non poté rientrare in Germania. La principale casa editrice omosessuale, di proprietà di Adolf Brand, venne devastata cinque volte. Tra la primavera e l'estate 1933 vennero sistematicamente chiusi tutti i luoghi pubblici di ritrovo gay, classificandoli come "minacce all'ordine pubblico". L'Eldorado fu il primo locale ad essere chiuso.

Nel 1935, un anno prima della promulgazione delle leggi discriminatorie contro gli ebrei, il governo nazista riprese in mano il "Paragrafo 175" allargandone la casistica e ampliandone la portata. Il nuovo testo della legge era il seguente: "Un uomo che commetta un atto sessuale contro natura con un altro uomo o che permetta ad un altro di commettere su di sé atti sessuali contro natura sarà punito con la prigione.

Qualora una delle due persone non abbia compiuto i ventun'anni di età al momento dell'atto, la Corte può, specialmente nei casi meno gravi, astenersi dall'irrogare la pena". Seguiva un articolo aggiuntivo ed esplicativo, 175a: "I lavori forzati sino a dieci anni o, in caso di circostanze attenuanti, il carcere di durata non inferiore ai tre mesi saranno applicati a: 1) un uomo che con la violenza o la minaccia di violenza costringa un altro uomo a commettere atti sessuali contro natura o consenta ad essere oggetto di atti sessuali contro natura; 2) un uomo che approfittando del rapporto di dipendenza sia esso servizio, impiego o subordinazione, induca un altro uomo a commettere atti sessuali contro natura o consenta ad essere oggetto di atti sessuali contro natura; 3) Un uomo maggiore di ventun'anni che seduca un altro uomo minore di ventun'anni per commettere atti contro natura o per far si che vengano commessi su se stesso; 4) Un uomo che pubblicamente compia atti contro natura con altri uomini o offra se stesso per gli stessi atti."

L'omosessualità maschile veniva differenziata da quella femminile. Secondo l’ex Ministro della Giustizia Frick infatti "Considerando gli omosessuali maschi ad essere danneggiata è la fertilità, poiché usualmente costoro non procreano. Ciò non è ugualmente vero per quanto riguarda le donne o almeno non con la medesima ampiezza. Il vizio è più pericoloso tra uomini piuttosto che tra donne". Alla fine del 1936 venne costituito l'Ufficio Centrale per la lotta all'omosessualità e all'aborto. Il decreto che istituiva l'Ufficio recitava: "L'alto numero di aborti ancora commessi provoca considerevoli pericoli alla politica demografica e alla salute della nazione costituendo anche un grave attentato ai fondamenti ideologici del nazionalsocialismo. Le attività omosessuali di una non trascurabile parte della popolazione, costituiscono una seria minaccia per la gioventù. Tutto ciò richiede l'adozione di più incisive misure contro queste malattie nazionali".

Le più incisive misure ebbero negli anni successivi un nome: campi di concentramento. Le porte dei campi di concentramento si aprirono per gli omosessuali molto presto: nel 1933 abbiamo i primi internamenti a Fuhlsbuttel, nel 1934 a Dachau e Sachsenhausen. Molte centinaia furono internati in occasione delle Olimpiadi di Berlino del 1936 per "ripulire le strade". Tuttavia le cifre - se confrontate con l'enormità dello sterminio degli ebrei europei - mostrano un atteggiamento apparentemente contraddittorio da parte delle autorità naziste.

Vi è concordanza sulle cifre degli omosessuali morti nei campi di concentramento tra il 1933 ed il 1945: circa settemila. Si trattava per la quasi totalità di omosessuali di nazionalità tedesca, poiché, a differenza degli Ebrei e degli Zingari, i nazisti non perseguitarono o cercarono di perseguitare gli omosessuali non tedeschi. Sempre tra il 1933 ed il 1945 le persone processate per la violazione del Paragrafo 175 furono circa sessantamila, di questi circa diecimila vennero internati nei campi di concentramento. I nazisti distinguevano tra "cause ambientali" che avevano condotto alla omosessualità e "omosessualità abituale". Nel primo caso il carcere duro, i lavori forzati, le cure psichiatriche e la castrazione volontaria erano ritenuti provvedimenti utili al reinserimento nella società. Nel secondo caso invece l'omosessualità veniva considerata incurabile.

Il tasso di mortalità degli omosessuali nei campi fu del 60% contro il 41% dei prigionieri politici ed il 35% dei Testimoni di Geova. Un altro dato significativo è dato dal fatto che due terzi degli omosessuali internati morirono durante il primo anno di permanenza nei campi. Questi dati portano a due conclusioni ancorché provvisorie. La prima: tra gli omosessuali internati un considerevole numero doveva essere rappresentato dalla fascia di "omosessualità abituale" più evidente e cioè dalle transessuali. La seconda: l'omosessualità "abituale" veniva considerata una malattia degenerativa della "razza ariana" e, per questo motivo, sugli omosessuali vennero condotti con particolare intensità esperimenti pseudoscientifici quasi sempre - come vedremo - mortali.

In più, come emerge dalle testimonianze, l'accanimento delle SS contro gli omosessuali era particolarmente violento. A questo si aggiunga che i detenuti omosessuali - a differenza delle altre categorie - secondo numerose testimonianze assumevano un atteggiamento di rinuncia alla sopravvivenza con un tasso di suicidi (gettandosi sul filo spinato elettrificato dei campi o rifiutando il cibo) estremamente elevato. Più di altri prigionieri gli omosessuali subivano un crollo psicologico profondissimo. In un primo tempo gli internati in base al Paragrafo 175 erano costretti ad indossare un bracciale giallo con una "A" al centro. La "A" stava per la parola tedesca "Arschficker", sodomita.

Altre varianti furono dei punti neri o il numero "175" in relazione all'articolo di legge. Soltanto successivamente, seguendo la rigida casistica iconografica nazista venne adottato un triangolo rosa cucito all'altezza del petto. La vita nei campi di concentramento per i "triangoli rosa" fu terribile e seconda soltanto ai prigionieri ebrei. La storia di Heinz Heger in questo senso è illuminante. Heinz Heger era uno studente ventiduenne dell'Università di Vienna senza alcun impegno politico, non era membro dell'associazione studentesca nazista né di qualsiasi altra organizzazione. Cresciuto in una famiglia cattolica osservante, ciononostante trovò in sua madre comprensione e accettazione per la sua omosessualità. Heinz non fece mistero con nessuno della propria omosessualità e gli effetti non tardarono a manifestarsi.

Il padre venne licenziato e intorno alla famiglia si fece il vuoto a causa dell'arresto di Heinz per violazione dell'Articolo 175. A seguito dell'arresto il padre si suicidò lasciando un biglietto per la moglie con queste parole: "E' troppo per me. Perdonami. Dio protegga nostro figlio". Arrestato nel 1939, Heinz venne processato e condannato a sei mesi di prigione. Il partner di Heinz non venne giudicato per "disordini mentali". Trascorsi i sei mesi ad Heinz venne notificato che su richiesta del Dipartimento Centrale di Sicurezza non sarebbe stato scarcerato ma trasferito al campo di concentramento di Sachsenhausen. Qui dopo essere stato malmenato come benvenuto e lasciato ore in piedi nel campo in pieno inverno venne sistemato nel blocco degli omosessuali che all'epoca ospitava 180 persone.

In omaggio all'idea nazista che attraverso il lavoro duro si otteneva la "purificazione" i prigionieri erano adibiti a lavori pesanti senza senso come spazzare la neve a mani nude trasportandola su un lato della strada per poi essere costretti a portarla tutta sul lato opposto. A maggio del 1940 venne trasferito al campo di concentramento di Flossenburg dove rimase sino alla fine della guerra. Con la liberazione dei campi da parte degli Alleati paradossalmente i triangoli rosa non riacquistarono la libertà. Statunitensi ed Inglesi non considerarono gli omosessuali alla stessa stregua degli altri internati, bensì come criminali comuni. In più non considerarono gli anni passati in campo di concentramento equivalenti agli anni di carcere. Ci fu così chi, condannato a otto anni di prigione, aveva trascorso cinque anni di carcere e tre di campo e per questo venne trasferito in prigione per scontare altri tre anni di carcere.
 


Il lager degli zingari
Il lager per famiglie zingare nacque ufficialmente nel marzo del '43

Il lager per famiglie zingare, noto come Zigeunerlager, nacque ufficialmente nel marzo del '43, per decreto del ministro degli Interni e capo delle SS Heinrich Himmler
Costruito tra il '43 ed il '44 all'interno del settore B2 di Auschwitz-Birkenau, lo Zigeunerlager ospitò circa 23.000 persone: 10.094 uomini, 10.888 donne e bambini e oltre 2.000 deportati non registrati. Erano per lo più di zingari tedeschi e boemi; un numero più esiguo proveniva da Polonia, Ungheria, Russia, Lituania e Francia.

Almeno nei primi tempi, le condizioni di vita e le norme dello Zigeunerlager furono diverse da quelle vigenti in tutta Auschwitz. All'interno dei recinti elettrificati, gli zingari potevano conservare la propria unità familiare e contrariamente agli altri reclusi, riuscirono ad evitare le selezioni e i passaggi nelle famigerate camere a gas. Nei piani del Reich, infatti, la loro reclusione non avrebbe dovuto concludersi con lo sterminio.

Presto, però, lo Zigeunerlager perse le caratteristiche di campo sui generis, per uniformarsi agli standard degli altri lager nazisti. E quando nel luglio del '43 Heinrich Himmler si recò in visita allo Zigeunerlager, il suo accompagnatore Rudolph Höss descrisse così il campo: "Gli feci percorrere in lungo e largo il campo zigano, ed egli esaminò attentamente ogni cosa: le baracche d'abitazione sovraffollate, i malati colpiti da epidemie. Vide i bambini preda dell'epidemia infantile di noma, che io non potevo mai guardare senza orrore e che mi ricordavano i lebbrosi che avevo visto a suo tempo in Palestina [...]. [Himmler] si fece dare le cifre della mortalità tra gli zingari, che tuttavia erano relativamente basse rispetto alla media del campo, tranne appunto che per i bambini. [...] dopo aver visto tutto questo ed essersi reso conto della realtà, diede l'ordine di annientarli" .

La fine dello Zigeunerlager iniziò nel maggio 1944, con la liquidazione graduale del campo e l'uccisione dei prigionieri nei forni crematori: 21.000 in tutto. Come recita una canzone zingara, ci fecero entrare dal portone e uscire dai comignoli".


Gli Alleati sapevano?
Roosevelt e Churchill non bombardarono i lager perché dicevano di non avere prove.
Gli Alleati sapevano dei campi di sterminio nazisti, ma decisero di non agire. Questa grave accusa è al centro di un dibattito storiografico che dura da decenni, e che ora si arricchisce di un elemento documentale che nessuno può ignorare. Come accadde invece nel 1944.

Nei giorni scorsi la Royal Air Force britannica ha aperto i suoi archivi fotografici risalenti alla seconda guerra mondiale rendendo di pubblico dominio, tra le altre, foto aeree di Auschwitz, Birkenau  e altri lager nazisti che mostrano i prigionieri in fila per l’appello fuori dalle baracche e addirittura il fumo che esce dai camini dei forni crematori. Immagini come queste, unitamente alle informazioni di intelligence in possesso di Stati Uniti e Gran Bretagna fin dal 1942, costituivano la prova che quelli non erano normali campi di prigionia ma qualcosa di tragicamente diverso.

Quelle foto, così come moltissime altre scattate dai piloti della Raf alla vigilia dello sbarco alleato in Normandia del giugno ‘44, arrivarono sulle scrivanie del presidente americano Franklin Delano Roosvelt e del primo ministro britannico Winston Churchill. E vi arrivarono assieme a ripetute richieste di bombardare le infrastrutture dei lager nazisti (camere a gas, forni crematori, treni e ferrovie). Ma sia Washington che Londra decisero di non agire. E lo fecero proprio adducendo, come motivo principale, la mancanza di documentazione fotografica in merito. Ma non era vero.

Che il problema non fosse la mancanza di immagini è dimostrato anche dal fatto che mai fu ordinato di acquisirle. I comandi alleati non ordinarono missioni di ricognizione sui campi di concentramento, ma solo sugli impianti industriali tedeschi da bombardare. Le testimonianze dei piloti della Raf e dei tecnici militari che analizzavano le immagini (tra tutti, i tecnici della Cia Dino Brugioni e Robert Poirer, che su questo hanno pubblicato anche dei libri) raccontano che le foto di Auschwitz e Birkenau, ad esempio, sono state scattate ‘per caso’ nell’ambito di missioni riguardanti una vicina fabbrica che produceva carburanti sintetici, la I.G. Farben Bunald.

A chi insistette per agire subito, venne detto che una simile azione avrebbe poi messo a rischio la vita di troppi prigionieri e che inoltre le strutture di sterminio sarebbero state presto ricostruite. Un’obiezione cui esperti militari ribatterono dicendo che la distruzione mirata delle infrastrutture dei lager avrebbe causato un numero di vittime di gran lunga inferiore a quello causato dalla prosecuzione della follia nazista; che una simile azione avrebbe diminuito del 75 per cento l’efficienza della macchina di sterminio di Hitler, e che poi, continuando a sorvegliare dall’alto e a bombardare, si sarebbe rallentata o impedita la ricostruzione di camere a gas e binari. Ma nulla accadde e quei camini continuarono a fumare.


Nazisti in sud America
Subito dopo la guerra sono arrivati in America Latina. Con appoggi eccellenti.
Di sicuro non tutte le menti delle strategie criminali naziste sono state confinate nelle carceri dopo il processo di
Norimberga (20 NOVEMBRE 1945-1 OTTOBRE 1946). Molti di loro si sono rifugiati nel sud e nel centro America, con l'appoggio della chiesa cattolica e dei servizi segreti degli Usa.
 
La Costa Rica. Come nel caso della Costa Rica, dove ha vissuto indisturbato dal 1982 al 2003 Bohdan Kozyi (morto appunto nel 2003), un criminale nazista. Kozyi era accusato di aver fatto  parte del Comando Stanislaw, il reparto scelto della  polizia ucraina che appoggiava l’esercito nazista, e che si rese responsabile dell'omicidio di almeno tre persone, tra cui una bimba di tre anni, tutte di origine ebrea. I tre fatti sono tutti documentati da testimoni oculari.
Prima di ottenere la residenza costaricense, Kozyi aveva vissuto negli Stati Uniti.
 
San Carlos de Bariloche, Argentina. Qui è arrivato Erick Priebke nel 1954 (anche se dal 1948 viveva in Sud America). Dopo essere stato uno dei protagonisti più crudeli della storia del nazismo (implicato in diverse eccidi, soprattutto nel massacro delle fosse ardeatine a Roma), è scappato con tutta la famiglia in sud America. Il suo caso è stato (ed è tutt'ora) al centro delle cronache. A San Carlos de Bariloche Priebke divenne famoso, amato e stimato da tutta la popolazione del piccolo e meraviglioso paesino che si trova alle pendici delle Ande argentine. Aveva aperto addirittura un negozio, dove "teneva un ritratto di Hitler nel retrobottega, ma aveva i migliori affettati di tutta la città" ricorda una concittadina.

Ma questo angolo di Argentina cela, fra le casette in stile tirolese, altri tremendi segreti. Il mefistofelico dottor Mengele, conosciuto come  l'Angelo della Morte di Auschwitz, ha vissuto qui prima della sua morte avvenuta in Brasile nel 1979.

Adolf  Eichmann, il principale responsabile dello sterminio di milioni di ebrei europei, che soleva ricordare "all'occorrenza salterò nella fossa ridendo perché la consapevolezza di avere cinque milioni di ebrei sulla coscienza mi dà un senso di grande soddisfazione", trascorreva a Bariloche lunghi periodi di vacanza.
Questo paesino era diventato una piccola Germania,  un luogo tranquillo, dove, si diceva che il compleanno di Hitler veniva festeggiato con uniformi della Gestapo (la polizia segreta dello stato nazista), nelle case ben chiuse ed appartate dei suoi fanatici collaboratori.
 
Guatemala. Questo è l’unico paese fuori dall’Europa che ha visto una parata militare nazista, racconta il cooperante italiano Flavio Tannozzini.

In questa nazione si sono nascosti diversi capi nazisti. Ora sono rimasti i loro eredi, ma pare con la stessa cattiveria razzista. Tannozzini è stato anche testimone di un fatto a dir poco sconcertante. Ha assistito allo sgombero di una comunità indigena da parte della polizia e ha raccolto dalla bocca di una donna questa dichiarazione: “Ci vuole una dittatura di destra dalla mano dura, perché altrimenti gli indios fanno quello che vogliono”. “La terra è degli indigeni” dice Tonnazzini, “agli europei che vengono qui a costruirsi una piscina in mezzo alla giungla non chiedono nemmeno il permesso di soggiorno. Sono sempre più convinto di trovarmi di fronte ad un altro “errore” della storia” 


A cura di Enrico Piovesana, Alessandro Grandi e la redazione di Peacereporter















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giovedì 27 gennaio 2005

Shoah: 60 anni


I simboli per identificare i prigionieri


Tutte le vittime del male mazista e fascista.


I simboli usati dai nazisti per identificarle. 


Ricordare che questo è accaduto. Ma che cosa ricordare? A che scopo ricordare?


Questo è potuto accadere, è accaduto.


Nel passato lo sterminio di intere popolazioni si era già verificato.


In anni successivi è accaduto di nuovo, sia pure in forme e misure diverse.


Oggi può ancora ripetersi: questo dobbiamo ricordare, su questo dobbiamo concentrarci per fronteggiare l'ideologia, che sembra eterna, della discriminazione e della violenza. 


"L'ur fascismo ( o il fascismo eterno ) è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole per noi se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: 'voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane'. Ahimé, la vita non è così facile! L'ur-fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme - ogni giorno, in ogni parte del mondo".  Umberto Eco


Eco qui si riferisce, a mio parere, non a un determinato fascismo come quello italiano, ma a un'idea, un'ideologia fascista che può permeare di sé anche altre idee o ideologie. Come è accaduto, per esempio, nella degenerazione dei regimi comunisti che provocò crimini di immense proporzioni, numericamente anche più grandi.


L'unicità del nazifascismo è nella teorizzazione del "male assoluto" come obiettivo da raggiungere, obiettivo normale e naturale per la "razza superiore".  L'unicità è nella organizzazione precisa dello sterminio, nella realizzazione convinta di un programma considerato "legittimo". Non penso che ci siano state altre ideologie del genere. Ci sono state fedi religiose e ideologie politiche in nome delle quali si sono perpetrati crimini orrendi, ma quei crimini furono commessi, falsificandoli e distorcendoli, contro i principi stessi di quelle fedi religiose e di quelle ideologie.


"Informarsi soltanto non costa sforzo, la vera fatica è trasformare l'informazione in conoscenza.
È anche una fatica implicitamente etica, perché parte sempre da un riconoscimento dell'altro".


( Elie Wiesel, dalla biblioteca digitale di MediaMente ).


Aggiungerei che la mia fatica etica parte anche da un riconoscimento di ciò che è dentro di me, e che è umanamente un miscuglio di bene e di male di cui io stessa devo avere coscienza prima di ogni cosa.





Umberto Eco, dalla lezione tenuta alla Columbia University, 1995


Remember Poem


Per continuare a percorrere il sentiero della memoria (da un'idea di Flor):


http://maqrollilgabbiere.splinder.it/


La Rete della memoria


Guida Internet ai siti dedicati all'Olocausto


Fonte: La Repubblica, mercoledì 26 gennaio 2005 http://www.repubblica.it/online/cronaca/memoria/memoria/memoria.html



Immagine da: "Sei o undici milioni di morti?" http://www.clarence.com/contents/societa/speciali/010126olocausto/pagina001.html

martedì 25 gennaio 2005

 


 


AL VISITATORE


La storia della Deportazione e dei campi di sterminio, la storia di questo luogo non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dai primi incendi delle Camere del Lavoro nell’Italia del 1921, ai roghi di libri sulle piazze della Germania del 1933, alla fiamma nefanda dei crematori di Birkenau, corre un nesso non interrotto. E’ vecchia sapienza, e già così aveva ammonito Heine, ebreo e tedesco: chi brucia libri finisce col bruciare uomini, la violenza è un seme che non si estingue.
E’ triste ma doveroso rammentarlo, agli altri ed a noi stessi: il primo esperimento europeo di soffocazione del movimento operaio e di sabotaggio della democrazia è nato in Italia. E’ il fascismo, scatenato dalla crisi del primo dopoguerra, dal mito della "vittoria mutilata", ed alimentato da antiche miserie e colpe; e dal fascismo nasce un delirio che si estenderà, il culto dell’uomo provvidenziale, l’entusiasmo organizzato ed imposto, ogni decisione affidata all’arbitro di un solo.
Ma non tutti gli italiani sono stati fascisti: lo testimoniamo noi, gli italiani che siamo morti qui. Accanto al fascismo, altro filo mai interrotto, è nato in Italia, prima che altrove, l’antifascismo. Insieme con noi testimoniano tutti coloro che contro il fascismo hanno combattuto e che a causa del fascismo hanno sofferto, i martiri operai di Torino del 1923, i carcerati, i confinati, gli esuli, ed i nostri fratelli di tutte le fedi politiche che sono morti per resistere al fascismo restaurato dall’invasore nazionalsocialista.
E testimoniano insieme con noi altri italiani ancora, quelli che sono caduti su tutti i fronti della II Guerra Mondiale, combattendo malvolentieri e disperatamente contro un nemico che non era il loro nemico, ed accorgendosi troppo tardi dell’inganno. Sono anche loro vittime del fascismo: vittime inconsapevoli.
Noi non siamo stati inconsapevoli. Alcuni fra noi erano partigiani e combattenti politici: sono stati catturati e deportati negli ultimi mesi di guerra, e sono morti qui, mentre il Terzo Reich vacillava, straziati dal pensiero della liberazione così vicina.
La maggior parte fra noi erano ebrei: ebrei provenienti da tutte le città italiane, ed anche ebrei stranieri, polacchi, ungheresi, jugoslavi, cechi, tedeschi, che nell’Italia fascista, costretta all’antisemitismo dalle leggi razziali di Mussolini, avevano incontrato la benevolenza e la civile ospitalità del popolo italiano. Erano ricchi e poveri, uomini e donne, sani e malati.
C’erano bambini fra noi, molti, e c’erano vecchi alle soglie della morte, ma tutti siamo stati caricati come merce sui vagoni, e la nostra sorte, la sorte di chi varcava i cancelli di Auschwitz, è stata la stessa per tutti. Non era mai successo, neppure nei secoli più oscuri, che si sterminassero esseri umani a milioni, come insetti dannosi: che si mandassero a morte i bambini e i moribondi. Noi, figli di cristiani ed ebrei (ma non amiamo queste distinzioni) di un paese che è stato civile, e che civile è ritornato dopo la notte del fascismo, qui lo testimoniamo.
In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si è toccato il fondo della barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa’ che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fà che il frutto orrendo dell’odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai.


Primo Levi



Testo pubblicato per l’inaugurazione del Memorial in onore degli italiani caduti nei campi di sterminio nazisti. Fascicolo edito a cura dell’Associazione Nazionale Ex Deportati politici nei campi di sterminio nazisti, aprile 1980.


Fonte: http://www.ucei.it/giornodellamemoria/testi_testimonianze/witness/witness3.htm

 


 


 



 


lunedì 24 gennaio 2005

Laudato si', mi' Signore, per sor'acqua,


la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.



 


"In acqua veritas, un bene da salvare"


da un articolo di Angelo Mastandrea


Un titolo efficace per parlare di un problema su cui bisogna concentrarsi con la massima attenzione. Non di petrolio si parla, ma di acqua, l'acqua sorella, l'acqua madre di ogni forma di vita.


"I movimenti contro la privatizzazione. I casi Toscana e Campania


Oggi a Firenze i movimenti presentano una legge che chiede una gestione pubblica della più importante risorsa dell'umanità. Le Marche resistono all'attacco delle multinazionali, mentre a Napoli padre Alex Zanotelli sfida multinazionali, Caltagirone e la moglie dell'ex presidente di Confindustria D'Amato, pronti a infilarsi nel business dell'oro blu.


Non saremo alla vigilia di una seconda Cochabamba, la città boliviana da cui partì, nel `99, la cosiddetta «guerra dell'acqua» che destabilizzò il governo. E' però vero che attorno al bene più prezioso dell'umanità si agitano, qui e ora nel nostro paese, resistenze e interessi di varia natura. Che vedono schierati da una parte movimenti e parlamentari dell'opposizione, dall'altra qualche regione e un pugno di società private e qualche nome di un certo peso. ...


In Toscana una legge «di movimento»

Quella che verrà presentata oggi all'interno del terzo forum delle reti e dei movimenti toscani, che si conclude domani a Firenze, è la prima proposta di legge scritta collettivamente e frutto dell'elaborazione teorica dei movimenti su uno dei loro cavalli di battaglia. La raccolta di firme partirà a febbraio. Ne servono tremila, ma «il nostro obiettivo è di arrivare a trentamila», spiega Tommaso Fattori, portavoce del Firenze social forum. Ma l'iniziativa ha già prodotto l'effetto di bloccare l'approvazione, in consiglio regionale, della nuova legge sul riordino dei servizi pubblici, che insiste sul cosiddetto «modello toscano» delle privatizzazioni. ...


Alle Marche piace pubblica

La giunta regionale delle Marche ha presentato a sua volta una proposta di legge che rivendica la gestione pubblica dell'acqua. «I privati che vogliono trasformare l'acqua in un business non sono certo interessati a un uso oculato di questa risorsa: più acqua si consuma, più acqua viene venduta, più acqua viene restituita inquinata, e quindi c'è più acqua da depurare. Insomma si avvia un circolo vizioso che non può che portare al rincaro di questo bene essenziale per la vita dell'uomo», dice l'assessore all'Ambiente Marco Amagliani (Prc), che denuncia come «sono sempre in agguato i privati o magari le multinazionali, che si presentano ai nostri comuni e offrono un "servizio chiavi in mano", dove tutto sembra semplificarsi e magari per questa operazione c'è pure la possibilità di accedere alle risorse comunitarie».

Il business campano dell'oro blu

La pensa allo stesso modo Alex Zanotelli, che per contestare le privatizzazioni in Campania ha preso carta e penna e l'ha scritto chiaramente in una lettera di fuoco, intitolata «state con l'acqua o con i ladri di acqua?»: «Agli enti locali fanno gola i finanziamenti messi a disposizione dall'Unione europea». Il missionario comboniano è uno dei leader della protesta contro l'amministrazione Bassolino. ...


In tutto il mondo persone dalla mente limpida e onesta, (come l'acqua?), si stanno battendo per evidenziare quest'ultimo estremo tentativo di rapina delle risorse naturali del nostro pianeta, le risorse estreme e indiscutibili, come il cibo e l'acqua.



"La privatizzazione dell’acqua è un’altra minaccia alla libertà umana."


da un articolo di Vandana Shiva


Forse il più famoso racconto di avidità corporativa sull’acqua è quello di Cochabamba, in Bolivia. In questa regione semideserta, l’acqua è scarsa e preziosa. Nel 1999, la Banca Mondiale consigliò la privatizzazione della compagnia di rifornimento municipale dell’acqua di Cochabamba (SEMAPA) attraverso una concessione all’Acqua Internazionale, una compagnia consociata di Bechtel. Nell’ottobre del 1999, la legge Drinking Water and Sanitation  fu approvata, mettendo fine ai sussidi governativi e permettendo la privatizzazione.


Forse il più famoso racconto di avidità corporativa sull’acqua è quello di Cochabamba, in Bolivia. In questa regione semideserta, l’acqua è scarsa e preziosa. Nel 1999, la Banca Mondiale consigliò la privatizzazione della compagnia di rifornimento municipale dell’acqua di Cochabamba (SEMAPA) attraverso una concessione all’Acqua Internazionale, una compagnia consociata di Bechtel. Nell’ottobre del 1999, la legge Drinking Water and Sanitation  fu approvata, mettendo fine ai sussidi governativi e permettendo la privatizzazione.

In una città in cui il minimo salariale è inferiore a cento dollari al mese, le bollette dell’acqua raggiungono i venti dollari al mese, vicino il costo di alimentazione di una famiglia di cinque persone per due settimane. Nel gennaio del 2000, fu formata un’alleanza di cittadini chiamata La Coalizione in Difesa Dell’Acqua e della Vita.


La coalizione fermò la città per quattro giorni attraverso una mobilitazione di massa. In meno di un mese, milioni di boliviani marciarono verso Cochabamba, fecero uno sciopero generale e fermarono i trasporti. Al raduno, i protestanti stilarono la Dichiarazione di Cochabamba, che chiedeva la protezione dei diritti universali dell’acqua.


Il governo promise di fare marcia indietro sull’aumento dei prezzi, ma nulla di tutto ciò fu realizzato. Nel febbraio del 2000, la coalizione organizzò una marcia pacifica per chiedere l’abrogazione della legge Drinking Water and Sanitation, l’annullamento dell’ordinanza di privatizzazione, la scadenza del contratto dell’acqua e la partecipazione dei cittadini nella stesura di una legge sulle risorse dell’acqua.


Le richieste dei cittadini, che avrebbero messo in gioco il cuore degli interessi corporativi, furono violentemente respinte. La critica fondamentale mossa alla coalizione fu diretta alla negazione dell’acqua come proprietà comune. I contestatori usarono slogans che dicevano “L’acqua è un dono di Dio e non un commercio” e “L’acqua è la vita”.


Nell’aprile del 2000, il governo cercò di zittire le proteste sull’acqua attraverso leggi di mercato. Gli attivisti furono arrestati, i contestatori uccisi e i media censurati. Finalmente, il 10 aprile 2000, il popolo vinse. Le acque del Tunari e Bechtel lasciarono la Bolivia e il governo fu costretto a revocare l’odiata legge sulla privatizzazione dell’acqua.


La compagnia dell’acqua Servicio Municipal del Agua Potable Alcantarillado (SEMAPA) e i suoi debiti furono addossati ai lavoratori e al popolo. Nell’estate del 2000, la coalizione organizzò audizioni pubbliche per stabilire progetti  e gestioni democratiche. Il popolo ha raccolto la sfida per realizzare una democrazia dell’acqua, ma i “padroni” dell’acqua stanno cercando di fare il loro meglio per sovvertire tale processo. Bechtel sta intentando una causa contro la Bolivia e il governo sta tormentando e minacciando gli attivisti della Coordinadora.


Attraverso la richiesta di togliere l’acqua dal controllo delle corporazioni e del mercato, i cittadini boliviani hanno illustrato che la privatizzazione non è inevitabile e che l’assorbimento corporativo o delle risorse vitali può essere impedito dalla volontà democratica del popolo.


La fame di risorse di una corporazione condotta verso la cultura dei consumatori sta tentando di schiavizzare e controllare ogni pianta, ogni seme, ogni goccia d’acqua.


I suicidi degli agricoltori sono solo uno degli aspetti della violenza causata da un ordine mondiale violento basato sui mercati, i profitti, il consumismo. I kamikaze rappresentano un altro aspetto. Uno è diretto verso “se stesso”. L’altro verso “l’altro”. L’altro è diretto verso “l’altro”. E in un mondo frammentato e disintegrato, dove ognuno di noi si sente ingabbiato, tutti hanno quella potenzialità di diventare il pericoloso “altro”. Come gli animali ingabbiati nelle industrie, noi stiamo attaccando noi stessi o gli altri.


Gli animali hanno il Movimento di Liberazione Degli Animali che li difende e punta a liberarli se l’industria che li ha tenuti in cattività e in condizioni violente dovesse perpretrare ulteriori violenze volte a combattere quel cannibalismo causato dalla cattività.


Ciò di cui si ha bisogno è di un movimento di liberazione per gli esseri umani, un movimento sensibile alla schiavitù della cultura consumistica e del mercato globale, un movimento abbastanza sensibile da percepire le profonde violazioni che l’umanità sta sperimentando, un movimento che riconosca cioè che non sono i denti dei maiali, i becchi degli uccelli, le corna delle mucche ad aver bisogno di essere rimosse, ma le gabbie.


Il movimento multicolorato e basato sulla diversità che si oppone alla violenza strutturale dei mercati globali e la cultura consumistica, ha quegli elementi che potrebbero contribuire a liberare lo spirito umano dalle degradazioni e dalle deprivazioni della globalizzazione corporativa. Reclamare le nostre libertà e i nostri spazi dalla nuova relegazione è indispensabile a noi come agli altri animali.


Gli animali non erano nati per vivere imprigionati dentro gabbie. Gli esseri umani non erano designati a vivere imprigionati in mercati, o a vivere come esseri inutili e usa e getta se non possono essere consumatori nel mercato globale.


La nostra disumanizzazione sempre più profonda è la radice della crescente violenza. Reclamare la nostra umanità in modo comprensivo e compassionevole è il primo passo verso la pace.


La pace non sarà creata con armi e guerre, bombe e barbarie. La violenza non sarà contenuta col diffonderla. La violenza è diventata un lusso che la specie umana non può permettersi se vuole sopravvivere. La non violenza è diventata un imperativo per la sopravvivenza."



E per ritornare all'oggi, un articolo di qualche giorno fa:


I boliviani vincono la seconda guerra dell'acqua


di Will Braun


Nel paese più povero e forse più coraggioso del Sud America, un altro consorzio multinazionale per la privatizzazione dell'acqua ha chiuso i battenti. Lunedì scorso le organizzazioni di quartiere della città boliviana de El Alto hanno indetto uno sciopero generale a tempo indeterminato, esigendo che Aguas del Illimani - una società operata dal gigante francese Suez - restituisse immediatamente il sistema idrico cittadino al controllo pubblico. Martedì hanno marciato in massa sulla capitale per festeggiare la loro vittoria e avanzare richieste analoghe per le forniture di elettricità e gas. ...


Cactus Flower, Bolivia




1. Angelo Mastandrea, 22 Gennaio 2005 http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/22-Gennaio-2005/art83.html;  2. Terrorismo e cannibalismo di Vandana Shiva, 23 Gennaio 2005(http://www.zmag.org/italy/shiva-cannibalism.htm); 3. I boliviani vincono la seconda guerra dell'acqua di Will Braun, 16 Gennaio 2005 http://www.zmag.org/Italy/braun-guerra-acqua.htm

sabato 22 gennaio 2005

Il dono del cibo

di Vandana Shiva

Il commercio oggi non riguarda più lo scambio di cose di cui abbiamo bisogno e che non possiamo produrre da soli ma ci obbliga ad adeguarci a un mondo in cui profitto e avidità sono i principi regolatori: quanto maggiore è il profitto, tanto più aumentano fame, malattie, distruzione della natura, del suolo, dell’acqua, della biodiversità.

La prima cosa da ammettere riguardo al cibo è che esso costituisce la base della vita. Il cibo è vivo: non consiste solo in carboidrati, proteine e sostanze nutritive, ma è un essere, un essere sacro. E non solo il cibo è sacro, non solo è vivente, ma è il Creatore stesso, quindi è per questo che persino nella più povera delle capanne indiane si può assistere all’adorazione della piccola stufa di terracotta; il primo pezzo di pane viene dato alla mucca, poi occorre vedere chi altro ha fame lì intorno. Per usare le parole dei testi sacri dell’India:“Chi dona cibo dona la vita”, e in realtà dona anche tutto il resto. Quindi, colui che desidera la prosperità in questo mondo e nell’altro dovrebbe sforzarsi in maniera particolare di donare il cibo.

Dato che il cibo costituisce la base della creazione, esso è la creazione e anche il Creatore. Ci sono doveri e doveri che dovremmo compiere riguardo al cibo: se le persone hanno di che mangiare, è proprio perché la società non ha dimenticato questi doveri; se le persone hanno fame, allora la società ha respinto i doveri etici legati all’alimentazione.

L’intrinseca possibilità della nostra sopravvivenza è basata sull’esistenza di ogni genere di esseri che ci hanno preceduto – i nostri genitori, la terra, il verme – ed ecco perché nel pensiero indiano l’atto di donare cibo è stato considerato come sacrificio di ogni giorno che dobbiamo compiere. È un rituale incarnato in ogni pasto, che riflette la consapevolezza della donazione come condizione essenziale del nostro essere: donare non è un extra, noi doniamo per la nostra interdipendenza con la totalità della vita.

(continua:http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=955&mode=thread&order=0&thold=0)

 La citazione di Stepa fra i commenti al post precedente mi ha fatto cercare l'articolo di Vandana Shiva che ho trovato grande di saggezza e bellezza, e ricco di insegnamenti.

lunedì 17 gennaio 2005

 
Martin Luther King Day

Photo

 

Oggi negli Stati Uniti si è celebrata la giornata di Martin Luther King, apostolo della non violenza e dei diritti civili.

"La vera scelta non e' tra non violenza e violenza ma tra non violenza e non esistenza...

Se non riusciremo a vivere come fratelli moriremo tutti come stolti".

domenica 16 gennaio 2005

 Africani in Africa

Più di 130 opere d’arte di oltre 20 artisti contemporanei africani: è la mostra più importante degli ultimi 40 anni in Italia nel suo genere, presentando un panorama straordinariamente ricco e vario dei fermenti culturali e artistici che agitano l’Africa Nera. Dalla grande esposizione romana del 1964, mai si erano viste opere tanto belle e importanti in cui si riflettono anche le tragedie africane dei nostri anni.
Tra le opere in esposizione occorre citare i bassorilievi policromi in legno di Cheff Mwai (Kenya), un’ex militante Mau Mau, i mercati dipinti da Maurus Mikael Malikita (Tanzania), l’artista più noto del genere Tingatinga, e gli oli su carta telata di Peter Maurice Wanjau (Kenya).



Dalla Repubblica Popolare del Congo, capitale Brazzaville, provengono le opere di Djesse che nel suo astrattismo figurativo riproduce raffinerie e miniere attraverso significati e maschere tribali della cultura Mbuia e delle tribù Fang. Nella nemica Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, viveva invece Jean Michel Moukeba (detto Djambo), vittima giovanissima nella lunga guerra fratricida, di cui la mostra presenta un magnifico altorilievo dipinto, straordinario esempio di Pop Africano. Da Kinshasa anche le opere del giovane artista Lukawu, le sue celebri mani protese che intimano l’Alt! all’Aids e all’uccisione della fauna selvatica.
Dal Senegal arrivano poi le straordinarie tavole Pop di Moustapha Souley, autentiche insegne pubblicitarie, e una rarissima scultura di Amadou Makhtar Mbaye (Tita).
Spettacolari le grandi installazioni in legno policromo e traforato di Abdallah Salim (Kenya) e gli assemblaggi optical di tappi di bottiglia trovati nelle discariche della raffinata e rara Margareth Majo (Zimbawe).
Infine le pitture su tela e vernice trasparente di Georges Lilanga (Tanzania), che ha ottenuto a Sotheby’s Londra quotazioni da record.


“Africani in Africa”
dal 29 dicembre 2004 al 06 marzo 2005
Inaugurazione: 29 dicembre 2004, ore 15.00

Palazzo Pazzi-Ammannati
Firenze
Info Tel. (+39) 055 240277

venerdì 14 gennaio 2005

HUMAN RIGHTS


Abu Ghraib, Darfur: Call for Prosecutions


Human Rights Watch’s 2005 Report Covers 60-Plus Countries 


Washington D.C., 13 Gennai 2005 – Il sistema mondiale di protezione dei diritti umani è stato significativamente indebolito nel 2004 dalla crisi nel Darfur e dallo scandalo di Abu Ghraibl, ha dichiarato Human Rights Watch nel pubblicare oggi il suo annuale rapporto sul mondo.


Sebbene le due minacce non siano equivalenti, la vitalità dei diritti umani globali dipende dala una ferma risposta a ciascuno dei due - fermando, da una parte, il massacro del governo sudanese in Darfur e, dall'altra, intensificando le indagini e perseguendo tutti i responsabili delle torture e dei maltgrattamenti in Iraq, in Afghanistan e a Guantanamo.  (continua...)


Fonte: http://www.humanrightswatch.org/english/docs/2005/01/07/global9968.htm


Credo che sia necessario riflettere sulla posizione dell'Italia nel contesto del rapporto di Human rights Watch. Riguardo al Darfur non so quale politica abbiamo adottato, quindi mi riprometto di informarmi. Quanto all'Iraq, Afghanistan e Guantanamo, so per certo, come tutti in Italia, che siamo alleati degli Stati Uniti, anche se la nostra è una missione di pace, alla quale però una proposta di legge vuole estendere il codice di guerra.


Mi colpì un passaggio della conferenza stampa del nostro primo ministro alla fine del 2004. Copio e incollo dal sito del Governo Italiano:


"Non volevamo che dei comunisti, che si dichiarano oggi ex comunisti o addirittura liberali – che si potrebbero dichiarare qualunque cosa che a loro possa far comodo –, prendessero il potere nel Paese. Ed è il motivo per cui io mi trovo così bene con il Presidente Bush. Anche lui ha una concezione di questo tipo. Certo, lui non ha il problema che abbiamo noi, interno al Paese.


 


 


 


 


 


 


 


Lui pensa al mondo, perché all’interno degli Stati Uniti, se non ci sono i Repubblicani al governo, ci sono i Democratici, ma le radici liberali dell’una e dell’altra parte sono certe.



Lui si preoccupa del male generato dal governo di quei paesi in cui non vige la democrazia e la libertà, che quindi non possono raggiungere soddisfacenti gradi di benessere, che, attraverso il fondamentalismo – che è il totalitarismo dei nostri tempi, come lo furono il comunismo e il nazismo – e il terrorismo, possa portare a delle guerre che coinvolgano anche altri paesi, altri cittadini. Egli trova, quindi, le radici della sua preoccupazione nella Costituzione americana, che dice che l’America, come Stato primo nel mondo, deve anche caricarsi della difesa e della diffusione della democrazia e della libertà.


 


 


 


 


 


 


 


Anche noi abbiamo questa preoccupazione sul piano internazionale e siamo per questo orgogliosi di essere presenti con la terza forza nel mondo come numero di soldati in tutti i teatri dove si sta ricostruendo la democrazia per dare ai quei cittadini il diritto ad un autogoverno.


 


 


 


 


 


 


 


Siamo presenti, come ben sappiamo, nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq, dove siamo essenziali perché si possano tenere delle regolari elezioni che diano finalmente il via a dei governi democratici, eletti dai cittadini."


 


 


 


 



Il nostro coinvolgimento nella politica estera dell'amministrazione Bush è, quindi, totale e convinto. Di conseguenza siamo completamente coinvolti anche nelle vicende più efferate. In un foglio di proprietà della moglie del primo ministro ho letto una specie di difesa di Alberto Gonzales, ora ministro della Giustizia e poco fa autore dei memo in favore della politica di Bush a Guantanamo.


Per quello che ho letto (poco d'accordo), i maggiori quotidiani statunitensi hanno stigmatizzato la cosa. E noi? Human Rights Watch, nella sua denuncia, ci considerebbe com plici oppure no?


Infine faccio notare che io (ma forse non so leggere) non ho trovato nulla di quanto afferma il nostro signor primo ministro nella Costituzione degli Stati Uniti d'America. Sarei grata a chiunque volesse ragguardarmi, nel caso mi sia sfuggito il prezioso riferimento.