martedì 27 dicembre 2005



Io non mi tengo a religioni o credo,
Non sono dell'est, non sono dell'ovest,
Musulmano o infedele,
Zoroastriano, Cristiano, Ebreo o pagano.
Non vengo dal mare, né dalla terra,
Non ho a che fare con quelli sopra o quelli sotto,
Non sono nato lontano, né vicino,
Non vivo in Paradiso, né su questa terra.
Dichiaro di non discendere da Adamo, Eva, o gli angeli.
Io trascendo corpo ed anima.
La mia casa è oltre lo spazio ed i nomi.
E' con le persone che amo,
In uno spazio oltre lo spazio.
Abbraccio tutti e sono parte di tutto.

Mowlana Jalaluddin Rumi (1207-1273)



Rumi è uno dei più nobili poeti persiani, un mistico Sufi, uno spirito illuminato nel variegato mondo islamico. Musulmano come lui, visse in Iran anche un altro grande poeta, Sa'adi, che scrisse questi versi:



Tutti gli esseri umani in verità sono fratelli;
Tutti condividono una sola origine nella creazione.
Quando il fato assegna a un uomo ansie e dolori,
Non rimane sollievo per alcuno.
Se imperturbabile puoi osservare il dolore di un altro,
Tu non sei degno del nome di uomo.

Sa'adi, (1184-1291)


So che dall'Iran di oggi arrivano proclami di orribile ottuso fanatismo, che purtroppo sovrastano le voci più autentiche e dolenti  delle infelici persone che vi abitano. Una per tutte, quella di Shirin Ebadi, coraggiosa donna premio Nobel per la Pace, che rappresenta tuttti gli spiriti liberi del Paese. Ma le citazioni di Rumi e Sa'adi le ho trovate in un articolo che parla di un'altra donna, una che si ritiene parte di un'altra "superiore", la nostra, e che sta dedicando questi anni a spargere odio e fanatismo di marca "occidentale".


La donna in questione è Oriana Fallaci, di cui non mi occuperei se la sua pubblicistica non avesse preso una inaccettabile deriva islamofoba e se la signora non fosse seguita e osannata da molti di noi "occidentali".


"La signora ha ricevuto il premio Annie Taylor, Centro per lo Studio della Cultura Popolare a New York, la scorsa settimana, che onorava: "...il suo eroismo, valore, e lotta di tutta una vita contro l'oppressione e il fascismo. Dal 11 Settembre, Fallaci è stata una forza formidabile nella lotta contro la più grande minaccia alla civiltà occidentale dai tempi della Guerra Fredda, l'Islamofascismo." Scriveva il Front Page Magazine. Il più prestigioso premio di Milano, l'Ambrogino d'Oro, è anche andato alla signora questa settimana. la sinistra in varie altre regioni, in particolare in Toscana, ha bloccato vari altri premi per una persona molto attiva a favore della campagna per l'uccisione di un quarto della popolazione mondiale. "La Fallaci" ha anche avuto una piuttosto lunga udienza con il papa Benedetto XVI il 3 Settembre 2005, nella sua residenza estiva fuori Roma, probabilmente per far pressioni sul pontefice a favore della sua causa. Il 14 Dicembre il Presidente Italiano Ciampi ha "onorato" la signora con un premio significativo per i suo "lavoro coraggioso nella promozione della cultura italiana". Mi dispiace molto per la scelta del presidente Ciampi, che rispetto e apprezzo, ma questa volta ha sbagliato, perché l'odio razziale e culturale non dovrebbe essere accettato come parte della cultura italiana, nemmeno a titolo di ritorsione e di difesa contro gli oggettivi orrori dei terroristi islamici.


Non si difende la propria cultura rinunciandovi.




L'articolo "Odio istituzionalizzato ed istigazione al delitto. L'islamofobia di Oriana Fallaci." di Baheer Ramon nel sito: http://www.zmag.org/Italy/ramon-islamofobiafallaci.htm


lunedì 19 dicembre 2005

Dies Natalis Solis Invicti


Natalis Solis


Il Dio Horus Egiziano


    


Maternità: Iside e Horus


 Gli Dei babilonesi Tammuz e Shamas


Il Dio Romano Dioniso

Il Dio del Sole Bacab Maya


Il Dio Sole Inca Wiracocha (24 giugno)






 


      Il Dio Mitra Indo-Persiano (Sole)




Natale di tanti Dei negli stessi Giorni dell'Anno Astronomico, il Solstizio d'Inverno. Significati simbolici affini o uguali a quelli della tradizione culturale Cristiana: la luce che vince le tenebre, il sole bambino che cresce portando con sé speranza di vita, il bene che prevale sul male, la promessa della salvezza.


Mi piace ricordare per le comuni radici umane in varie parti del mondo (tutto?) e in tempi diversi (tutti?). Mi piace ricordare per amore di una interculturalità profonda e pacifica (a prescindere dall'appartenenza a una religione o a nessuna religione), in nome di una pietas naturalis che possa accomunarci tutte e tutti, noi, esseri umani.


Buon Natale a tutte queste divinità e ai loro attuali seguaci, in particolare alla comunità Zoroastriana che ho conosciuto in Persia e di cui ricordo la straordinaria gentilezza civile e umana. I miti e le feste della religione di Zarathustra mi sono entrati nel cuore allora grazie all'esperienza, che è cosa diversa dal pur utilissimo studio della Storia. 


Di questo parlerò nel 'convivium', per festeggiare con amiche e amici la Shab-e-Yalda (Notte di Yalda), antica festa Zoroastriana che ha aggiunto magia alle notti del Solstizio d' Inverno negli anni passati in Persia, e poi per tutti gli anni fino a oggi. Al prossimo 21 Dicembre, nel posto del banchetto!




 


 


Immagini: Horus-Iside dal sito http://www.crystalinks.com/horus.html; Mitra dal sito: http://www.crystalinks.com/mithra.html


Elenco degli Dei da: http://www.riflessioni.it/testi/radici_natale.htm 

sabato 17 dicembre 2005

Bloccato il Patrioct Act dal Senato Statunitense


Caro diario, una nuova buona notizia per e dagli USA, dove il Congresso sta andando a ritroso per ritrovare le regole di civiltà e democrazia affossate dall'amministrazione Bush. Spero che sia un vero rinsavimento e non soltanto una reazione al solito potere incongruo dei sondaggi, che ormai valgono più della ragionevolezza e del diritto. E non soltanto una reazione alla rivelazione dello spionaggio ai danni delle cittadine e dei cittadini statunitensi. Spero che si tratti di ricominciare dal punto in cui le libertà civili erano state limitate, in nome della "sicurezza" e, purtroppo, in nome delle vittime del terrorismo cieco e criminale. L'associazione delle famiglie delle vittime, vittime anche nostre come tutte le vittime del mondo, si è sempre battuta contro questo uso strumentale dei loro morti. Il Patriot Act era ingiusto e anticostituzionale in sé, e rappresentava un arretramento civile, da considerare come una vittoria dei terroristi e dei loro crimini.


Senators Thwart Bush Bid to Renew Law on Terrorism


I Senatori si Oppongono alla richiesta di Bush per il Rinnovo della Legge sul Terrorismo



WASHINGTON, Dec. 16 - The Senate on Friday blocked reauthorization of the broad antiterrorism bill known as the USA Patriot Act, pushing Congress into a game of brinksmanship with President Bush, who has said the nation will be left vulnerable to attack if the measure is not quickly renewed. ... continua


New York Times, By SHERYL GAY STOLBERG and ERIC LICHTBLAU - Published: December 17, 2005 - http://www.nytimes.com/2005/12/17/politics/17patriot.html


Elezioni in Iraq


Sono contraria alla guerra come sempre, caro diario, ma sarei irragionevole se non gioissi per le elezioni in Iraq. Ormai il massacro è stato compiuto. Ora, se ne viene fuori qualcosa di buono, non si può che fare voti perché gli iracheni vadano avanti per la loro strada facendo fronte comune contro due mali comuni: l'occupazione straniera e la guerra civile. Senza dimenticare gli altri immensi problemi politici ed economici nei rapporti internazionali, oggi voglio sperare, voglio essere ottimista, voglio sognare un possibile cambiamento planetario.


I miei post sull'argomento:

- sabato, marzo 15, 2003 - Manette patriottiche

- ... gli altri non riesco a trovarli...che sia troppo vecchio e disorganizzato questo blog? 


 


giovedì 15 dicembre 2005

Una buona notizia per gli USA



Caro diario, è solo una delle tappe per riportare i diritti umani negli USA, ma può essere anche l'inizio di una ripresa democratica e di un ritorno alla legalità, l'inizio della fine di un'amministrazione, quella del secondo Bush (non dimentichiamo che ce n'è un terzo), costruita sui peggiori disvalori conosciuti.



15.12.2005
Nuovo schiaffo del Congresso a Bush: «Vietato torturare»
di red.


 La Camera dei rappresentanti statunitense boccia la politica della tortura di George W. Bush. Con 208 voti a favore e 122 contrari, i congressisti hanno infatti approvato una risoluzione che vieta trattamenti crudeli, inumani o degradanti nei confronti dei prigionieri catturati dalle forze armate americane.

 


 




mercoledì, giugno 23, 2004 -Washington Post (e molti altri) contro la legalizzazione della tortura (2)

 


mercoledì, giugno 16, 2004 - Intorno alla legalizzazione della tortura (1)



04.05.2004 - Chi dice sì alla tortura? - di Ariel Dorfman



La risoluzione apre la strada per una definitiva approvazione da parte delle due camere di Washington dell’emendamento al bilancio della difesa proposto dal senatore repubblicano John McCain, un veterano del Vietnam, che vieta la tortura. All’emendamento si era fortemente opposta la Casa Bianca, in nome della battaglia al terrorismo, ma la posizione del presidente Bush è stata bocciata anche dalla sua maggioranza Repubblicana: sono stati ben 107, infatti, i congressisti Repubblicani che hanno votato a favore della mozione anti-torture.


«La tortura segna non solo chi la subisce ma anche chi la pratica e chi ne è testimone» ha detto il Democratico John Murtha, firmatario della mozione approvata.


Spiega il senatore McCain che nell’ordinamento statunitense esistono già molte norme che proibiscono la tortura: dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del 1948, fino alla Convenzione contro la tortura, sottoscritta dall’amministrazione Reagan. Ma recentemente «una strana decisione legale ha statuito che il divieto contenuto nella Convenzione contro la tortura non si applica agli stranieri detenuti fuori del territorio americano. Questi possono, apparentemente, essere trattato in maniera inumana» dice McCain nelle motivazioni con cui ha presentato il proprio emendamento.


Pochi giorni fa, una trentina di ex funzionari della Cia ed esperti di antiterrorismo, tra cui l’ex direttore dell’agenzia di spionaggio americana, Stansfield Turner, e l’ex capo del Centro antiterrorismo della stessa agenzia, Vincent Cannistraro, hanno pubblicato una lettera aperta nella quale esprimono il proprio appoggio alla mozione McCain nella quale si chiede di restituire "l'onore" a chi combatte il terrorismo.


Gli argomenti della Casa Bianca contro l’emendamento sono molto deboli, stante il fatto che la politica ufficiale dell’amministrazione è il divieto dell’uso della tortura. Buona ultima è stata il segretario di Stato Condoleeza Rice durante il suo ultimo viaggio in Europa a ribadire la line dell’amministrazione Bush.


Secondo il presidente, però, introdurre una norma del genere in una legge ridurrebbe la capacità di chi conduce gli interrogatori dei prigionieri di ottenere da loro informazioni. Per la Casa Bianca, infatti, una tale norma farebbe sentire "meno impauriti" i prigionieri.


Non riuscendo a convincere il Congresso a cancellare l’emendamento o, in subordine, a esentare la Cia dalla sua applicazione, la presidenza americana ha tentato almeno di ottenere l’immunità per chi fosse accusato di praticarla. Una richiesta respinta dal senatore McCain perché svuoterebbe l’efficacia della norma: «Non garantiremo nessuna immunità. Non ci sarà immunità per nessuno». L’emendamento McCain è stato approvato dal Senato con una schiacciante maggioranza di 90 a 9.


(L'Unità - http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=46275)


Caro diario, so che è strano rallegrarsi per una notizia del genere, per qualcosa che ormai si dava per scontato nei Paesi "democratici. Purtroppo non era più scontato, nemmeno legalmente, dopo la caduta nel buco nero dei neocon americani e dei loro complici. Auguro agli USA di riprendersi il loro onore e continuo a sperare che qualcuno riesca a proporre l'empeachment.


"Nel 1631, in una Germania dilaniata dalla guerra, il gesuita Friedrich von Spee pubblica, in forma anonima, un libro (Cautio criminalis, trad. it. I processi alle streghe, Editrice Salerno, II ed, 2004). Von Spee è un confessore di streghe condannate a morte, quasi sempre a seguito di processi basati su confessioni estorte con la tortura. Partendo da questa esperienza parla ai principi tedeschi, e conclude che nemmeno per un reato certamente eccezionale come la stregoneria si possono accettare processi che siano in contrasto con la ragione o la morale. Sottolinea che la prima preoccupazione dei principi nel promuovere questo tipo di processi dovrebbe essere che non vi si commettano errori, perché poi è difficile correggerli. Condanna il principe che si disinteressa, e lascia agire ad arbitrio i funzionari che ha preposto. Afferma che per quanti siano i roghi innalzati dai principi, non saranno mai abbastanza, a meno di non ardere ogni cosa."


Altri post sulla e contro la tortura:


martedì 13 dicembre 2005


Marcio Jose Sanchez/Associated Press

Angela Iton, 8, left, and Carmen Iton, 9, center, sit in protest outside of San Quentin State prison in San Quentin, Calif., Monday, Dec. 12, 2005.  (da: The New York Times)


Quanto tempo dovrà passare perché questi bambini non debbano più lottare contro la pena di morte?


.


     


"Terminator" ha respinto la domanda di grazia, fermo nella sua decisione fino a oggi, alle 12:01 AM (ora locale).


Un altro uomo oggi è stato ucciso in nome della legge della California e per volontà di "terminator".


Un texano, ispirato da un suo dio personale, ieri ha riferito le cifre dei morti provocati dalla sua guerra, senza pentimenti o rimorsi o anche una piccola perplessità, al contrario pronto a ripetere le sue gesta sanguinose con il pieno consenso della Legge.


Tutto questo nel giro di poche ore e nella stessa nazione. Civile e democratica.


E' questa convinzione di "civiltà e democrazia" che crea una pena ancora maggiore rispetto a casi analoghi e peggiori in regimi dittatoriali, una frustrazione schizofrenica, un rifiuto della violenza ancora più radicato e radicale.


Condivido e mi associo alle lotte delle amiche e degli amici statunitensi contro queste barbarie. 


Nell'ordine: Arnold Schwarzenegger (governatore della California), Stanley 'Tookie' Williams (giudicato assassino e appena giustiziato), George W. Bush (presidente USA). (foto AFP)


Di Lidia Ravera "Assassinio di stato": http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=IDEE&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=46255

venerdì 9 dicembre 2005

Caro diario, amiche e amici, sono diventata monotonamente monotematica, lo so, eppure mi sembra di non avere scelta. Guerre, torture, soprusi, sfruttamento e schiavismo appestano tutto il mondo, come sa chi naviga nel web e conosce i numerosissimi siti di denuncia. Perché allora mi fisso su Stati Uniti ed Europa? Per due motivi: sono i depositari di una tradizione democratica ben definita (anche se la tradiscono spesso in vario modo) e hanno la consapevolezza (anche se teorica, ahimè)  dell'immoralità delle loro politiche. Altrimenti, perché ricorrerebbero sistematicamente alla menzogna? Noi, cittadine e cittadini di questi due Paesi, abbiamo ancora delle possibilità di conoscere gli eventi e di opporci a ciò che ci fa orrore, almeno con il voto. Ma queste cose le lascio dire a Harold Pinter nella sua Nobel Lecture.



BBC NEWS - Wednesday, 7 December 2005, 17:54 GMT













Bush and Blair slated by Pinter










Harold Pinter's vide message being played at the at the Swedish Royal Academy in Stockholm.

Pinter is an outspoken critic of the UK and US governments





George W Bush and Tony Blair must be held to account for feeding the public "a vast tapestry of lies" about the Iraq war, writer Harold Pinter said.

The playwright launched a scathing attack on US and UK politicians in his lecture as winner of this year's Nobel Prize for Literature.


Most politicians "are interested not in truth but in power and the maintenance of that power", the 75-year-old said.


His speech was pre-recorded as Pinter was admitted to hospital this week.




... continua: http://news.bbc.co.uk/2/hi/entertainment/4505874.stm


L'Unità - 08.12.2005
Il discorso di Pinter al Nobel: «La guerra irachena un crimine, Bush e Blair a processo»
di red,

Sono stati 46 minuti di un discorso lungo ed appassionato, iniziato con una riflessione sul vero e sul falso, e finito con un duro, incalzante atto d'accusa contro la Guerra in Iraq e la strategia americana di dominio mondiale. Un discorso che Harold Pinter, malato di cancro, non ha potuto fare di persona, ma che ha affidato ad un http://nobelprize.org/literature/laureates/2005/pinter-lecture.html" target="_New">video trasmesso a Stoccolma nella sala dove avrebbe dovuto tenere la sua conferenza di accettazione del premio Nobel per la letteratura 2005.


«L'invasione dell'Iraq è stato un atto banditesco, un atto di volgare terrorismo di Stato, che dimostra un disprezzo assoluto per il concetto di diritto internazionale. L'invasione è stata un'azione militare arbitraria ispirata da una serie di bugie e da una grandiosa manipolazione dei mezzi di informazione e dunque del pubblico… Abbiamo portato la tortura, le bombe a frammentazione, l'uranio impoverito, innumerevoli atti di omicidio casuale, miseria, degrado e morte al popolo iracheno e abbiamo chiamato tutto questo “portare la libertà e la democrazia”» ha detto Pinter con voce affaticata parlando da una sedia a rotelle, una coperta rossa a coprirgli le gambe.


«Quante persone dovrete uccidere prima di essere considerati gli autori di un massacro o criminali di guerra?», dice Pinter riferendosi ai due alleati americano ed inglese nell'attacco a Baghdad. «Di conseguenza è giusto - sostiene - che Bush e Blair siano portati davanti a un tribunale internazionale di giustizia». Il premio Nobel per la letteratura ripercorre la storia dell'ultimo dopoguerra, a suo avviso anni pieni di esempi di «manipolazione del potere da parte di Washington, mascherata da bene universale». Dopo avere elencato numerosi paesi e situazioni - dai contras in Nicaragua alla detenzione di sospetti terroristi a Guantanamo - e aver denunciato la colpevole responsabilità americana, Pinter ha sottolineato il silenzio che copre realtà drammatiche, «centinaia di migliaia di morti». «Voi non lo sapete», dice. «Queste cose non interessano. Non esistono».


La morale di Pinter (che si è soffermato a lungo nel suo intervento sulla genesi delle sue opere e dei suoi personaggi di cui conosce gli inizi, ma non la conclusione finché non ha finito di scrivere) è che a noi come cittadini «serve una salda determinazione intellettuale per definire ciò che è vero nelle nostre vite e nelle nostre società». In caso contrario, ha concluso, «non abbiamo nessuna speranza di recuperare ciò che altrimenti è definitivamente perso: la dignità dell'uomo».


( http://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=46182 ) 


mercoledì 7 dicembre 2005

Nuova replica al Washington Post, secondo il quale i servizi e il premier furono informati del sequestro dell'imam Abu Omar
Sequestri Cia, Berlusconi insiste "Lo ripeto, non sapevamo nulla"


  ROMA - Nuovo intervento del presidente del Consiglio dopo le rivelazioni dagli Usa del Washington Post sul sequestro dell'imam Abu Omar a Milano nel febbraio 2003. E nuova smentita: "Mi chiedo: se neppure le smentite ufficiali vengono raccolte oppure finiscono nascoste sotto una montagna di falsità, cosa dobbiamo fare per far capire che con il sequestro di Abu Omar non c'entriamo per nulla?".  "Non esiste - continua il Cavaliere -. e lo ripeto per l'ennesima volta, alcun coinvolgimento del governo in vicende delle quali nè io, nè i miei ministri, nè i miei sottosegretari, nè alcuna istituzione italiana sono stati mai nè avvisati nè informati da chicchessia". Poi, di nuovo le conclusioni secche: "Smentisco nel modo più assoluto ogni falsa ricostruzione e respingo con sdegno ogni tentativo di falsare la verità".
La Repubblica - (7 dicembre 2005)


"Cosa dovete fare per far capire che con il sequestro di Abu Omar non c'entrate per nulla?".  Dovete provarlo, signor presidente, le parole non bastano. E, se non c'entrate nulla, come mai non è scoppiato l'inevitabile incidente diplomatico? Come mai il nostro ministro della Giustizia, mister Castelli, risponde in quel modo? Soprattutto, come mai non ne sapevate nulla? E la nostra intelligence che fa? Quante cose non sa? E gli agenti stranieri come mai fanno quel che vogliono sul nostro territorio nazionale? Ha rimproverato l'amico George per queste pesanti manchevolezze e ingerenze?


Ecco l'articolo pubblicato ieri, 6 dicembre, dal Washington Post

CIA Ruse Is Said to Have Damaged Probe in Milan


Italy Allegedly Misled on Cleric's Abduction



By Craig Whitlock

Washington Post Foreign Service
Tuesday, December 6, 2005; Page A01

 

MILAN -- In March 2003, the Italian national anti-terrorism police received an urgent message from the CIA about a radical Islamic cleric who had mysteriously vanished from Milan a few weeks before. The CIA reported that it had reliable information that the cleric, the target of an Italian criminal investigation, had fled to an unknown location in the Balkans.


 


 


 


In fact, according to Italian court documents and interviews with investigators, the CIA's tip was a deliberate lie, part of a ruse designed to stymie efforts by the Italian anti-terrorism police to track down the cleric, Hassan Mustafa Osama Nasr, an Egyptian refugee known as Abu Omar. ... continua


This surveillance photo of Hassan Mustafa Osama Nasr was found on a disk in the home of the CIA's ranking official in Milan, according to Italian police.


This surveillance photo of Hassan Mustafa Osama Nasr was found on a disk in the home of the CIA's ranking official in Milan, according to Italian police. (Courtesy Corriere Della Sera)

... There are signs that Berlusconi's government has become increasingly uncomfortable with the criminal investigation, which is being carried out by independent judicial authorities in Milan. Prosecutors and judges signed papers last month seeking to compel the United States to extradite the alleged CIA operatives, but Justice Minister Roberto Castelli, a member of Berlusconi's cabinet, so far has not given his approval -- a step that is usually a formality.

After meeting with U.S. Attorney General Alberto R. Gonzales in Washington in early November, Castelli questioned whether the prosecution was politically motivated, calling the lead prosecutor a leftist "militant" whose work needed to be reviewed carefully. Prosecutors have denied any political bias and said they continue to work closely with the FBI on terrorism investigations. ... continua:  http://www.washingtonpost.com/wp dyn/content/article/2005/12/04/AR2005120400885.html


Anche il WP ce l'ha col nostro Berlusconi. E pubblica un articolo di tre pagine di non facilissima lettura. Forse, prima o poi, qualcuno lo tradurrà. Per amor di patria, bisogna sperare che questa volta il Post abbia dato notizie sbagliate. Comunque, si può dimenticare che il nostro "capo" è strettamente legato al "grande capo", dal quale corre in qualsiasi momento, soprattutto quando deve smentire ciò che dice in patria?


Faccio notare l'articolo del WP che risale al gennaio 2004. Ringrazio l'amico Masso57 che l'ha postato tra i commenti. Aggiungo l'indirizzo di un articolo del novembre scorso: http://www.zmag.org/Italy/watson-rumsfeldtorture.htm


Il rispetto dei Diritti Umani e delle convenzioni internazionali è il fondamento massimo degli Stati democratici e non può conoscere deroghe, altrimenti qualsiasi orrore (chi stabilirebbe i limiti?) diventa possibile.


Se si pensa che contro il terrorismo sia lecito abbandonare il nostro livello di civiltà, si sappia anche che è pericoloso credersi al sicuro da errori. Quegli inferni possono aprirsi per chiunque, per quanto innocente. E poi, che si fa? si copia l'intelligence modello Saddam Hussein e colleghi? In questo modo, inoltre, Bin Laden sta vincendo alla grande, oltre ogni sua più audace previsione: il nostro mondo, la nostra civiltà, il progresso civile conquistato col sangue di infinite vittime, tutto sta crollando sotto i colpi della barbarie neocon. Ma non è ancora crollato, e finché ci saranno voci libere a svelare le menzogne del potere, finché noi non abdicheremo alla libertà e alla giustizia, potremo e dovremo rifiutare di diventare torturatori e torturatrici, opporci all'ingiustizia e alla violenza, ricostruire l'etica democratica che conosciamo, e non perdere la speranza.



 




 

martedì 6 dicembre 2005


Mi faccia il piacere, signora Rice, di non salvare la mia vita!


Caro diario, le idee di questa signora e del suo clan mi provocano paura, disgusto e ripulsa. Vorrei dire molto di più, ma prima ho bisogno di sapere con certezza se è vero che esistevano sciagurati patti segreti  fra l'intelligence del suo capo Bush e i governi europei, come lei stessa ha asserito con la nonchalance e l'aggressività di chi si crede a posto con il diritto internazionale e la coscienza personale.


Non avrei mai pensato possibile leggere un articolo così intitolato:


La definizione di tortura in una nuova guerra mondiale


The US Secretary of State Condoleezza Rice's defence of the practice of transferring prisoners around the world for interrogation relies a great deal on a definition of torture.










Plane suspected of being a CIA flight in Spain 2004
Suspected CIA flight in Spain in March 2004




 


In the US view, torture has to involve "severe pain" and harsh interrogations do not necessarily amount to torture.


Ms Rice accepted that prisoner transfers, known as "renditions", take place and said they were not unusual. The French had moved Carlos the Jackal directly from Sudan that way in 1994, she pointed out.


She did not adddress the issue of where these prisoners, thought to be senior al-Qaeda suspects like Khaled Sheikh Mohammed, the man who thought up the attacks of 9/11, end up. The Washington Post has alleged that there are or have been secret CIA prisons in Eastern Europe, Afghanistan and Thailand. By being located outside the US, they would avoid coming under the scrutiny of US courts. ... continua





The defining of torture in a new world war


Analysis - By Paul Reynolds - World Affairs correspondent, BBC News website - http://news.bbc.co.uk/2/hi/americas/4499528.stm



Foto: Reuters - 12 minutes ago


giovedì 1 dicembre 2005


1 Dicembre 2005


Aids_bimbo
40 milioni le persone che nel mondo hanno contratto il virus


Oggi 1° dicembre Giornata Mondiale per la Lotta all'AIDS. Secondo un nuovo rapporto delle Nazioni Unite, la tendenza dell'epidemia è ancora in crescita. Sono oltre 40 milioni le persone che nel mondo hanno contratto il virus dell'Hiv, 4 mila ogni anno in Italia. Nel 2005 le malattie collegate all'AIDS hanno causato  più di 3 milioni di vittime, oltre 500.000 delle quali bambini. Il balzo in avanti dell'HIV è avvenuto soprattutto nell'Europa dell'Est e in Asia. La zona più colpita del mondo resta comunque l'Africa Subsahariana, con oltre tre milioni di nuovi casi nell' ultimo anno.

Il Papa: la castità funziona
 Funzionano bene le strategie per la prevenzione dell'Aids basate "sulla continenza, la promozione della fedelta' nel matrimonio, l'importanza della vita familiare, l'educazione, l'assistenza ai poveri". Il Papa ha voluto ricordarlo in occasione della Giornata mondiale di lotta contro l'Aids.
 Incontrando questa mattina la nuova ambasciatrice del Sudafrica presso la Santa Sede, signora Konji Sebati, che ha presentato in Vaticano le sue lettere credenziali, Benedetto XVI ha voluto infatti rivendicare il contributo della Chiesa Cattolica nella battaglia contro il terribile virus. E ha sottolineato la necessita' di una strategia basata su piu' elementi, compreso la castita'. "In questo contesto - ha spiegato - la Chiesa Cattolica offre la sua cooperazione ovunque possa dare assistenza". ... continua



Caro Benedetto 16, ma è sicuro di conoscere bene gli esseri umani? Lei questa volta sbaglia, anche se si rivolge soltanto alle sue seguaci e ai suoi seguaci cattolici. Proporre la castità come rimedio (per quanto efficace) è irrealistico e lei dovrebbe saperlo. Perché con tutto il peso della sua autorità non propone che, se proprio non si riesce a essere casti, almeno si senta il dovere morale di usare il profilattico, detto anche preservativo? So che lei non leggerà mai questo mio messaggio (blasfemo, temo), ma per sua informazione le lascio un link. In inglese, è vero, ma tanto lei sa le lingue. Non sto a farle prediche sulla difesa della vita, perché pare che lei sia un campione in questo campo. Eppure, rispettosamente, le consiglierei nuove e approfondite riflessioni sull'argomento. I testi sacri sono così intransigenti? Non so, ma non si tratta di verità rivelate o dogmi, quindi ci si può ripensare. Pensi almeno a tutte quelle bambine e bambini che sono sicuramente innocenti. Faccia uno sforzo, la prego. Cordialmente. harmonia



 


 


 



Fonti: http://www.rainews24.rai.it/Notizia.asp?NewsID=58274


Preservativo maschile e femminile: http://www.fwhc.org/birth-control/condom.htm


Post scriptum


Leira mi fa notare che i preti non fanno voto di castità e gentilmente mi offre le seguenti precisazioni:


"Del resto i preti non fanno assolutamente il voto di castità, ma solo quello di celibato. E tra i due c'è un'area lasca, suscettibile di libera interpretazione.(...)
D'altronde la chiesa ribadisce sempre la linea del voto di celibato, ignoto ai veri credenti originari, tanto che Gesù non ne parla assolutamente; e che si affermò come un oblbigo solo storicamente, in strettissimo rapporto all'apostasia del mostruoso arricchimento della chiesa e al conseguente saccheggio soprattutto, ma non solo, da parte di preti vescovi papi con interessi familiari, spesso criptati nelle figure dei nipoti."

L'indirizzo del forum è: Metaforum.it > Forum Cultura > Sentieri interrotti


Ringrazio Leira: http://alchemicamente.splinder.com/


A Leira risponde Marzia:


"Eppure Onan non era un onanista. Il passo della Genesi che lo ha rovinato per l'eternità (38, 6-10) non si riferisce al suo indulgere al "vizio solitario", bensì al fatto che il poveruomo, pur di non avere un erede dalla vedova del fratello - come avrebbe dovuto, in ottemperanza alla legge ebraica del levirato -, preferiva eiaculare per terra: la sua colpa, quindi, era tutt'al più quella di un comunissimo coitus interruptus, metodo anticoncezionale mite e perfino ecologico. "A dire il vero, il peccato di Onan fu essenzialmente quello di non obbedire alla legge, e la storia dell'onanismo comincerebbe dunque con un abuso di linguaggio". Così scrive Didier-Jacques Duché in un libretto unico nel suo genere, Histoire de l'onanisme (pubblicato dalle Presses Universitaires de France nella fortunatissima e longeva collana Que sais-je?, nel 1994).
Il resto qua:
http://www.internazionale.it/interblog/index.php?itemid=198


Ringrazio Marzia: http://alchimie.splinder.com/


Ho idea che mi toccherà colmare enormi lacune in Diritto Canonico. Comunque non credo che vi troverò argomenti a favore della discriminazione degli omosessuali, ma ... hai visto mai? Per non parlare di quella più remota della discriminazione delle donne.

martedì 29 novembre 2005

Tuesday, 29 November 2005, 08:02 GMT


Vatican renews ban on gay priests

 

Pope Benedict XVI

 

The document confirms the Pope's tough stance on homosexuality



Cari amici omosessuali, forse non vi consolerà molto, ma spero vi faccia piacere essere accolti a braccia aperte fra le donne, discriminate, come voi e peggio di voi, dalla Chiesa cosiddetta "cattolica" (universale? per fortuna no), solo a causa del loro genere.

"Aver compagni al duol scema la pena"? Non so, ognuno/a la prende secondo il suo carattere.

Consolatevi, cari amici, perché la religione che si autodefinisce "cattolica", cioè universale, (scusate l'insistenza su questo termine fondamentale), non ha mai discusso sugli omosessuali maschi chiedendosi se avessero o meno l'anima, come hanno fatto con noi donne.

Critico con tutte le mie forze la posizione "cattolica" e penso che discriminare un intero gruppo di persone sia un'infamia come qualsiasi altra forma di discriminazione.

Il giudizio sui gay (chi aveva detto che non di deve giudicare?), accettati obtorto collo, se non fanno sesso, e ora esclusi da una professione che pretende la castità, è un insulto da querela, secondo me, perché è messo in connessione con la pedofilia diffusa nella chiesa "cattolica".

Ma come? Forse che la pedofilia nella chiesa è appannaggio dei preti gay e non tocca i preti eterosessuali?

Sono allibita da questo (s)ragionamento. E grande è la "mia sete di gistizia" per tutte le sorelle e i fratelli, anche se questo problema non mi tocca personalmente e non è nemmeno il più grave fra quelli che ci affliggono.

Diventa un problema gravissimo per la tribuna da cui parte e si diffonde con la sua forza discriminante in tutto il mondo.



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OT.


Ripeto l'appello dell'Associazione LIBERA (che raccoglie più di 1200 associazioni nazionali e locali, scuole, cooperative) e molti familiari delle vittime delle mafie chiedono con un appello un serio e approfondito ripensamento, in sede di dibattito parlamentare, del disegno di legge delega AC 5362, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di revisione dei provvedimenti definitivi di confisca, affinchè tutte le forze politiche sappiano trovare il corretto equilibrio tra la tutela dei diritti di chi subisce i provvedimenti di confisca e la necessità di sottrarre alle organizzazioni mafiose gli immensi patrimoni che accumulano ogni anno, nell’illegalità e nel sangue. Trasformando questi beni, come sta avvenendo faticosamente oggi, in segni tangibili di legalità e giustizia.")



http://www.libera.it/index.asp?idpagine=544


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lunedì 28 novembre 2005

PARALLELISMI


Caro diario, nel post di ieri non ho messo in luce la conclusione sferzante dell'articolo del The Economist che ha paragonato il declino dell'Italia a quello della Serenissima Repubblica di Venezia nel 1797. Forse è la cosa che mi ha fatto più male.


"L'Italia si sta già avvicinando a una crisi. Abbastanza come Venezia nel 18° secolo, ha proceduto per inerzia sul dorso del suo passato successo. E di nuovo come Venezia, ha perso molti dei vantaggi economici che avevano sostenuto quel successo. Per Venezia, fu un quasi-monopolio nel commercio con l'Est che pagò  per la creazione dei suoi meravigliosi palazzi e chiese; L'Italia di oggi ha beneficiato enormemente di una combinazione di mano d'opera a basso costo e il tirare via lavoratori agricoli dalla bassa produttività (e dal Sud) per spostarli  nella produzione industriale (soprattutto nel Nord). Ma tali cose buone inevitabilmente giungono a una fine."


Poi c'è l'avvertimento finale che ripropone il paragone con la Serenissima, ma non ho voglia di tradurlo. Ti assicuro, caro diario, che non mi piace prendere lezioni dagli inglesi, però mi piace ancora meno dover ammettere che le cose stanno così, con buona pace dei leghisti e di chi ha permesso l'arricchimento del Nord a spese dei "terùn" e il proliferare della mafia &company, di cui il Sud è solo in parte responsabile.


Ma oggi ho trovato un altro articolo di cui riporto solo qualche frase, perché è lunghissimo, ma, se qualcuno avrà la pazienza di leggerlo, forse potrà dirmi se ci vede o meno un parallelismo con la nostra attuale situazione economica ed elettorale.


Busheconomia



E' veramente ora di cambiare il linguaggio con cui parliamo delle politiche economiche di questa amministrazione. Le vecchie parole .. conservatore, liberal, keynesiano, stimolo, offerta, creazione di posti di lavoro, riduzione del deficit e così via -- sono solo chiacchiere che aiutano a nascondere la verità nella nebbia.


La Busheconomia è qualcosa di differente. E' anche molto semplice.


La Busheconomia ha convinto gli elettori che era qualcosa di buono per loro.


Ogni apparenza di benefici a persone di medio o basso reddito -- o, per quello che importa, per l'intero paese -- serve solo a far accettare i programmi. Ogni reale beneficio sarà compensato da altre tasse, riduzione dei servizi, e crescita del debito.


La storia secondo cui i tagli fiscali ai ricchi stimolerebbero l'economia in misura tale da risolvere tutti i problemi è falsa. Si chiamava in principio economia Trickle Down [sgocciolamento. ndt] ed era un buon eufemismo di destra per orinare su tutti gli altri. Fu poi cambiata in economia Supply Side. Il vecchio Bush la chiamava economia voodoo. Questo Bush qui chiama ogni taglio delle tasse provvedimento di "stimolo e creazione di posti di lavoro".


Questo Bush qui sostiene anche che funziona. Nelle parole usate dal website della Casa Bianca, in neretto e titoli di scatola, "le politiche del Presidente hanno aiutato a creare posti di lavoro, crescita, ed opportunità".


In confronto a cosa? Al presidente piacerebbe che noi facessomo confronti con il mondo immaginario chiamato come_sarebbe_stato_peggio_senza_di_me. Ma appare più sensato cercare unn mondo reale come termine di comparazione. La cosa più vicina nel tempo e nel genere è la passata amministrazione. ... continua ...


Larry Beinhart - 15 Novembre, 2005 - Huffington Post - http://www.zmag.org/Italy/beinhart-busheconomia.htm




 

domenica 27 novembre 2005

Care amiche e amici, un post lunghissimo, illegibile: ben due articoli. Si è parlato molto del servizio del The Economist. Furio Colombo, che sa bene l'inglese, l'ha interpretato in maniera diversa dalla vulgata dei nostri giornali. Mi fido di Furio Colombo, ma ho preferito avere a portata di mano l'originale del The Economist, in attesa di una sua traduzione integrale. L'articolo di Colombo è importante perché la dice lunga sulle interpretazioni degli addetti ai lavori. E' un articolo amaro, perché neanche a lui fa paicere che i perfidi dell'Economist ci dicano, a ragione, quelle cose. Non che noi non abbiamo nulla da dire agli inglesi. L'unico motivo per interessarsi all'articolo inglese è che dice cose che in Italia non si possono leggere tutte insieme, ma soprattutto non passano per il vero medium importante che è la televisione.


Dopo la caduta 


   da l'Unità di Furio Colombo





Il regime mediatico instaurato da Silvio Berlusconi un po’ con la forza (carriere brutalmente stroncate, centinaia di querele miliardarie contro i pochi che hanno osato tenergli testa) e un po’ con l’intimidazione, sta raggiungendo il suo risultato più pieno in queste ore. Un rapporto internazionale (The Economist, 26 novembre), duro e senza salvezza, contro il primo ministro italiano, nei media del nostro Paese si è trasformato come segue.


Primo. Non circola alcun testo tradotto, in modo che non si abbia notizia delle dieci accuse e della tabella riassuntiva di processi e reati di Berlusconi.


Secondo. Omissione completa dello screditamento e della confutazione di ciascuna delle mosse difensive tentate fino ad ora da Berlusconi, dall’avere accusato l’euro di essere causa della crisi economica all’avere messo preventivamente in pericolo la stabilità di futuri governi imponendo l’approvazione di una bizzarra legge elettorale.


Terzo. L’enormità delle accuse rivolte contro Berlusconi e l’elenco dei gravi danni arrecati dal suo governo all’Italia (elenco che nessuna fonte mediatica italiana ha pubblicato) fa comprensibilmente dubitare gli autori del rapporto-denuncia sulla situazione del nostro Paese che persino Prodi e un possibile nuovo diverso governo possano porvi rimedio. La notizia è diventata che, secondo l’allarmato rapporto internazionale di cui stiamo parlando, Berlusconi e Prodi sono alla pari, accomunati nello stesso giudizio negativo. Si tratta di un falso clamoroso, però accreditato o assecondato o implicato da riferimenti o commenti sempre privi del testo originale.


* * *


Basta leggere con pazienza, pena e attenzione le molte pagine e i molti argomenti dedicati da The Economist all’Italia di Berlusconi.


Basta leggerle per capire che l’immagine del nostro Paese non è mai stata tanto rovinata. Il settimanale finanziario inglese non si limita alle cifre e ai dati del disastro, che argomenta senza possibilità di contraddizione. Aggiunge due quadri.


In uno si vede Berlusconi. Domina la domanda: la responsabilità è sua? Chi ha scritto gli articoli pazientemente registra attenuanti, gli accumuli di circostanze negative nel passato. Ma dal principio (l’Economist ricorda la sua copertina col titolo “Può Berlusconi governare l’Italia?”) alla conclusione rafforzata dalla tabella degli imbarazzanti processi subiti da Berlusconi e dalle condanne toccate ai suoi due amici e collaboratori più stretti di tutta una vita, Previti e Dell’Utri, tutto il testo dell’inchiesta è un clamoroso e incondizionato giudizio negativo. «Avevamo ragione - dice The Economist - Berlusconi non può governare l’Italia». Gli solleva contro l’argomento di cui Berlusconi si vanta, la durata del suo governo. L’Economist lo vede come un danno in più toccato al Paese, come una malattia che rifiuta di andarsene, nonostante l’alto dosaggio di voti negativi ripetutamente ricevuto ad ogni consultazione democratica del Paese negli ultimi anni.


Nel secondo quadro si vede l’Italia. L’analisi che viene dedicata al nostro Paese è particolarmente umiliante perché concede al primo ministro, ritenuto primo responsabile di un governo rovinoso, tutte le ragioni che Berlusconi o un suo difensore (se ce ne fossero ancora) avrebbero potuto invocare. Riconosce che il debito italiano è enorme, che la storia della spesa pubblica italiana non è esemplare, accetta di considerare il problema del passaggio dalla lira all’euro come causa di temporaneo disordine dei prezzi. Ma anche perché, con l’ingresso dell’Italia nell’euro, la tradizionale scorciatoia di salvataggio che è stata tante volte usata, la svalutazione della lira, è venuta a mancare. 


E giudica oggettivamente difficili le riforme in un Paese segnato da contrapposizioni dure, anche di natura corporativa e sindacale.


Il fatto è che la condanna di Berlusconi non viene da una visione sociale solidaristica e di sinistra, ma da un implacabile giudizio negativo del mondo a cui Berlusconi, e i suoi affiliati, sostengono di appartenere. Infatti il rapporto inglese sull’Italia smonta uno per uno ogni argomento “visto da destra”, che viene di solito usato dalle reti unificate della propaganda berlusconiana per dare la colpa ai comunisti. Dei comunisti non c’è traccia nel rapporto dell’Economist. Ci sono invece, ben chiare, le impronte dei processi, della illegalità, delle leggi ad personam, della cascata di condoni, delle assoluzioni per “prescrizione”, delle specifiche misure approvate per estrarre il primo ministro dai suoi personali guai giudiziari.


C’è anche un “profilo imprenditoriale” di Berlusconi che è tra i passaggi più duri della requisitoria: «un monopolista che si è sempre affermato al di fuori della concorrenza e all’interno di un sistema di protezioni» che, una volta passato dagli affari al governo, è stato un capo di governo a stretta immagine e somiglianza del capo di impresa: nessuna trasparenza e un cumulo di vantaggi e convenienze e protezioni speciali create solo per lui.


Non si pensi a una cascata di moralismo. Gli autori del rapporto sanno benissimo che il mondo della politica non è fatto di angeli e di altruisti. Ma analizzano il lavoro legislativo dell’epoca Berlusconi e concludono che si è trattato di un immenso spreco di risorse e di tempo perché il grosso del lavoro parlamentare riguarda modifiche che interessano la persona e gli affari del primo ministro e non il Paese.


* * *


I punti fondamentali su cui l’analisi dell’Economist si fonda sono i seguenti.


- Il Paese Italia può precipitare in una recessione di tipo argentino.


- L’Italia compare nella classifica della competizione mondiale in un “quarantasettesimo” posto subito sopra il Botswana.


- Il costo della vita ha subìto impennate che non hanno nulla a che fare con l’euro ma piuttosto con la responsabilità di un governo che, mentre governava attentamente i propri interessi giudiziari o privati, non ha badato alla corsa libera e arbitraria dei prezzi. 


- Le infrastrutture sono tra le più fragili e invecchiate d’Europa, anzi, senza dubbio, le peggiori dell’Unione europea.


- Le Università italiane sono in una condizione penosa e al di sotto di ogni confronto internazionale.


- L’evasione fiscale è alle stelle.


- Soltanto il 57 per cento degli italiani è al lavoro, contro il 70 per cento dell’Inghilterra.


- La coalizione di governo, di cui viene spesso vantata la compattezza, è una rete di interessi divergenti che si compongono solo con compromessi pesanti a carico del Paese. L’Economist non manca di notare che l’Italia aveva trovato un punto di arresto del rischio di frammentazione politica e di ricatto dei piccoli partiti con il sistema semi-maggioritario voluto dai cittadini con il referendum Segni. Ma adesso una nuova legge elettorale nega anche i modesti progressi di stabilità ottenuti con una pur imperfetta legge maggioritaria e torna a spingere l’Italia verso un sistema destinato a produrre frammentazione e ingovernabilità.


Il senso dell’articolo si riassume in questa domanda fondamentale: è possibile che un solo governo nelle mani di un solo uomo che controlla un solo sistema di informazioni e domina un apparato legislativo che non ha fatto che servirlo, possa provocare, da solo, un simile danno? La risposta è sì, e al settimanale finanziario inglese non resta che ricordare (insieme con la tabella di tutti i processi subiti e in corso, di Silvio Berlusconi) le 23 domande proposte al premier italiano nel 2003 e restate sempre senza risposta.


* * *


Come si vede, nulla, nell’esame sullo stato dell’Italia proposto dalla più autorevole pubblicazione economica del mondo, coincide con il sistema di notizie quotidianamente diffuso dalle reti mediatiche di Berlusconi. Non avete ascoltato una sola parola, nei media italiani, di ciò che gli economisti inglesi ci mandano a dire in questa documentatissima analisi.


Ricorderete che quando Romano Prodi ha sollevato in passato questi argomenti e proposto le stesse accuse, e annunciato con allarme lo stesso rischio di esito disastroso, il sistema di regime mediatico ha sempre provveduto a mandare in onda e in pagina i volti o le voci di alcuni personaggi fissi il cui compito era di scuotere la testa con compatimento e di assicurare che, se c’era un problema, era quello di una deriva “zapaterista” di Prodi.


Potrà essere utile - per confermare che il nostro disastro economico si accompagna al disastro mediatico - che la maggior parte delle firme autorevoli del giornalismo italiano passa il tempo a interrogarsi con preoccupazione sul programma dell’Unione, l’armonia dei partiti di sinistra e la guida di Prodi, mentre gli analisti inglesi scrivono dell’Italia di Berlusconi quello che scrivono.


Mentre Berlusconi arruola il fascismo più schietto e privo di pentimenti per la sua prossima campagna elettorale, numerosi editorialisti continuano a chiedersi, ansiosi, se il pericolo comunista sia ancora in agguato. E discutono sul probabile “ricatto” di Bertinotti che, senza dubbio, tenterà di ridurre Prodi a una specie di Trotzkij. E ciò proprio nei giorni in cui Camera e Senato italiani, debitamente orchestrati, mandano alla firma del Presidente della Repubblica una squallida e pericolosa legge, frutto di un ricatto della parte inferiore della vita politica italiana (la Lega Nord) la legge detta “devolution” che spacca l’Italia, come ci ricorda il Presidente emerito della Repubblica Scalfaro.


* * *


Ma attenzione. Questa inchiesta clamorosa che inchioda il Paese alla più grande umiliazione del dopoguerra e annuncia un pericolo grave ed imminente, viene volentieri rappresentata a rovescio. E’ un trucco già messo in opera da giorni, da quando sono uscite le prime anticipazioni di questo pessimo ritratto internazionale dell’Italia governata da Silvio Berlusconi.


The Economist propone il dubbio: in queste condizioni può farcela Romano Prodi, nel caso ormai probabile di una vittoria dell’Unione? La legittima perplessità del settimanale inglese è stata subito spiegata dai funzionari mediatici italiani in questo modo: il mondo economico anglosassone non vede alcuna differenza fra Prodi e Berlusconi. Non ha fiducia né nell’uno né nell’altro. Scorrete attentamente, argomento per argomento, le pagine da 13 a 15 del testo inglese e vi rendete conto che tale interpretazione è un falso. Un falso di regime, accreditato però in tanti modi, per esempio utilizzandolo per inquadrare i titoli, i commenti, le interviste.


Nella requisitoria davvero spietata contro Berlusconi e coloro che lo hanno servito, non c’è una frase, espressione o parola che esprima opinione negativa sulla persona di Romano Prodi o anche solo una sospensione di giudizio. I dubbi nei confronti dell’Unione e della sua eventuale vittoria (che lo stesso settimanale inglese sembra dare per scontata, dato che è difficile da immaginare un voto per Berlusconi) si dividono in due gruppi.


Nel primo gruppo ci sono le tipiche riserve della visione rigorosamente di mercato dell’Economist.


La domanda è se la coalizione dell’Unione saprà essere liberista quanto basta per porre rimedio al disastro. Naturalmente - come dimostrano la situazione politica tedesca, quella francese e anche quella inglese (con il vivacissimo dibattito interno tra il laburismo storico del solidarismo sociale e il “nuovo laburismo” liberista di Tony Blair) - il rimedio esclusivo del mercato non è che una delle strade. E’ naturale che stia a cuore all’Economist.


Ben più pesante è il secondo gruppo di dubbi. Indicano, senza mezzi termini,


- i pericoli italiani nella nuova legge elettorale fatta apposta per frantumare,


- nella totale mancanza di ricerca scientifica,


- nella difficoltà di fare accettare misure impopolari dopo il crollo di fiducia creato fra i cittadini dal governo delle leggi ad personam, dei condoni e degli omessi controlli fiscali.


E’ importante notare la seguente affermazione conclusiva, che purtroppo non è arrivata alla gran parte dei lettori e degli spettatori italiani: «Un’ultima eredità negativa del governo di Berlusconi è la svalutazione di ogni valore civico e morale. Quando un primo ministro attacca i magistrati del suo Paese come cospiratori comunisti, fa votare leggi a suo personale favore, e ignora ogni attività di controllo sulla situazione fiscale, manda un messaggio che dice: non ci sono regole, e non preoccupatevi di osservarle».


Ecco la lapide più tremenda sull’Italia in cui viviamo e sul governo di questa Italia. Certo, la sfida è pesante, tanto più che, dopo aver chiuso porte e finestre alla libertà d’informazione, Berlusconi si prepara a varare una nuova legge a sua protezione e contro i cittadini, quella che abolisce la “par condicio”, ovvero il minimo di libertà che resta per confutare il suo regime mediatico e l’azione immensa di intimidazione esercitata anche su coloro che non lo servono ma sono indotti a tacere o a parlare d’altro.


Il pericolo è grande, al punto da far dubitare seri osservatori internazionali che la situazione, anche nelle mani di persone perbene, possa ritornare ad un livello normale di civiltà.


Tocca ai cittadini, agli elettori italiani dare la risposta con il voto. Sarà anche una risposta di orgoglio nazionale. E’ da quel momento che - per usare la frase preferita di Prodi - «potrà ripartire l’Italia». furiocolombo@unita.it



SURVEY: ITALY



Addio, Dolce Vita


Nov 24th 2005
From The Economist print edition


For all its attractions, Italy is caught in a long, slow decline. Reversing it will take more courage than its present political leaders seem able to muster, says John Peet (interviewed here)


Alamy

AT FIRST blush, life in Italy still seems sweet enough. The countryside is stunning, the historic cities beautiful, the cultural treasures amazing, and the food and wine more wonderful than ever. By most standards, Italians are wealthy, they live for a long time and their families stick impressively together. The boorish drunkenness that makes town centres in many other countries unpleasant is mercifully rare in Italy. The traffic may be bad, and places such as Venice and Florence are overrun by tourists, but if you go off-season—or merely off the beaten track—you can have a more enjoyable time in Italy than practically anywhere else.


Yet beneath this sweet surface, many things seem to have turned sour. The economic miracle after the second world war, culminating in the famous 1987 sorpasso (when Italy officially announced that its GDP had overtaken Britain's), is well and truly over. Italy's average economic growth over the past 15 years has been the slowest in the European Union, lagging behind even France's and Germany's (see chart 1). Its economy is now only about 80% the size of Britain's. Earlier this year Italy briefly tipped into recession; for 2005 as a whole, its economy is likely to be the only one in the EU to shrink. Growth next year is expected to be anaemic at best.


Italian companies, especially the small, family-owned firms that have been the backbone of the economy, are under ever-increasing pressure. Costs have risen, but productivity has remained flat or even declined. Membership of the euro, Europe's single currency, now rules out devaluation, which for many years acted as a safety-valve for Italian business. Italy's competitiveness is deteriorating fast, and its shares of world exports and foreign direct investment are very low. The World Economic Forum in its annual competitiveness league table recently ranked the country a humiliating 47th, just above Botswana. The economy has also proved highly vulnerable to Asian competition, because so many small Italian firms specialise in such areas as textiles, shoes, furniture and white goods, which are taking the brunt of China's export assault.


Down at heel


The effects of decline are starting to show. Increasing numbers of Italians are finding their living standards stagnating or even falling. The cost of living is widely believed to have risen sharply since euro notes and coins replaced lire in January 2002. Property prices have certainly shot out of reach for many first-time buyers in Rome, Milan and even Naples. Many Italians are cutting back on their annual holidays, or even going without. Others are putting off buying new cars or even new suits, a real deprivation for such design-conscious people. Supermarkets report that spending now falls in the fourth week of every month before the next pay cheque arrives, a sure sign that families are struggling to make ends meet.


A lacklustre economy is causing broader problems too. Italy's infrastructure is creaking: roads, railways and airports are falling below the standards of the rest of Europe, and public and private buildings are looking ever shabbier. Educational standards have slipped: the country comes out badly in the OECD's PISA cross-national comparisons, and no Italian university now makes it into the world's top 90. Spending on research and development is low by international standards.


Italy has also suffered more than its fair share of corporate scandals, notably the bond default by Cirio and the collapse of Parmalat. And the public finances are in a shambles. Respectable estimates put the underlying budget deficit for next year, ignoring one-off measures, at 5% of GDP, way above the 3% ceiling set by the euro area's stability and growth pact. The public debt stands at over 120% of GDP and is no longer falling.


Even Italy's social fabric is coming under strain. The family remains strong and divorce rates are relatively low. But the fact that 40% of Italians aged 30-34 are reportedly living with their parents is not just a happy sign of family harmony or attachment to mamma's cooking. Many young Italians stay at home because they cannot find work or because they do not earn enough to afford a place of their own.


Social trust, a concept that is admittedly hard to measure, seems unusually low in Italy—one reason, perhaps, why family firms have always played such a big part in the economy. And respect for the rules, and even the law, never high, appears to have fallen further in recent years. Both tax evasion and illegal building, encouraged by repeated amnesties, seem to be on the rise. Organised crime and corruption remain entrenched, especially in the south.


To cap it all, Italy's demographics look terrible. The country has one of the lowest birth rates in western Europe, at an average of 1.3 children per woman, and the population is now shrinking; yet Italians are living ever longer, so it is also ageing rapidly. The economic consequences—too many pensioners, not enough workers to maintain them—are worrying enough on their own. What makes them worse is Italians' low rate of participation in work. Only 57% of those in the 15-64 age range are in employment, the smallest proportion in western Europe. Germany, by comparison, has an employment rate of 66%, and Britain one of 73%. Although overall unemployment in Italy is not too bad by west European standards, it is disturbingly high among the young and in the south.


Berlusconi's legacy


What has gone wrong with the Italian economy, and how can it be put right? These are the main questions this survey will seek to answer. But it will do so in the context of Italy's unruly political scene. Silvio Berlusconi's centre-right government, elected in May 2001, seems likely to manage the rare feat of staying in office for a full term (ending next spring)—a first for a post-war government in Italy. Mr Berlusconi is immensely proud of this. But he has much less to be proud of when it comes to the economy. In his 2001 election campaign, he promised to apply the business acumen that had helped him to become Italy's richest man to make all Italians richer. This he has conspicuously failed to do.


The Economist's view of Mr Berlusconi is well known. We declared in April 2001 that he was unfit to lead Italy, because of the morass of legal cases brought against him at various stages of his business career and because of the conflicts of interest inherent in his ownership of Italy's three main private television channels. Almost five years on, he still faces legal problems (of which more later), and he has done little to resolve his conflicts of interest: indeed, because the government owns RAI, the state broadcaster, Mr Berlusconi now controls or influences some 90% of Italian terrestrial television (which does not stop him complaining about his critics on TV). Our verdict of April 2001 stands.


Yet, as we acknowledged at the time, in 2001 there was nevertheless a case to be made for electing Mr Berlusconi's centre-right coalition. Italy badly needed a dose of pro-market reforms, liberalisation, privatisation, deregulation and a shake-up of the public administration, all of which Mr Berlusconi had promised. He even pledged to cut taxes. A majority of Italian voters, backed by much of Italian business, were willing to overlook both his legal entanglements and his conflicts of interest and give him a chance to reform the country. But as the next election approaches, very little of what he promised has been delivered, so many of his erstwhile supporters are feeling disillusioned.


Even the apparent political stability that Mr Berlusconi has fostered is deceptive. His six-party centre-right coalition has come close to collapse more than once, usually thanks to squabbling between Umberto Bossi's Northern League and Gianfranco Fini's National Alliance. Last April a row with a smaller ally, the Union of Centre and Christian Democrats, forced Mr Berlusconi to resign and form a new government.


On current form the centre-left opposition under Romano Prodi looks the likeliest victor in the election planned for April 9th 2006. But even if he manages to win, Mr Prodi will find it hard to introduce reforms—not least because his coalition embraces no fewer than nine parties, several of which will obstruct change. It was an ally of Mr Prodi's, Fausto Bertinotti, and his unreconstructed Communists that pushed him out of office in 1998. In truth, neither of the two main groupings in Italian politics offers much hope to those who believe that the country needs radical (and painful) reform.


Yet Italy is approaching a crunch. Rather like Venice in the 18th century, it has coasted for too long on the back of its past success. Again like Venice, it has lost many of the economic advantages which underpinned that success. For Venice, it was a near-monopoly on trade with the East that paid for the creation of its beautiful palaces and churches; today's Italy has benefited hugely from a combination of low-cost labour and a switch of workers away from low-productivity farming (and the south) into manufacturing (mostly in the north). But such good things invariably come to an end.



That is what happened to La Serenissima at the end of the 18th century. Venice was contemptuously swept away by Napoleon, and the last doge voted himself out of office. The serene republic is now little more than a tourist attraction, however beguiling. Could this become the fate of Italy as a whole?


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